Pubblicato a Princeton nel 2002 e nel 2008 insignito del "Premio Europeo d'Estetica" conferitogli dalla Società Italiana d'Estetica, L'estetica della mimesis di Stephen Halliwell porta a uno tra i più antichi e problematici concetti dell'estetica occidentale un contributo non meno importante di quello a suo tempo offerto dal celebre libro Mimesis di Erich Auerbach, confermando definitivamente che il rapporto tra la visione antica e la visione moderna dell'arte è molto più complesso di quanto le più correnti ricostruzioni storiche lascino pensare. Composto da dodici capitoli, preceduti da un'introduzione generale, il libro si articola in tre parti: le prime due si occupano del pensiero di Platone e di Aristotele; la terza indaga la vicenda della mimesis nella filosofia ellenistica e nel neoplatonismo, e infine dal Rinascimento ai nostri giorni e, confrontandosi con alcune tra le più influenti teorie letterarie e filosofiche contemporanee (da Brecht, Benjamin e Adorno, a Barthes, Derrida e Danto), mostra come l'antica problematica della mimesis possa insospettabilmente annidarsi anche entro proposte teoriche di stringente attualità.
La filosofia di Platone costituisce un punto di riferimento primario per tutta la storia del pensiero occidentale, e il secolo appena trascorso non fa eccezione. Numerosi e importanti filosofi del Novecento non solo hanno sentito la necessità di confrontarsi con Platone, ma hanno anche concesso largo spazio al pensiero platonico e alla nozione di ‘platonismo’ all’interno delle loro elaborazioni teoriche. Questo confronto, soprattutto nei contesti più influenzati dalla speculazione di Nietzsche, ha assunto assai spesso la forma della critica, del distacco e, a volte, anche della ripulsa. Lo scopo di questo libro consiste nel mostrare da un lato che questa ripulsa si basa per lo più su un’immagine di Platone e del platonismo forzata in senso dogmatico e quasi formulare, dall’altro che il pensiero di Platone, se correttamente inteso, non ha mai cessato di costituire l’orizzonte ultimo entro il quale possono e devono essere posti i problemi filosofici che ancora interessano l’uomo contemporaneo.
Franco Trabattoni è professore ordinario di Storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Milano. È autore di numerose monografie sulla storia del pensiero antico, di taglio generale e particolare, nonché di studi specialistici comparsi in riviste e volumi collettivi, dedicati soprattutto a Platone e alla storia del platonismo. Tra i volumi ricordiamo: Scrivere nell’anima: verità, dialettica e persuasione in Platone (Firenze 1994); Platone (Roma 1998); Filosofia antica. Profilo critico-storico (Roma 2002); La verità nascosta. Oralità e scrittura in Platone e nella Grecia classica (Roma 2005). È direttore della rivista internazionale di filosofia antica «Méthexis».
L’interrogativo che regge il pensiero scritturale qui presentato è se possa esistere, nella contemporaneità, un appello utopico ad un lingua poetica che sappia accogliere l’alterità, esprimere le sue condizioni di esilio, annunciarne il desiderio di futuro. Intorno a questi nuclei di analisi, La lingua di Cleopatra tesse – è la forza stessa della traduzione interpretata dalla figura shakesperiana – legami strettissimi con il pensiero utopico di Walter Benjamin (e della Scuola di Francoforte), con la filosofia di Jacques Derrida nell’intreccio con il poststrutturalismo di Paul de Man, col pensiero postcoloniale di Gayatri C. Spivak nella sua vicinanza d’ispirazione con l’écriture feminine di Hélène Cixous. La prospettiva è quella che s’interessa così al dibattito teorico sulla traduzione, all’intertestualità, alla (dis)appropriazione autoriale, alla sperimentazione di nuove forme della comunicazione artistica, con la musica, il cinema, il reportage giornalistico.
Il positivismo italiano è stato di solito un ottimo sparring partner per ben più agguerriti e robusti lottatori teoretici che, nel prendere le distanze da esso, hanno trovato anche l'occasione per caratterizzare in modo originale la propria prospettiva: l'idealismo prima, il marxismo poi, ed insieme ad essi tutta una serie di correnti che hanno segnato la storia della filosofia italiana dall'Unità ad oggi (spiritualismo, neotomismo, esistenzialismo, per finire con l'ermeneutica), hanno contribuito in modo convergente a creare una "cattiva stampa" del positivismo italiano, magari per contrapporgli più nobili e degni parenti di schiatta europea.
"La cultura filosofica italiana dal 1945 al 2000 attraverso le riviste" è il tema del convegno di studi organizzato a Palermo nel novembre del 2005, i cui Atti sono stati pubblicati nel 2006 con il titolo "La cultura filosofica italiana attraverso le riviste. 1945-2000". Così come preannunciato nella nota introduttiva di quel volume, puntualmente, a distanza di meno di due anni (nell'aprile del 2008), è stato organizzato un secondo convegno, rivolto alla ricostruzione storica della filosofia italiana della seconda metà del secolo XX, attraverso la rilettura delle riviste filosofiche edite nel nostro paese. Questi due convegni si legano agli altri organizzati nel maggio 2001 (Le avanguardie della filosofia italiana nel XX secolo), nell'ottobre 2002 (Giovanni Gentile. La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo) e nel marzo 2004 (Idealismo e anti-idealismo nella filosofia italiana del Novecento). Si tratta di testi fondamentali per chi volesse ripercorrere le tappe più significative della cultura filosofica italiana del Novecento, posta a confronto con quella europea ed extraeuropea, sulla scia del convegno di Anacapri organizzato nel 1981 e i cui Atti (La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980) furono pubblicati nel 1982, segnando una nuova stagione di storiografia filosofica.
Non "che cosa" è ciascuno, ma "chi" è: si potrebbe sintetizzare così la categoria di "unicità" elaborata da Hannah Arendt. In una prospettiva femminista, Cavarero utilizza l'unicità per polemizzare contro due posizioni della filosofia contemporanea. Ogni essere umano, nella sua unicità, desidera ricevere da un altro il racconto della propria storia. Solo gli altri possono scorgere il disegno di un'identità nel corso della sua esistenza e raccontarla in presa diretta, in sua presenza. Contro le astrusità e i luoghi comuni della filosofia, Cavarero convoca Hannah Arendt, Karen Blixen, Edipo, Borges, Ulisse, Rilke, Euridice, Sheherazade per illuminare i racconti con cui ci desideriamo reciprocamente e che ci donano un ritratto in cui riconoscerci.
La storia della ricezione della Servitude volontaire è quasi unica nel panorama della filosofia cinquecentesca europea ed extraeuropea. La massa di traduzioni nelle diverse lingue lo testimonia (latino, italiano, tedesco, belga, olandese, portoghese, norvegese, svedese, danese, spagnolo, rumeno, russo, serbo-croato, inglese, americano, giapponese...). Dall'anonimato al rogo in quanto 'pericolosa' o, all'opposto pura (e improbabile) esercitazione retorica a 'microcosmo della rivoluzione', di ogni rivoluzione possibile, la Servitude volontaire ha legato il suo destino ai momenti storici più significativi dell'età moderna, intesa come storia dell'emancipazione umana e della sua libertà: la rivoluzione americana, la rivoluzione francese, la rivoluzione napoletana del 1799, le lotte operaie a Lione e a Parigi del 1835, la rivoluzione del 1848, la liberazione dal nazi-fascismo. Ma al di là della contingenza storica, il messaggio laboetiano è la ripresa dell'eterno monito dello spirito sano, individuale e collettivo: liberarsi dalle catene. Un messaggio indirizzato a tutti coloro che non vogliono divenire pectora caeca.
Attraverso motivi e suggestioni della tradizione filosofica, una riflessione su alcuni significativi aspetti e occorrenze dell'essere e del sentire.