"Dobbiamo convincere il mondo che un'egemonia tedesca in Europa agisce in modo più utile, imparziale e meno dannoso per la libertà che un'egemonia di altri": così scriveva Otto von Bismarck. Per il "cancelliere di ferro" si trattava di un'egemonia consapevole della forza e dei limiti della "potenza di centro" tedesca e quindi della sua vulnerabilità. Oggi naturalmente la Germania agisce in un contesto storico e politico inconfrontabile con quello bismarckiano, innanzi tutto per l'esistenza dell'Unione europea di cui è parte integrante e insostituibile. Ma proprio nel corso dell'attuale crisi economico-finanziaria si è delineata una nuova (sia pur controversa) egemonia tedesca. Di nuovo una "sindrome Bismarck"? La crisi dei rifugiati rischia di portare l'Unione verso la paralisi decisionale e di far perdere a Berlino la capacità di svolgere il suo ruolo di orientamento. "Tutto quello che facciamo in Europa è infinitamente faticoso" dice Angela Merkel. Ancora una volta la Germania si trova a fare i conti con la vulnerabilità della sua egemonia.
Era inevitabile la Grande Guerra? Dall'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo doveva necessariamente scaturire un conflitto mondiale? O si è trattato di una guerra "improbabile", scoppiata per una serie di malintesi e di errori di valutazione? Rusconi ricostruisce il febbrile lavorio politico-diplomatico del luglio 1914 e analizza le vicende belliche sino alla battaglia cruciale della Marna. Il conflitto si configura come una "guerra tedesca" per rompere l'accerchiamento di cui la Germania si sente vittima da parte dell'Intesa russo-francese e inglese. Ma la lotta per l'egemonia sul Continente assume i tratti di una "guerra di civiltà" all'interno dell'Occidente stesso. Gli effetti sono di lunga durata, anche in termini strategico-militari: il secondo conflitto mondiale inizierà infatti con l'attacco alla Francia nel 1940 inteso come replica e rivincita del 1914.
Marlene Dietrich e Leni Riefenstahl sono state due icone del cinema del loro tempo, dalla Germania di Weimar all'America di Hollywood. Interpretando a modo loro "la donna nuova" hanno incarnato due differenti tipi di erotismo e di seduzione, mettendoli in scena sullo schermo, come attrice e cantante Marlene, come regista Leni. I loro destini speculari, incrociati e opposti attraversano un periodo cruciale della storia. Marlene, dopo il successo de "L'angelo azzurro", si trasferisce presto in America diventando una diva internazionale. Leni invece in Germania mette la sua straordinaria creatività registica al servizio del nazionalsocialismo (Il trionfo della volontà, Olympia) e alla seduzione di massa esercitata dal suo Führer. Con lo scoppio della guerra la Dietrich, antinazista dichiarata, usa la sua arte a favore della truppa combattente, ritornando nella sua Berlino in divisa americana. La Riefenstahl, invece, in nome della "apoliticità" dell'arte continua a inseguire i suoi modelli di estetica cinematografica. Ricostruirne, come fa Gian Enrico Rusconi in questo libro, i percorsi biografici consente di scoprire le molte espressioni del loro erotismo. Ironico e tenero ma anche sfacciato quello di Marlene; distaccato, estetizzante, opportunistico quello di Leni che come regista non perde mai di vista la sua performance professionale. Il saggio così getta luce sull'altra faccia, apparentemente "minore", della cultura del Novecento tedesco, e non solo.
"La tentazione di parlare di post-Occidente è forte, ma in questo saggio lo eviteremo. Non possiamo infatti congedarci dall'Occidente perché lo portiamo dentro di noi, anche nelle narrazioni del suo tramonto o declino che da oltre cent'anni alimentano una redditizia letteratura. Dobbiamo piuttosto capire che cosa è diventata per noi quella che chiamavano "l'essenza dell'Occidente" identificata nella razionalità. Che cosa rimane di questa razionalità? Forse che la crisi del sistema economico-finanziario occidentale e globale in corso, che produce mutazioni culturali e politiche ancora incalcolabili nelle loro conseguenze e falsifica la sua (presunta) razionalità economica, coinvolge il concetto stesso di razionalità occidentale? Che ne è della sua pretesa di rappresentare un modello universale per tutte le culture? Dobbiamo chiederci se razionalità, razionalismo, razionalizzazione sono concetti che ancora qualificano quello che nel linguaggio tradizionale era il fondamento dell'Occidente". A partire da questi interrogativi Gian Enrico Rusconi affronta problemi e autori che hanno ragionato e ragionano sul sistema dei valori occidentali. Tematiche che riguardano non soltanto l'idea di democrazia e di secolarismo, la dimensione storica, la modernizzazione e il confronto delle civiltà ma anche l'analisi della guerra e il rapporto uomo-natura a confronto con le nuove tecnologie.
Camillo Cavour e Otto Bismarck sono i costruttori degli Stati nazionali italiano e tedesco, e due grandi modelli di leadership politica. Esercitando una guida politica secondo la logica parlamentare liberale, in una dinamica politica carica di contrasti, dura e vivace, Cavour è leader risoluto nel parlamento e in forza del parlamento. Si crea così il "modello Cavour" che diventa attraente per i liberali tedeschi. Ma l'unità tedesca segue altre strade grazie a Bismarck che incarna il principio d'autorità monarchica, pur utilizzando in modo spregiudicato strumenti democratici. In costante tensione e conflitto con il parlamento, dispone del formidabile strumento militare dell'esercito prussiano. Sullo sfondo degli avvenimenti italiani del 1859-61 e di quelli tedeschi del 1866-67, il volume ripercorre i processi di decisione politica di Cavour e di Bismarck, i loro stili di governo tra liberalismo e cesarismo in una dialettica tuttora presente nella vita politica contemporanea.
Gian Enrico Rusconi è professore emerito dell'Università di Torino, Gastprofessor nella Freie Universität di Berlino ed editorialista della "Stampa". Con il Mulino ha pubblicato tra l'altro "Rischio 1914" (1987), "Se cessiamo di essere una nazione" (1993), "Resistenza e postfascismo" (1995), "Patria e repubblica" (1997), "L'azzardo del 1915" (2005).
L'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria nel maggio del 1915 fu un atto sorprendente: il nostro paese era alleato degli imperi centrali e, dopo un anno di neutralità, scendeva in guerra contro di loro. La decisione fu un azzardo basato su calcoli politici e diplomatici, in cui l'aspirazione alle terre irredente entrava ben poco. Fiumi di retorica patriottica hanno messo la sordina su quell'inizio del conflitto, sui piani che pure c'erano per la guerra a fianco di Germania e Austria, sull'ansia italiana di partecipare da grande potenza alla ridefinizione dell'area adriatico-balcanica, sull'errata valutazione della durata del conflitto, sulle mancanze della strategia. Su tutto ciò riflette Rusconi restituendo alla sfera dell'analisi politica l'interpretazione della condotta dei dirigenti italiani che scelsero la guerra.
Docente di Scienza politica nel Dipartimento di studi politici dell'Università di Torino, Gian Enrico Rusconi torna sullo scoppio della Grande guerra, guardandola da parte italiana. In questo libro offre una serrata rilettura di come si arrivò alla decisione dell'entrata in guerra, un atto piuttosto sorprendente.
La laicità della democrazia - sostiene Rusconi, confrontandosi con autori classici e contemporanei e con alcuni documenti ecclesiastici - coincide con lo spazio pubblico in cui tutti i cittadini, credenti e non credenti, confrontano i loro argomenti e seguono procedure consensuali di decisione senza far prevalere, in modo autoritativo, le proprie certezze o verità di fede. 'Come se Dio non ci fosse' è la formula per esprimere questa concezione radicale di laicità: il postulato dell'autonomia razionale dell'uomo e della donna. Ciò che conta in democrazia è la capacità di reciproca persuasione, non la presunzione di avere certezze assolute.