«Volere l’impossibile» è un’espressione linguistica e, insieme, un’esperienza umana. Questo volere è rivelatore di altre esperienze, alle quali reagisce o che, per altro verso, provoca esso stesso; sicché l’uomo, volendo ciò che non è raggiungibile, sperimenta la distanza tra il vivere e le possibilità della vita. Si tratta del riconoscimento d’una soggettività radicale che non si esaurisce nell’io che agisce e che fa. Quando l’uomo ha preso coscienza di questa dimensione di sé? È essa reale o immaginaria? Quali conseguenze procura, in ogni caso, la sua tematizzazione? Il presente volume cerca una risposta ai suddetti interrogativi, studiando l’invenzione e il rapido articolarsi del concetto di «velleità», apparso per la prima volta nel Medioevo. La ricerca approfondisce la teoria degli «atti di volontà» proposta da Tommaso d’Aquino; ne considera gli echi all’interno della moderna ‘scuola tomista’; valuta le questioni che la filosofia contemporanea, ragionando della ‘debolezza del volere’, vi ha ravvisato. La nozione di «velleità» diviene allora il terreno per un’indagine più vasta. Essa è una di quelle finestre strette dalle quali nondimeno, perché poste in alto, si può scorgere un vasto orizzonte: una figura medioevale dell’uomo assai meno scontata di quanto appaia nella memoria culturale comune.
Andrea Aldo Robiglio (Acqui Terme, 1972) si è formato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove ha conseguito il dottorato di ricerca di filosofia (XIII ciclo-maggio 2001). Ha vinto il XXXVII premio «Agostino Gemelli» e collabora, dal 1997, alla rivista internazionale «Divus Thomas» (Bologna). Attualmente lavora per conto dell’Organizzazione Olandese della Ricerca Scientifica (NWO/Katholieke Universiteit Nijmegen).