Interrogarsi oggi su Satana non significa tout court occuparsi di satanismo. Non bisogna infatti pensare che Satana nuoccia esclusivamente a coloro che, per vari motivi, decidono di adorarlo esplicitamente. La sua figura rappresenta uno dei simboli più densi della storia della cristianità, e chiede - dopo secoli di esegesi e di teologia - di essere ripensata da un punto di vista strettamente antropologico e filosofico. Nel panorama contemporaneo, una delle prospettive teoriche che con più rigore è riuscita a pensare insieme religione e violenza, rileggendo in modo originale anche Satana, è senz'altro quella proposta da René Girard. Da più di un decennio - interpretando i simboli che attraversano le Sacre Scritture, dalla Genesi all'Apocalisse -, Girard ha iniziato a denotare il processo mimetico - secondo cui tutti gli uomini desiderano ciò che suggerisce loro un modello, che si trasforma così in rivale - come processo satanico. Lasciato libero di agire, Satana crea quel meccanismo sacrificale su cui tutte le comunità umane si fondano, e innesca quella tensione violenta che porta al sacrificio di un capro espiatorio innocente. Nella lettura girardiana, solo l'opera demistificatrice del logos di Cristo, rivelando il segreto di ogni meccanismo espiatorio, dà origine a una battaglia con le forze del male destinata a durare fino alla fine dei tempi, quando la menzogna del sistema satanico sarà del tutto svelata e l'uomo completamente redento.
Viviamo in un mondo globalizzato. E anche la violenza appare in forme nuove e inaspettate che investono l'intero pianeta in modi spesso drammatici. Il nostro rapporto con la violenza è così stretto e intimo che quasi non sconvolge più. È quasi banale, talvolta noioso. Crediamo di rifletterci spesso, almeno ogni volta che la violenza ci assale nelle rappresentazioni che di essa ci offre il nostro sistema mediatico e culturale. Ma è davvero così? Quanto le nostre azioni quotidiane, che giureremmo non essere violente, si rivelano invece tali? Attraverso il confronto con il pensiero di Renè Girard, questo libro tenta di battere il sentiero della riflessione radicale sulla violenza e si interroga sulla possibilità di un'autentica rinuncia ad essa.