Di lei hanno detto di tutto: che era una ragazza semplice e un po' folle; che fu il suo amore cieco per Mussolini (da cui la separava una differenza d'età di quasi trent'anni) a condurla alla morte; che era una fanatica esaltata; che era tanto bella quanto insidiosa. Ma si tratta di una Storia scritta dagli uomini. La nuova indagine di Mirella Serri offre un'immagine differente, restituendo a Claretta Petacci il vero ruolo politico da lei giocato sullo scenario degli eventi che condussero il leader del partito fascista dalla gloria indiscussa alla sconfitta. Non una sciocca, non soltanto una delle «mantenute di Stato» - le amanti del Duce che percepivano uno stipendio dal regime - ma un'abile e astuta calcolatrice. Pronta ad avvalersi delle informazioni riservate di cui era depositaria per gestire attività ad altissimo livello (antisemita convinta diede il suo apporto al traffico di certificati falsi da vendere alle famiglie ebree più facoltose; cercò di avviare accordi per l'estrazione di petrolio in Romania). Avveduta e intrigante, a Salò sposò la causa del Reich e tentò di porsi come diretta interlocutrice di Hitler. Claretta Petacci, una delle protagoniste del Novecento, emblema femminile del volto buio e tragico del secolo passato, rivive in queste pagine con la sua avidità, i suoi errori, la sua sensualità e le sue astuzie, finalmente libera dagli stereotipi con cui è stata finora raccontata.
Per sottrarsi alle persecuzioni naziste dopo aver perso i genitori nei campi di concentramento, settantatré giovanissimi ebrei, tra i sei e i diciassette anni, attraversano la Germania e la Slovenia e riescono ad arrivare in Italia, a Nonantola, un paese in provincia di Modena. Qui, a dispetto del fascismo e delle campagne razziali, l'intera popolazione si mobilita per aiutarli, offrendo loro protezione per un anno intero. Ma l'8 settembre del 1943 la situazione precipita: Nonantola viene occupata dai nazisti e i ragazzi devono essere messi in salvo in fretta e tenuti nascosti, con la speranza di farli espatriare in Svizzera. Ripercorrendo la storia rocambolesca dei ragazzini in fuga dal Reich, Mirella Serri riporta alla luce anche il segreto e tenace lavorio di un personaggio poco conosciuto ma centrale nella Shoah: il gran Muftì di Gerusalemme, Amln al-Husaym, esponente dell'islamismo più radicale. Da Berlino, dove si era rifugiato lavorando a fianco di Hitler e di Eichmann, al-Husay-ni cercò in ogni modo di bloccare l'espatrio e la salvezza degli ebrei, inclusi i ragazzi che si rifugiarono a Nonantola, arrivando perfino a costituire una divisione autonoma di SS musulmane nei Balcani per precludere l'ultima via di scampo. Quella dei ragazzi di Nonantola e dei loro salvatori è una storia di eroi dimenticati o trascurati, una storia di ribellione corale alle dittature, una storia tutta italiana e al tempo stesso universale di generosità e di profonda umanità, in una lotta contro il male che si rivela, con altri volti e altri nomi, drammaticamente attuale.
Pochi intellettuali si opposero al regime fascista; pochi protestarono apertamente contro le leggi razziali. Furono molti, invece, quanti si formarono all'interno delle istituzioni fasciste di cultura e che poi, con il 1943, abbracciarono gli ideali dell'antifascismo e della resistenza, vivendo questa svolta come un'esperienza di "redenzione". Mirella Serri ricostruisce, anche sulla base di documenti inediti, segmenti della biografia dei molti intellettuali italiani che non furono "dissimulatori onesti", e neppure "voltagabbana", ma uomini che "vissero due volte" e che rappresentano il doloroso processo di maturazione di un'Italia democratica all'interno di un regime totalitario messo in crisi dalla guerra mondiale.
Per qualche decennio il Partito comunista italiano ha realizzato un miracolo. Apparteneva al Movimento comunista internazionale e aveva rapporti "fraterni" con l'Unione sovietica, ma era al tempo stesso una grande forza democratica, un argine contro le incombenti minacce fasciste, una indispensabile componente della vita democratica nazionale e, grazie al ruolo di Palmiro Togliatti nell'immediato dopoguerra, uno dei principali costruttori dello Stato repubblicano. Quasi tutti erano stati fascisti sino al 1942 e avevano quindi una particolare familiarità con la professione dell'intellettuale organico. Il Partito comunista conosceva i loro trascorsi, ma li aveva perdonati e sapeva che questo atto di clemenza avrebbe garantito la loro fedeltà. Il successo dell'operazione ebbe l'effetto di oscurare l'esistenza di un'altra intelligencija italiana, poco incline a lasciarsi attrarre dalle seduzioni del grande Partito comunista. I suoi esponenti avevano combattuto il fascismo negli anni del regime, in patria o all'estero, conoscevano la natura del movimento comunista, sapevano che le sue strategie non erano compatibili con il futuro di un paese democratico. Le loro origini politiche erano diverse, ma avevano una comune ispirazione liberale. Erano "Profeti disarmati", come li definisce Mirella Serri, ma avevano un piccolo quotidiano, "Risorgimento Liberale", che fu in quegli anni uno dei più vivaci e brillanti organi d'informazione e di opinione della rinata democrazia italiana.
Giaime Pintor, protagonista di primo piano, con Cesare Pavese, Norberto Bobbio e Leone Ginzburg, dell'attività della casa editrice Einaudi, a soli ventiquattro anni, nel dicembre del '43, cadde in combattimento in uno dei primi episodi di guerra partigiana. Figura eroica della Resistenza diventerà, dopo la scomparsa, il punto di riferimento ideale per più generazioni di antifascisti. Pintor, però, fu anche un personaggio complesso, profondamente radicato nella sua epoca: studioso della letteratura e del pensiero tedesco, distaccato alla commissione d'Armistizio tra Italia e Francia e qui incaricato di mantenere i rapporti con la delegazione di Berlino, non fu affatto disimpegnato nei confronti del regime fascista fino alla sua caduta.