
Dj Fabo, Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Federico Carboni e tanti altri: puntualmente la cronaca e il grande lavoro degli attivisti arrivano a svegliarci dal torpore, ricordandoci l'urgenza di un tema ancora tabù in Italia, quello dell'eutanasia e del suicidio assistito. Per quanto i singoli casi emblematici catturino sul momento l'interesse del pubblico e degli studiosi, è difficile che il dibattito porti a una visione profonda e complessiva delle tematiche del fine vita. Anche perché la frontiera del discorso si sposta di continuo, includendo tematiche controverse ma estremamente attuali: per esempio, le questioni connesse alla stanchezza di vivere degli anziani e alle loro sofferenze, generate non solo da patologie di matrice fisica, ma anche vicissitudini di tipo esistenziale. Giovanni Fornero, filosofo ed esperto di questioni bioetiche, si immerge filosoficamente nel tema dell'autodisponibilità esistenziale: la facoltà di un individuo di disporre della propria vita comprende o meno anche Il diritto di andarsene? E fino a dove questo diritto può spingersi? A ben vedere, sono interrogativi di fondo della filosofia, che interessarono pensatori di tutte le epoche, da Seneca, difensore della possibilità di optare per la morte, a Hume - che in Sul suicidio riprese la dottrina di Seneca contrapponendosi alla tradizionale tesi di Kant secondo cui «ciascuno è tenuto a conservare se stesso». La riappropriazione completa della propria esistenza, e quindi anche della morte, fu poi teorizzata da Nietzsche: «Muori al momento giusto: così insegna Zarathustra». Muovendosi non solo su un piano etico e bioetico, ma anche giuridico e biogiuridico, "Il diritto di andarsene" ricostruisce il complesso dibattito sul tema in una ricerca interdisciplinare e documentata, e allo stesso tempo di grande chiarezza divulgativa. Nel dialogo tra etica e diritto, Fornero dimostra come alla base delle norme giuridiche che regolano la nostra società ci siano spesso principi filosofici, in un'idea della filosofia come attività intellettuale che deve occuparsi non solo del presente, ma anche e soprattutto del futuro. Prefazione di Marco Cappato.
"Usiamo dunque questo discorso che ci si dischiude adesso come una guida, ché esso ci indica che questo è il modo migliore di vivere: sia vivere che morire esercitando la giustizia così come ogni altra virtù". Il Gorgia è un dialogo straordinariamente ricco, che intreccia in maniera filosoficamente originale temi fondamentali quali la retorica, la morale, la politica, la felicità e il destino dell'uomo. La profonda critica della retorica che Platone affida al personaggio di Socrate, anche una critica alla democrazia ateniese, nonché a a un modo di vivere, di comunicare e di stare insieme fondato sulla persuasione strumentale degli altri all'insegna di un'etica del successo, entro cui gli individui sono sedotti dalle apparenze e vivono una vita inautentica e immorale; a siffatto modello politico ed esistenziale, propugnato da retori come Gorgia Polo, e accolto in Città da ciniche e ambiziose figure come Callicle, che teorizza il diritto del più forte prevaricare sui più deboli, Socrate contrappone un modo di vivere "filosofico", all'insegna della ricerca della verità, dell'esercizio della giustizia e della comunicazione autentica, sincera sempre orientata al bene degli altri. Il confronto tra i due modi stare al mondo è rappresentato in modo drammaticamente efficace, entro conversazioni particolarmente violente fra Socrate e i suoi avversari, in un clima fosco e conflittuale e con una comunicazione aggressiva, densa di tensione, che ben restituisce la rilevanza della posta in gioco e rappresenta plasticamente la crisi sociale e morale della democrazia ateniese degenerata in demagogia.
"Individuare una forma di associazione che difensa e protegga tramite la forza comune la persona e i beni di ciascun associato e attraverso la quale ognuno, unendosi agli altri non obbedisca purtuttavia che a se stesso e rimanga libero come prima. Ecco il problema fondamentale cui il contratto sociale offre la soluzione". La lunga riflessione circa la corruzione della società, il cui progresso è secondo l'autore fonte di degrado della natura umana, sfocia nel Contratto come rimedio a quel male ingenerato dalla società medesima. Tale rimedio non consiste nel ritorno a uno stato di natura ormai perduto in cui gli uomini erano ugualmente liberi, bensì nella riforma dei principi che fondano e ispirano l'associazione etico-politica tra gli stessi. La carica innovativa de Il Contratto sociale è proprio da cercarsi in questa rottura netta rispetto al passato.
L'esperienza della pandemia ci ha rivelato un mondo sconosciuto, diverso da quello che credevamo possibile. In questo nuovo mondo ci siamo sentiti parte di una società planetaria, sempre più unita e interconnessa, ma al tempo stesso frastagliata, minacciata dal disastro ecologico, percorsa da diseguaglianze che continuano a inasprirsi. È da questo senso di smarrimento percettivo che muove Judith Butler, per riflettere sulla nostra condizione di interdipendenza e ripensare i concetti che guidano il nostro agire etico e politico. Se non possiamo più dubitare che la nostra esistenza sia legata all'ambiente che ci circonda, a venir meno è allora l'idea liberale dell'individuo chiuso in se stesso, fondata sull'interesse personale e sulla proprietà privata. È la vita umana a essere messa a nudo, una vita colta nel suo intreccio inestricabile con tutte le altre forme viventi e con il pianeta, nell'urgenza, ormai ineludibile, di lottare contro la distruzione ambientale e di ricreare insieme un mondo abitabile.
Il volume propone una nuova coniugazione tra ricerca spirituale e prassi politica. L'intera storia moderna viene riletta alla luce delle radici giudaico-cristiane e con l'obiettivo di rilanciare la potenza originaria della speranza messianica, cioè della speranza di un Regno di pace, di giustizia e di libertà. Il libro contiene la Carta della Nuova Umanità, un documento presentato il 25 marzo 2023 all'Università Pontificia Salesiana e che può essere sottoscritto da quanti avvertono i pericoli dell'attuale visione antropologica materialistica.
C'è un collegamento tra l'intelligenza digitale e il rispecchiamento emotivo, soprattutto quando ci si relaziona attraverso i canali Social, e in modo particolare quando ci si imbatte nell'hate speech. Questa è una ricerca svolta nel campo dell'educazione digitale e della pedagogia applicata alle neuroscienze. Un libro utile per il corpo docente (insegnanti di materia e di sostegno), per gli educatori, per chi si occupa di percorsi di media education e per i genitori di bambini e ragazzi che hanno a che fare quotidianamente con la comunicazione digitale attraverso i devices.
I grammatici antichi cominciavano dalla voce la loro trattazione del linguaggio, distinguendo con cura la voce confusa degli animali il nitrito dei cavalli, l'urlo rabbioso dei cani, il ruggito delle fiere e il sibilo del serpente, dalla voce articolata degli uomini. L'antropogenesi, il diventar umano del vivente uomo coincide cioè con un'operazione sulla voce, che la rende significante, trasformando il verso espressivo dell'animale in uno strumento impareggiabile di dominio e di conoscenza. Ma che cos'è una voce articolata? Attraverso una paziente indagine archeologica, il libro ricostruisce il senso e le modalità di questa articolazione della voce, interrogando la funzione che in essa ha svolto l'invenzione della scrittura e revocando innanzitutto in questione il rapporto fra voce e linguaggio, fra il nome e il discorso, fra chiamare e significare. Situare il linguaggio nella voce significa, infatti, articolare insieme non soltanto il suono e il senso, ma anche il vivente e il parlante, il corpo e la mente, la natura e la storia. La riflessione sulla voce è allora inseparabile da una riflessione sulla natura umana e costituisce in questo senso un problema essenzialmente politico, perché in esso ne va ogni volta della decisione di ciò che è umano e di ciò che non lo è.
Costante è stato il confronto di Ricoeur con Kant, in particolare con la dottrina del male radicale contenuta in La religione nei limiti della semplice ragione. I saggi qui per la prima volta tradotti e raccolti possono essere visti come la ricapitolazione di questo confronto, una messa a punto sulla filosofia della religione kantiana, intesa come «ermeneutica filosofica della speranza». Un'ermeneutica che ha a suo fondamento un enigma storico-esistenziale - «il fatto che il libero arbitrio esiste solo sotto la forma del servo arbitrio» - e un paradosso antropologico: l'inerenza nell'uomo di una tendenza al male morale innestata su una disposizione al bene. Il male - quale inversione, nelle massime dell'azione, della priorità tra il dovere e il piacere - è sì radicale ma non originario: sta qui, nota Ricoeur, il pelagianesimo di Kant. Per lui la religione è, nella sua essenza, rigenerazione del principio buono nella volontà cattiva. Una rigenerazione che è una dialettica tra sforzo morale e dono della grazia.
In questo straordinario «resoconto» di un viaggio a Lourdes, compiuto per osservare con imparzialità scientifica i fenomeni considerati miracolosi presso il famoso santuario, Carrel narra come venga coinvolto nella vicenda di una ragazza ammalata, gravissima e incurabile, che viene condotta dalla Madonna in una estrema speranza di guarigione prodigiosa. Contrariamente a ogni sua previsione di medico saldamente legato a una visione «positiva» dei fatti biologici, egli assiste al miracolo, che descrive con partecipazione ansiosa, incredula e poi stupefatta. L'autore non depone il suo atteggiamento da scienziato, tuttavia entra «in una indicibile confusione di pensiero», poiché nelle domande che gli si affollano dentro non si tratta «di una semplice adesione ad un teorema di geometria, ma di cose che possono cambiare l'orientamento della vita». Ed ecco la conversione, della mente e del cuore, e lo sbocciare in lui della preghiera. L'autore, pur non diventando un «bigotto» e mantenendo la sua vigile disposizione critica, diventa e rimane un cristiano, come attestano le originali Meditazioni e i Frammenti di diario qui aggiunti.
Conoscere Edith presenta la vita di santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, con accenni al suo pensiero filosofico e religioso.
Il profilo attinge fedelmente dai suoi scritti autobiografici, scoprendo una vita che è un quadro multicolore: dipinto con le dolci tinte degli affetti familiari, i vivaci colori delle amicizie, le intense tonalità degli amori, dei sogni e delle ambizioni.
Una storia di vita vissuta in Germania, in un ambiente colto e borghese, nel cuore dell’Europa novecentesca, segnata dal succedersi di due guerre mondiali, dalla nascita di nuove scienze, dal fiorire di un nuovo pensiero... anche quello di Edith.
Antonella Pezzo è laureata in Scienze Religiose e insegna Religione Cattolica. Da alcuni anni tiene corsi di formazione gratuiti sugli angeli a bambini e adulti.
Nel 1453, subito dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi, mentre i più progettavano una nuova crociata, Niccolò Cusano scrisse il De pace fidi. In esso si immagina un Concilio tenuto in cielo tra i filosofi di tutte le religioni, alla presenza del Verbo, cioè Cristo, degli apostoli Pietro e Paolo e del Signore stesso, per ricercare la pace tra le diverse fedi. Essa viene effettivamente trovata grazie al generale riconoscimento che, al di là delle diversità teologiche e di culto, è sempre un unico Dio quello che in realtà tutti i popoli hanno adorato, nella comune ricerca della beatitudine eterna. Religio una in rituum varietate: una sola religione nella diversità dei riti, è la formulazione sintetica che Cusano offre per una vera e duratura pace religiosa. Opera straordinaria per i tempi in cui fu pensata e scritta, La pace della fede è un testo che ha ispirato nei secoli molti filosofi sul tema dei conflitti religiosi, ma che non manca di rivelare tutta la sua attualità nel nostro tempo.
In una società che diventa sempre più multiculturale è ancora possibile garantire una convivenza armoniosa, fondata su valori condivisi? O dobbiamo rassegnarci all'idea di un inevitabile scontro, o almeno di una inevitabile incomunicabilità, tra "noi" e "loro"? Questa domanda rinvia a quest'altra: esiste oggettivamente una comunanza essenziale tra tutti gli esseri umani? E la ragione umana è in gradi di cogliere verità e valori realmente universali, perciò universalmente condivisibili? In questo testo la risposta affermativa va di pari passo con la tesi che la verità oggettiva vada ricercata collaborativamente, come dice il titolo: con un dia-logo in cui ogni soggetto non rinunci al logos, cioè alla sua inestirpabile competenza a conoscere il vero. Prefazione di Massimo Borghesi.

