La corruzione è endemica e universale, funzionale al mantenimento del sistema e, proprio per questo, ineliminabile, inestirpabile. Semplicemente, quando da fisiologica si tramuta in patologica, scoppiano gli scandali, fa notizia. Questa la tesi di fondo del libro, ampiamente e rigorosamente argomentata. La ripubblicazione di un testo come "Cleptocrazia", uscito per la prima volta nel 1994, rappresenta uno stimolante spunto di riflessione, incredibilmente attuale, sul tema. Certo, oggi la corruzione ha cambiato volto nel confuso scenario politico che abbiamo di fronte. Si sono disgregati i partiti, le grandi imprese non ci sono più, cambiano i rapporti di forza, si inverte la dinamica tra concussi e concussori. Tuttavia, vent'anni dopo Tangentopoli, i media continuano a essere sommersi dalle notizie di scandali finanziari, economici, politici, che sfociano persino in rivelazioni sulla collusione dei dirigenti pubblici con la criminalità organizzata. È davvero tramontata un'epoca?
E se un giorno chi detiene le chiavi dell'economia mondiale prendesse le sue decisioni non solo ricercando il profitto, ma lasciandosi guidare da principi morali universali? Forse il benessere sarebbe più diffuso e nei momenti di crisi alla fine si conterebbero meno vittime... Questa prospettiva è decisamente di là da realizzarsi. Ciò non toglie che si possa cominciare a porre le basi ideali per una fondazione morale dell'economia, che abbia al suo centro l'attenzione per l'uomo e - esigenza non più rinviabile - la cura dell'ambiente. In questo libro si apre una riflessione a tutto campo che invita gli attori economici a chiedersi non solo che cosa sia più vantaggioso, ma che cosa sia più giusto fare. Questa domanda fondamentale viene via via declinata in interrogativi più specifici: è vero che tutto può essere comprato e venduto? Bene e utile coincidono? L'interesse di chi bisogna perseguire nella propria iniziativa imprenditoriale? L'avidità è il motore del progresso oppure un vizio? In quale misura sono accettabili le diseguaglianze economico-sociali? Che tipo di uomo vuole essere il businessman? Quale rapporto ha la ricchezza con la felicità? Quali valori sono in gioco nell'attività economica? Che cosa si intende per sviluppo, e lo sviluppo di chi si deve ricercare? Lungo questo percorso, a segnare i punti fermi del ragionamento, si ritrovano alcuni imperativi morali, che intendono offrire un orientamento per capire come rendere eticamente corretto il proprio agire economico. Da questa prospettiva l'etica e l'economia non sono discipline separate o addirittura in competizione tra loro, ma modalità di intervento sulla realtà in dialogo e mutua collaborazione, entrambe dirette verso il «bene», concetto che è tanto più urgente riscoprire quanto più oggi suona fuori moda e privo di significato.
I problemi che stavano all’origine della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008 non sembrano essere stati tutti risolti. Quelli che persistono paiono segnalare una contraddizione più profonda, che ha a che fare con il modello di sviluppo connesso all’ideologia economica neoliberista, i cui principi non sono stati superati. Accumulazione e sviluppo sembrano essere entrati in conflitto aperto. Le possibili vie d’uscita non vengono percorse a causa della radicale ignoranza con cui i poteri pubblici affrontano le questioni economiche, che li rende incapaci di immaginare un nuovo ruolo dello Stato e una politica economica differente. D’altra parte, anche le scorciatoie che conducono a una chiusura mercantilistica sono vicoli ciechi. In mezzo, lo spazio per una scienza economica che non rinuncia a voler cambiare le cose.
Paolo Leon
Professore emerito di Economia Pubblica all’Università di Roma Tre, ha studiato a Roma e a Cambridge, con R.F. Kahn e Federico Caffè, e ha insegnato in numerosi atenei italiani. Ha lavorato come economista all’Eni, con Giorgio Fuà e Giorgio Ruffolo, alla Banca Mondiale e all’Italconsult. È stato vicepresidente dell’Enea e presidente dell’Agenzia per il controllo dei servizi pubblici locali di Roma, consulente dell’Unione Europea, di vari governi nei Paesi in via di sviluppo e, in Italia, dei Ministeri del Bilancio, del Lavoro, dell’Ambiente e dei Beni Culturali, nonché di molti enti locali. Ha cofondato i centri di ricerca Crel, Arpes e Cles ed è perito dell’Avvocatura dello Stato per la valutazione del danno ambientale. Dirige la rivista «Economia della Cultura» e scrive su riviste e quotidiani. Ha pubblicato con Boringhieri (Ipotesi sullo sviluppo dell’economia capitalistica, 1963), Johns Hopkins (Structural Change and Growth in Capitalism, 1967), Marsilio (Sviluppo economico italiano e forza lavoro con M. Marocchi, 1970 e Sviluppo e conflitto tra economie capitalistiche, 1973), Feltrinelli (L’economia della domanda effettiva, 1981), Franco Angeli (La domanda di lavoro e l’occupazione giovanile con G. Vazzoler, 1982) e Giappichelli (Stato, mercato e collettività, 2003, 2007).
Finora siamo stati ridotti a risorse umane. Per il neoliberismo noi siamo risorse per l'economia, non è l'economia a essere risorsa per noi. E non è neppure la cosa peggiore che possa capitarci: quanti non sono risorse diventano esuberi e rischiano di essere ridotti a vite di scarto. Che succede però se le "risorse umane" si ribellano scegliendo la via della nonviolenza e del rilancio della democrazia per riaffermare la loro dignità? Queste pagine sono appunti di viaggio per chi vuole inoltrarsi sulla via della rivolta civile pacifica, riflettendo sui modi per rigenerare economia e politica.
Il presente libro si compone di due parti, frutto delle idee congiunte e convergenti dei due autori nell'ambito di un'impostazione comune ed unitaria. La prima parte, di Francesco Bochicchio, evidenzia la crisi della democrazia e del diritto, anche di natura formale, e così della stessa libertà non solo come libertà positiva. La seconda parte, di Giorgio Galli, si incentra sulla crisi della democrazia rappresentativa, di cui si evidenziano la profondità e la gravità.
La crisi globale da cui stiamo faticosamente uscendo è l'ennesima dimostrazione del fatto che le teorie finanziarie tradizionali sono inadeguate. Esse presuppongono infatti che gli investitori siano perfettamente razionali, dando luogo a mercati efficienti. Non è così. Come messo in luce dalla finanza comportamentale, nel mondo reale la maggioranza delle persone non ha tutte le informazioni e conoscenze necessarie per comportarsi da homo oeconomicus, e decide in base a regole di apparente buon senso. Sono quindi fattori psicologici - se non vere e proprie distorsioni cognitive - a far crescere il contagio delle "bolle" e a creare una immeritata fiducia negli "esperti", dal funzionario che ci fa comprare troppe obbligazioni bancarie (Banca Etruria vi dice qualcosa?) ai vari "Madoff dei Parioli" in circolazione che poi scappano con i soldi. Per fortuna ci sono degli accorgimenti che possono proteggerci da errori gravi o, peggio, dal combinare disastri.
Imprenditrice partenopea giramondo che conobbe per la prima volta l'Asia da giovanissima, Stefania Tucci riavvolge la pellicola di un quarto di secolo di viaggi in alcuni dei luoghi più affascinanti della terra. Il suo taccuino tiene meticolosamente traccia dei profondi cambiamenti che hanno attraversato e continuano tuttora a sollecitare questo continente carico di enigmi, dove milioni di individui si sono riscattati dalla condizione di povertà assoluta inseguendo il mito del benessere dischiuso dal capitalismo occidentale. L'occhio dell'autrice indaga curioso l'umanità varia e assortita che incrocia: dall'imprenditore all'autista, dall'artista al bagnino, fino a espatriati europei in cerca di un nuovo Eldorado, sono tutti fili che si intrecciano nella trama sapiente di questo libro.
Come i manager vengono scelti e hanno successo nel capitalismo familiare è l'oggetto di questo libro, che si pone due obiettivi: il primo, fornire agli imprenditori spunti di riflessione, suggerimenti, strumenti e metodologie per scegliere i manager più adatti; il secondo, aiutare i manager a rimanere a lungo e in armonia nelle aziende familiari.
Quattro manager hanno dato il loro punto di vista in interviste riportate nella parte centrale del libro: Aldo Bisio di Vodafone che ha lavorato con la famiglia Merloni, Gianni Mion di Edizione Holding, che lavora con la famiglia Benetton e ha lavorato con Marzotto, Lorenzo Pellicioli di De Agostini, che lavora con la famiglia Drago-Boroli e ha lavorato con la famiglia Costa e Mondadori, e Paolo Scaroni di Rotschild che, prima di ENI, ENEL e Pilkington, ha lavorato con la famiglia Rocca.
Quattro dei più grandi esperti al mondo sull'argomento hanno contribuito alla parte teorica: John Davis (Harvard Business School e Cambridge Institute for Family Enterprise), Sonny Iqbal (Egon Zehnder), Robert Kaplan (FED, Harvard Business School e Goldman Sachs), Eric Salmon (Eric Salmon & Partners).
La povertà di gioia che l'Europa e l'Occidente conoscono ormai da tempo è conseguenza diretta dell'oblio della logica e della sapienza delle beatitudini evangeliche. Esse incorporano ed esprimono i valori scartati e disprezzati dal capitalismo, e quindi dal nostro mondo sempre più costruito a immagine e somiglianza del "dio business". Mitezza, costruzione di pace, povertà, misericordia, purezza, non sono le parole dell'economia capitalistica e della sua finanza, perché se le prendessimo sul serio dovremmo disfare i nostri imperi di sabbia e iniziare a edificare la casa dell'uomo. Non a caso, nel risveglio, inatteso e sorprendente, delle beatitudini in molta parte d'Europa, i grandi assenti sono le grandi imprese e le banche, che continuano indifferenti le loro produzioni e i loro riti.
Chi disegna i confini della sicurezza? In omaggio online: contenuti integrativi e versione digitale del testo.
Luciano Gallino non era un euroscettico. Considerava l'Unione Europea la più grande invenzione politica, civile ed economica degli ultimi due secoli. Ma vedeva con sofferenza questa Europa ridotta al servizio delle potenti lobbies della finanza e delle banche, portavoce delle maggiori élites europee a scapito dei diritti fondamentali della grande maggioranza dei cittadini e, cosa ancor più grave, culla di un'inarrestabile redistribuzione del reddito e della ricchezza dal basso verso l'alto, con la conseguente crescita delle disuguaglianze. Era sua convinzione che le politiche economiche e sociali dettate dai mercati finanziari hanno portato gli Stati a una cessione di sovranità in materia di spesa per protezione sociale, scuola, università, quota salari sul Pil, contratti di lavoro e molto altro ancora. L'euro si è così trasformato nello strumento della vittoria del neo-liberismo su ogni altra corrente di pensiero. A causa di un'errata interpretazione della recessione, il peso esorbitante del sistema finanziario non ha avuto un freno, le relazioni industriali sono arretrate, i sindacati sono stati ridimensionati, la mancanza di occupazione mostra il profilo di una catastrofe sociale. Prima che gli effetti del dissennato 'Patto fiscale' facciano scendere una cappa soffocante di miseria sulle prossime generazioni, Luciano Gallino elenca i modi concreti per uscire dall'euro, rimanendo l'Italia paese membro dell'Unione europea.
«Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse». Così scriveva nel 1776 Adam Smith, il padre dell’economia moderna. Da allora ci sentiamo ripetere che è l’egoismo a muovere il mondo; tutto – oggetti, persone, idee – è misurato sulla base di un unico metro, il mercato, ma le conseguenze estreme di questa fede cieca nell’Homo œconomicus sono ormai da tempo sotto gli occhi di tutti.
C’era però qualcuno che lavorava per Adam Smith, e non per egoismo: sua madre. Per l’economia il suo lavoro, come quello che le donne hanno sempre svolto dentro le case, in famiglia e nelle proprie comunità, non è mai esistito. Il lavoro femminile non viene calcolato nel Pil; eppure è difficile immaginare cosa sarebbe dello sviluppo, della crescita, del benessere e del Pil senza di esso.
In questo libro provocatorio e irriverente, aggressivo e ironico, Katrine Marçal attacca la base stessa del più tenace mito del nostro tempo, quello della «mano invisibile» dell’economia, mettendo finalmente nella giusta luce l’importanza del «sesso invisibile».