I padri non si interessano tanto di ciò che capiterà all'uomo dopo la morte; l'oggetto principale del loro interesse è invece ciò che può diventare l'uomo in questa vita. Siamo tutti malati, adesso, in questa vita: malati perché arroccati nel nostro io e incapaci di amare; malati perché autoidolatri; malati perché egocentrici.
E' dunque in questa vita che deve cominciare e compiersi la terapia, terapia che è l'essenza e il contenuto precipuo della tradizione ortodossa, come altresì la precipua sollecitudine della Chiesa ortodossa.
Dopo la morte, infatti, non è possibile alcuna cura, perché "nell'Ade non vi è pentimento". La teologia, allora, non è e non deve essere ultramondana o futurologica o escatologica, ma semplicemente intramondana, interessata all'uomo in carne e ossa e alle sue negatività, ferite che silenziosamente gridano tutto il loro dolore e invocano il Samaritano celeste.
L'uomo occidentale è convinto d'essere geneticamente colpevole, d'essere stato creato proprio difettoso. Non secondo l'immagine e la somiglianza di Dio, ma programmato con un virus: il Peccato originale. Davvero Adamo "non poteva non peccare"? E il Peccato originale è un dogma fondato sulla Scrittura o soltanto su una privata teoria di Agostino d'Ippona? Sta qui la differenza o divergenza fondamentale tra cristianità occidentale e cristianità orientale. Essa non è di natura amministrativa (il Primato del papa) e neppure teologica, è di natura antropologica. Sta nella risposta che si dà alla domanda: chi è l'uomo? Quale il suo cammino? Quale la sua storia?