Mattia Torre ci ha abituati al sale e all'intelligenza della sua scrittura, ci ha raccontato le donne, ci ha raccontato gli uomini, le coppie, i figli, le miserie e il mistero della vita sociale, i miracoli e gli abissi della sanità pubblica, ci ha detto i sentimenti che frusciano dietro il cinismo del mondo dello spettacolo, ci ha dato sempre una grande occasione di pensare, e persino di riconoscerci vivi nel catalogo degli uomini. È quello che accade in questi scritti che Mattia Torre ha lasciato e che noi lasciamo così come sono stati trovati: formidabili scatti narrativi, dialoghi, monologhi, il folgorante senso del mondo messo al servizio di amici attori, di ipotetici sviluppi nel cinema, nella narrativa. Insomma una vera sorpresa, e una vera miniera di occasioni felici destinate ad accompagnarci ancora a lungo, dopo il successo di "In mezzo al mare".
Lui è Luigi, un quarantenne equilibrato, sentimentale, sereno e innamorato della moglie incinta. La casualità di un banale esame medico lo pone di fronte a una tremenda rivelazione: ha un tumore al rene e bisogna intervenire con urgenza. Così, con il ricovero, la vita di Luigi cambia drasticamente e si riduce a un’unica semplice realtà: l’ospedale, il reparto, i compagni di stanza, infermiere e caposala, i medici e, fra questi, su tutti, la mitica presenza del professor Zamagna, genio della chirurgia urologica, che vive solo per operare e che a Luigi appare un salvatore. Quella che scopre giorno per giorno Luigi è una verità a lento rilascio in cui tutto viene rimesso in discussione: l’aleatorietà del sapere medico, che cambia in base alle persone, la saldezza della fede, che può perdere anche un prete malato, la passione per la medicina, che possono perdere anche i medici, e la resilienza di chi, giovane o anziano, vuole solo sopravvivere. Compagni di avventura di Luigi sono soprattutto i pazienti: un somalo assolutista, un ristoratore che sa tutto di medicina, un prete in crisi, un intellettuale taciturno e uno stuolo di anziani cattivi perché in cattività. Nato assieme alla realizzazione della serie omonima, in uscita sulla Rai con protagonista Valerio Mastandrea, La linea verticale riesce a dosare con straordinario equilibrio comicità e dramma, emozione e distacco, per diventare una riflessione molto umana sulla malattia come occasione per rinascere.
"Userò gli occhi del cuore/Per carpire i tuoi segreti/Per capire cosa pensi/Nei tuoi primi piani intensi/Nei tuoi piani americani/Così intensi e così italiani/Fatti un po' a cazzo di cane/Userò gli occhi del cuore/Come fa un dottore cieco/Quando che opera i pazienti/Stanno tutti molto attenti."
Così Elio e le Storie Tese, nella sigla di testa di Boris 2, cantano la rivoluzione del mondo della fiction italiana, da sempre abituato a prendersi sin troppo sul serio e cronicamente incapace di ridere dei propri difetti.
In un turbinio di omicidi, amori, malattie e guarigioni improvvise, le sterili evoluzioni della soap opera Gli occhi del cuore 2 si intrecciano con le peripezie della troupe impegnata sul set, nel ritratto impietoso di un mondo in cui qualunque sogno viene avvelenato dalla superficialità e dalla soffocante disillusione di una generazione "culturalmente rassegnata al brutto".
E mai come in questo caso la finzione ci racconta pezzi di una realtà in cui ci ritroviamo troppe volte senza parole. Come Boris, il pesciolino rosso