Si parla molto di amore nelle poesie di Wislawa Szymborska: ma se ne parla con una così impavida sicurezza di tocco e tonalità così sorprendenti che anche un tema sin troppo frequentato ci appare miracolosamente nuovo. «Sentite come ridono – è un insulto» scrive di due amanti felici. «È difficile immaginare dove si finirebbe / se il loro esempio fosse imitabile» – e ad ogni modo «Il tatto e la ragione impongono di tacerne / come d'uno scandalo nelle alte sfere della Vita». Anche parlando d'amore la voce della Szymborska sa dunque essere irresistibilmente ironica: non a caso Adam Zagajewski diceva di lei che «sembrava appena uscita da uno dei salotti parigini del Settecento». Ma sa anche essere, dietro lo schermo della colloquiale naturalezza e dell'ingannevole semplicità, grave e trafiggente, come quando affida a un panorama divenuto ormai intollerabile il compito di proclamare l'assenza («Non mi fa soffrire / che gli isolotti di ontani sull'acqua / abbiano di nuovo con che stormire») o all'amore a prima vista quello, ancor più temerario, di smascherare il caso-destino che ci governa: «Vorrei chiedere loro / se non ricordano – / una volta un faccia a faccia / in qualche porta girevole? / uno “scusi” nella ressa? / un “ha sbagliato numero” nella cornetta? / – ma conosco la risposta. / No, non ricordano».
"Balzac sembra un oste, Joyce il contabile di un'impresa di pompe funebri, Eliot il direttore di una clinica psichiatrica, e Heinrich Mann un farmacista che abbia appena deciso di avvelenare i suoi concittadini senza eccezione": sono le considerazioni suggerite alla Szymborska dalla lettura di un Piccolo dizionario degli scrittori di tutto il mondo. O meglio: dall'apparato iconografico, giacché è su quello che si è concentrata tutta la sua attenzione. Difficile immaginare un recensore più idiosincratico, inaffidabile, parziale. E più irresistibile. Le sue, d'altro canto, non sono neppure recensioni: piuttosto, letture "non obbligatorie", rapporti di un'impagabile lettrice amatoriale. Che ad ogni libro che le capiti fra le mani - libri che altri disdegnerebbero, del genere Il Guinness dei primati del cinema - sa guardare da un'angolatura che ci spiazza e ci conquista. Chi se non la Szymborska ammetterebbe, con disarmante franchezza, di aver colto, nei Sette stati della materia, solo qualche frase, e saprebbe poi trasformare la sconfitta in una geniale riflessione sullo snobismo di chi coltiva "l'antica aspirazione a sapere tutto, sia pure a grandi linee"?
Per i moltissimi, appassionati lettori di Wislawa Szymborska, scomparsa nel febbraio 2012, questa raccolta postuma sarà come un emozionante commiato, in cui sentir vibrare per l'ultima volta le note inconfondibili della sua poesia: in Un tale che osservo da un po' di tempo l'anonimo protagonista è un netturbino che conduce una silenziosa battaglia contro l'entropia raccogliendo una gabbietta abbandonata fra i cespugli e portandola via con sé, "perché resti vuota"; in Coercizione la Szymborska incrina le certezze dei vegetariani evocando le sofferenze di una foglia di insalata: "Anche l'uomo più buono / addenta e digerisce qualcosa di ammazzato / perché il suo cuore tenero / non cessi di pompare". Altrove ecco affiorare un quadro metafisico in cui gli oggetti continuano a compiere imperturbabili il proprio dovere, anche quando intorno a loro tutto è morte e desolazione: così uno specchio, in una casa distrutta da un bombardamento, "Non rifletteva più nessuna faccia", eppure "funzionava in modo inappuntabile, / con professionale assenza di stupore". Ma c'è anche una lirica d'amore, lievissima come l'abbraccio all'aeroporto di due amanti che si rivedono dopò una lunga assenza, intabarrati in abiti invernali, sciarpe, cappelli, guanti e stivali, "ma solo ai nostri occhi. / Ai loro sono nudi". Infine, in A una mia poesia, la Szymborska ci lascia con l'immagine ironica di una poesia che scompare nel nulla, senza essere mai stata messa per iscritto, borbottando soddisfatta qualcosa tra sé e sé.
Nell'arco di poco più di un decennio - da quel non troppo lontano 1996 in cui fu insignita del Premio Nobel per la letteratura - Wislawa Szymborska è diventata un autore di culto anche in Italia. Né questo vasto successo deve meravigliare. Grazie a un'impavida sicurezza di tocco, la Szymborska sa infatti affrontare temi proibiti perché troppo battuti - l'amore, la morte e la vita in genere, anche e soprattutto nelle sue manifestazioni più irrilevanti - e trasformarli in versi di colloquiale naturalezza e (ingannevole) semplicità. Il volume raduna l'intera produzione poetica della Szymborska, inclusa la recentissima raccolta "Qui", apparsa in Polonia nel 2009.
Apparsa per la prima volta nel 2005, "Due punti" è l'ultima raccolta in versi della poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura nel 1996. La singolarità di queste poesie risiede nella densità e nello spessore della riflessione sulla vita e sulla morte. Una riflessione che contrassegna tutto il volume e che prende corpo in liriche di straordinaria concretezza ed efficacia.
Negli anni Sessanta la Szymborska, incuriosita dal divario fra l'attenzione rapita che i recensori riservavano ai libri "nobili" (narrativa, saggistica storico-politica, classici), destinati tuttavia a restare in buona parte sugli scaffali delle librerie, e il vasto successo riscosso da manuali del fai da te, almanacchi, libri di divulgazione scientifica, decise che valeva la pena di dedicare a questi ultimi la sua attenzione. Da allora il futuro Nobel per la letteratura iniziò un lavoro di scavo controcorrente che usò il libro come pretesto per divagazioni in punta di (caustica) penna.
Vecchie fotografie, volti fra la folla, alberi, nuvole, prati, torrenti, un'ombra sul muro, un ombrello smarrito, un telefono che suona a vuoto. Tutto converge nella poesia "riflessiva" e di ingannevole immediatezza di Wislawa Szymborska, della quale questa raccolta presenta una scelta che spazia nell'arco di cinquant'anni. L'osservatorio della poetessa è situato in un luogo remoto, sul crinale di una montagna dalla quale mette a fuoco non mondi perduti nelle profondità siderali, bensì "i nostri brulichii inarticolati" o il "bordo della nuvoletta bigia sfilacciata e quel rametto, più a sinistra sull'acacia".
Quando giunse la notizia che il Premio Nobel per il 1996 era stato conferito a Wislawa Szymborska, molti giornali scrissero che si trattava di una poetessa più o meno sconosciuta. In realtà Iosif Brodskij la considerava, insieme a Milosz e a Herbert, una delle grandi voci poetiche attuali. E al tempo stesso si può dire di lei che raramente un poeta moderno è riuscito a parlare di temi proibiti, perché troppo battuti, con tale impavida sicurezza di tocco, fino al punto di dedicare una delle sue liriche più perfette all'"amore felice", questo "scandalo nelle alte sfere della Vita". Questo volume è una raccolta che attraversa tutta la sua opera a partire dal 1957 e include anche il discorso pronunciato in occasione del conferimento del premio Nobel.