È vero, il regionalismo italiano funziona male. La soluzione sta nella proposta di un'autonomia regionale differenziata? Ma questa non determinerebbe una secessione di fatto delle regioni più ricche? Gianfranco Viesti, uno dei principali esperti di coesione territoriale, ci guida nel dipanare una materia tanto intricata quanto decisiva.
Il XXI secolo ha visto il declino dell'Italia e l'approfondirsi delle sue disparità interne. Per comprenderne il perché serve collocare quelle vicende, con un'analisi comparata, nel contesto dei grandi cambiamenti internazionali: l'allargamento a Est dell'Unione Europea, la deindustrializzazione, i nuovi servizi avanzati nelle città, il mutamento demografico, le migrazioni, l'influsso liberista sulle politiche economiche. In tutta Europa, a differenza di quanto avveniva nel Novecento, le disuguaglianze stanno aumentando. Ma le gerarchie territoriali non sono un destino irreversibile, cambiano grazie a intelligenti politiche pubbliche. Non è però ciò che è avvenuto, specie negli anni Dieci, in Italia: le politiche hanno spesso assecondato e non contrastato il declino e l'aumento delle disparità. Un'analisi di ampia prospettiva storica, fondata su dati e casi concreti, indispensabile per chi voglia trarre indicazioni per ripensare un'Italia più competitiva e più inclusiva, specie dopo la grande pandemia.
In un mondo in cui i livelli di istruzione superiore sono decisivi per il progresso economico e l'inclusione sociale, l'Italia sta operando da dieci anni un forte disinvestimento sull'università. Per la prima volta dall'Unità si sono ridotti gli immatricolati. È cresciuto il costo degli studi. L'università italiana è diventata ancora più povera nel confronto europeo. Un'intera generazione di studiosi è stata costretta alla precarietà o alla fuga. Inoltre, processi di valutazione estremamente discutibili stanno riconfigurando il sistema, principalmente a danno degli atenei del Centro-Sud. Tutto questo ha gravi conseguenze per i giovani italiani di oggi e di domani. Una vicenda che deve interessare tutti i cittadini, non solo gli esperti.
La grande recessione e il salto tecnologico in questi anni sono andati di pari passo. Per necessità e poi per virtù le imprese hanno affrontato ristrutturazioni in cui si trovano a convivere cacciavite, robot e tablet. Ma quali sono le politiche e gli strumenti che i governi e il sistema delle imprese devono adottare per rilanciare la manifattura? Un economista e un giornalista si confrontano con questa domanda e arrivano a conclusioni assai diverse. Gianfranco Viesti sostiene il rilancio di un'azione pubblica all'altezza delle sfide della globalizzazione, in grado di accrescere la dimensione delle imprese e di favorirne internazionalizzazione e innovazione. Dario Di Vico è per una politica industriale plurale in cui lo Stato diminuisca le tasse e passi l'iniziativa a banche, fondi di investimento e multinazionali.
Siamo il grande malato d'Europa, con tutti i sintomi di un malessere grave: impoverimento, incertezza del futuro, precarietà lavorativa, percezione di insicurezza sociale, smarrimento identitario. Mentre la politica sembra aver perso la capacità di indicare una direzione, l'icona-simbolo del Mezzogiorno è divenuta la 'monnezza' campana, monumento allo spreco di colossali risorse pubbliche, all'incapacità (o alla vera e propria corruzione) delle classi dirigenti meridionali, all'attitudine a una protesta ottusa. Sempre più il Sud è percepito da molti come altro da sé, e discorsi che un tempo venivano sussurrati nei bar della provincia trevigiana oggi trovano spazio sulla prima pagina del "Corriere della Sera". Ma quanto è reale e documentata l'immagine che si propone dell'economia e della società meridionale? Quanto è vera l'opinione secondo la quale le politiche di sviluppo che si sono portate e si portano avanti al Sud sono tutte, inevitabilmente, un disastro? La verità è un'altra: spesso in Italia chiamiamo "Mezzogiorno" quello che non ci piace o non vogliamo vedere del nostro paese e le difficoltà che non riusciamo a superare. Immaginiamo che sia altro dal resto delle regioni settentrionali. Non è cosi. Risolvere i problemi del Mezzogiorno e risolvere i problemi dell'Italia richiede la stessa strategia di fondo.
Per alcuni il Mezzogiorno è una palla al piede. Per altri è un alibi. Per altri è un alibi. Per alcuni è un noioso rituale da inserire in agenda. per altri è la scorciatoia per arricchirsi illecitamente. Per tutti è una buona scusa per non affrontare realmente i problemi italiani.