Secondo un’antica credenza popolare il clochard è colui che ha scelto di vivere per strada come forma di libertà.
L’immaginario però si frantuma nel momento in cui la persona senza dimora comincia a raccontarsi: un sé spezzato e fratturato da un evento critico, come la perdita di un lavoro stabile, o da eventi normali che scatenano circuiti a catena: perdere la casa perché la rata (magari doppia) del mutuo non aspetta, perdere la moglie e i genitori o l’intera famiglia che non fa più da rete di protezione sociale, perdere gli amici che combattono anch’essi per dare un senso al moto perpetuo della propria vita.
L’uomo e la donna senza dimora oggi non sono solo sulle panchine di una stazione, ma spesso girano con un curriculum formato europeo salvato sulla pen drive.
Non quindi la povertà estrema, ma piuttosto una condizione d’impoverimento a cascata da cui, se non hai una rete di sostegno, ne esci con le ossa rotte.
Questo libro dà voce a vissuti, a emozioni di persone che hanno scelto di raccontarsi.
L’affresco descrive non solo una società indifferente verso le spirali dell’emarginazione ma anche la facilità con cui è sempre più facile per ciascuno scivolare in queste condizioni.
Ogni storia ha un nome fittizio, mentre non lo è affatto il racconto. Quello è vero, come la vita.