L’estrema attenzione che Simone Weil (1909-1943) nutriva per l’altro e il suo profondo desiderio di verità fanno della sua vita non solo una grande avventura umana, ma anche un autentico itinerario spirituale. La preghiera viene vissuta da Simone Weil come un mezzo per diventare, attraverso le sofferenze umane, un semplice strumento di Dio: l’eco del Suo amore.
Attraverso queste pagine potremo meditare con Simone Weil grazie ai brani tratti dai suoi scritti più intensi e imparare quanto l’amore di Dio vi sia presente.
Un libro-notes raccoglie alcuni pensieri della mistica e filosofa Simone Weil che ha affascinato il mondo per la sua straordinaria vicenda esistenziale e per i suoi ideali di giustizia sociale.
Gli scritti di Simone Weil sul colonialismo (quasi tutti inediti in italiano), sollevano impetosamente il velo sulla miope gestione politica di un problema la cui soluzione la Weil avvertiva come fondamentale affinchè i paesi che, come la Francia, si ispiravano a principi di libertà ed uguaglianza, potessero affrontare in modo credibile il montante totalitarismo. Le sembrava particolarmente tragico che, proprio negli anni del Fronte popolare e delle sinistre al potere, la politica coloniale della Francia non fosse cambiata, perseverando nell'opprimere popoli di altra storia e cultura in spregio delle loro identità e dignità, così come la Germania nazista aveva iniziato a fare nei confronti degli stessi popoli europei.
A quasi settant’anni dalla morte di Simone Weil e dalla tragedia bellica si è perduto il significato epocale degli eventi e delle scelte che allora si consumarono. Al punto che per le nuove generazioni essi non hanno rilevanza maggiore di fatti ben più remoti, il che rende loro difficilissima ogni comprensione critica del presente. Simone Weil, di cui ricorre nel 2009 il centenario dalla nascita, ha rappresentato uno dei punti più alti della coscienza critica tra le due guerre per il rigore della sua analisi della storia e della cultura occidentale, e per l'acutezza di un pensiero applicato ad investigare le questioni cruciali di un'epoca che è ancora per l'essenziale la nostra. Il saggio di Giancarlo Gaeta, e la scelta dei testi che l’accompagnano ripercorrono le tappe della sua vicenda esitenziale tra militanza politica e l’impegno intellettuale nel ripensare i fondamenti di una rinnovata vita sociale e spirituale sul fondamento di una originale visione religiosa.
"Simone Weil ha convertito molti non cattolici, ha deconvertito molti cattolici": è sufficiente questa affermazione di un noto teologo per testimoniare quale rivoluzionario valore abbia assunto, nel Novecento, un pensiero che si dipana in una piccola costellazione di "libri duri e puri come diamanti, dal lento ritmo incantatorio, dal francese sublime" (secondo le parole di Costina Campo). Una costellazione al centro della quale si colloca "Attesa di Dio", raccolta di scritti - composti fra l'autunno del 1941 e la primavera del 1942 - apparsa postuma nel 1949 per le cure di Joseph-Marie Perrin, l'affabile padre domenicano che fu amico, confidente e destinatario delle sei lettere che, dettate da un ineludibile "bisogno di verità", costituiscono parte essenziale dell'opera.
Negli ultimi anni della sua vita Simone Weil, una delle voci più originali nella riflessione etico-religiosa del Novecento, dovette confrontarsi con il dramma della Seconda guerra mondiale e le difficili scelte che questa comportava. Da una posizione di pacifismo intransigente, la Weil con il progredire del conflitto si convinse della necessità di lottare contro il regime di Hitler. "Su//a guerra" raccoglie lettere, brevi saggi e articoli che testimoniano la dolorosa presa di posizione di Simone Weil e la forza intellettuale con cui affrontò alcuni dei nodi fondamentali del nostro tempo: l'esperienza sovietica, la crisi del marxismo, i limiti del pacifismo, il bisogno di una spiritualità che trascenda i confini delle ideologie.
"L'ombra e la grazia" è una raccolta di pensieri, aforismi, sentenze e meditazioni che Simone Weill definì "investigazioni spirituali". Il libro nasce come scelta dalle pagine del "diario intimo" che l'autrice tenne tra il 1940 e il 1942. Vive, in ogni suo pensiero, un profondo "senso universale" illuminato da una luce che trae origine dall'eternità, dall'assoluto, dalla certezza che soltanto l'amore sovrannaturale sia libero, lecito e naturale. In Simone Weil, "la giovane ebrea che insegnava filosofia", la fede cristiana fu una tentazione perenne, ma anche lacerazione interiore, ansia protesa verso una verità superiore raggiungibile soltanto con la rinuncia, il distacco, il sacrificio.
Simone Weil (1909-1943) e un personaggio affascinante che le cento frasi e brevi citazioni raccolte aiuteranno a conoscere meglio.
A venticinque anni, nel 1934, Simone Weil scrisse queste Riflessioni, vero talismano che dovrebbe proteggere chiunque è costretto ad attraversare l’immenso ammasso di menzogne che circonda la parola «società». Come sempre nelle parole più ovvie, in essa si cela una realtà segreta e imponente, che agisce su di noi anche là dove nessuno la riconosce. La Weil è stata la prima a dire con perfetta chiarezza che l’uomo si è emancipato dalla servitù alla natura solo per sottomettersi a un’oppressione ancora più oscura, ancora più capricciosa e incontrollabile: quella esercitata dalla società stessa, poiché «sembra che l’uomo non riesca ad alleggerire il giogo delle necessità naturali senza appesantire nella stessa misura quello dell’oppressione sociale, come per il gioco di un equilibrio misterioso». Da questa intuizione centrale si diparte, con cristallina virtù argomentativa, una sequenza di ragionamenti che svelano nei meccanismi del potere come in quelli della produzione e dello scambio altrettanti volti di una stessa idolatria. Scritto quando Hitler era al potere da pochi mesi e quando Stalin era venerato da gran parte dell’intelligencija come «piccolo padre» di una nuova umanità, questo testo non ha un attimo di incertezza nel delineare l’orrore di quel presente. Ma, come sempre nella Weil, lo sguardo è così preciso proprio perché va al di là del presente e percepisce un’immagine inscalfibile del Bene, in rapporto alla quale giudica il mondo. È uno sguardo che ci induce a «sfuggire al contagio della follia e della vertigine collettiva tornando a stringere per conto proprio, al di sopra dell’idolo sociale, il patto originario dello spirito con l’universo».