Si può guardare alla poesia contemporanea, come alla scrittura creativa tout court, da molti punti di vista. La scelta di questo libro è molto chiara ed è quella dell'ascolto. Si tratta cioè, ben prima di dichiarare intenzioni, di formulare poetiche o di emettere giudizi, di tendere l'orecchio alla parola dei poeti, per accoglierla e farle spazio. Come un modo di essere lettori che lasci con gioia il primato alla poesia, e al contempo la interroghi sul suo destino e sul suo futuro, in un tempo sempre più distante dai presupposti scontati della grande lirica del Novecento.
Il racconto dell'agonia di Gesù a Getsemani allude ad un evento sempre contemporaneo ai suoi ascoltatori. Come aveva capito Pascal ("Cristo è in agonia, nell'orto degli ulivi fino alla fine del mondo"), esso si prolunga nella nostra storia in ogni grido umano piantato nell'abbandono da parte del Padre, in ogni silenzio di Dio di fronte al dolore e alla morte. In questo senso Getsemani è davvero un accadimento rivolto verso la fine del mondo, dove si dimora come compagni del soffrire di tutti e si spera che il mondo dell'ingiustizia e del sopruso finisca. Ma ciò può accadere solo là dove si è amato fino all'estremo dell'amore ("li amerò fino alla fine") e ci si è affidati nel silenzio ad un tu inafferrabile e presente.
La citazione pascaliana che gli fa da titolo trova la propria ragion d'essere in una zona vitale di questo libro: ad essa allude infatti Leonardo Sciascia, nel Contesto, quando sceglie di interrompere con "un gemito" il naturale respiro del suo personaggio-creatore per eccellenza, l'ispettore Rogas, appunto, di fronte all'arguta, atea arroganza di Riches, anch'egli lettore (ma inautentico) di Pascal. Emblematico, questo passaggio (così come il Dürer della Beweinung in copertina), perché riunisce idealmente, in un unico drappello, tutti gli scrittori convocati in questi saggi a "dire" la condizione umana dentro un evo moderno trovatosi a fronteggiare l'inatteso crepuscolo della cristianità ed il progressivo nascondimento di Dio, nonché i suoi imprevedibili sviluppi. Il paesaggio della storia dell'Occidente da una credenza "ingenua" ad una "riflessività" che rende la fede sempre meno scontata è stato raccontato sul versante letterario soprattutto da grandi testimoni collocati in partibus infidelium (da Foscolo a Leopardi, da Hawthorne a Flaubert, da Tolstoj e Dostoevskij a Joyce, da Pirandello a Sciascia, da Montale a Caproni, da Sinisgalli a Pasolini, da Pavese a Fenoglio, solo per citarne alcuni), con un pathos ed una verità ancora capaci di parlarci.