Credere in Dio al tempo della rete: il ritorno al politeismo, la religiosità diffusa nei mondi virtuali, la nuova dimensione del reale che modifica le nostre ansie, i nuovi messianismi elettronici, i rischi e le opportunità per le fedi tradizionali.
Internet è molto più di un semplice mezzo comunicativo. È una nuova dimensione del reale che influenza e modifica le nostre ansie, le nostre domande di senso, le nostre rappresentazioni simboliche, i nostri comportamenti rituali, ossia tutto ciò che concorre a definire quel fenomeno che chiamiamo religione. A loro volta, le comunità religiose, anche dei grandi culti monoteisti, utilizzano gli strumenti delle nuove tecnologie per fare proselitismo o per accogliere le nuove generazioni che difficilmente fanno a meno di una connessione al mondo virtuale.
La Chiesa cattolica in un documento ufficiale parla della rete come «un mezzo di comunicazione sociale», da intendersi, al pari di radio e televisione, come un «dono di Dio» che illumina il «lungo viaggio dell’umanità». Attingere, dunque, alla nuova realtà digitale si configura come un’esigenza culturale, spirituale e rituale che accentua il legame fra religione e capacità immaginativa umana. Sommando in sé l’incomprensibilità del cosmo e il senso del limite dell’uomo, Internet diviene per alcuni il nuovo luogo della trascendenza. Tuttavia, quella che s’incontra nella rete è una trascendenza vicina, con cui è possibile entrare in contatto, persino ‘armeggiare’: basta picchiettare su di una tastiera, forgiarsi identità effimere e rinnovabili, condurre vite alternative per sperimentare un oltre altrimenti inaccessibile.
Fabrizio Vecoli fornisce al lettore una presentazione chiara delle questioni aperte, degli interrogativi posti dalla realtà virtuale, delle riflessioni che il nuovo intreccio tra Internet e religione ha suscitato. Come misurare, ad esempio, l’impatto del cambiamento sulle religioni tradizionali? Come coglierne l’influenza sui nuovi culti? Come comprenderne le conseguenze sul modo di concepire e vivere quel che, malgrado tutto, si dovrà ancora chiamare con il nome di religione?.
Il rapporto con il puro e l'impuro è un aspetto del monachesimo egiziano delle origini in gran parte trascurato dagli studiosi del tema. L'autore rilegge l'esperienza dei primi Padri del deserto da questo punto di vista, partendo cioè dall'assunto che la vita monastica costituisse in primo luogo un esercizio di perpetua purificazione del corpo e dell'anima da ciò che li contamina nella vita terrena. Il volume individua in questo concetto un ingranaggio fondamentale del pensiero monastico e, di conseguenza, del comportamento assunto dagli asceti verso se stessi, i propri fratelli e il resto della comunità.
I rapporti tra carisma e istituzioni alle origini del monachesimo. Una esposizione ben informata di fonti della formazione dei carismi tra IV-V secolo in Egitto.