Buona parte della filosofia politica moderna, da Machiavelli fino a Hegel e poi ancora al '900, pensa il popolo secondo i criteri di un razionalismo astratto. E così il popolo, anche in teorici della democrazia, finisce per diventare una "finzione": se ha realtà, è solo quella del pensiero. I risultati sono stati due. Da un lato, a questo popolo fantastico si è affidata la sorte dell'emancipazione facendone un soggetto collettivo della salvezza: in tal senso, c'è un filo rosso che collega Robespierre a Marx e a buona parte del pensiero rivoluzionario del '900. Dall'altro, quando si è denunciata la pericolosità di queste concezioni del popolo, si è arrivati, per un eccesso di realismo, al polo opposto, affermando che il popolo non esiste e che è sempre stato il prodotto di un pensiero ideologico. Da cui l'invito a convincersi che anche la democrazia non è né potrà mai essere "governo del popolo", ma governo di élite in competizione per il voto. C'è un'alternativa a questi due estremismi che ci condannano, rispettivamente, all'illusione o all'apatia? In gioco è il futuro della democrazia.
«Obbedite ai poteri. Se ciò vuol dire "cedete alla forza", il precetto è buono ma superfluo e posso assicurare che non sarà mai violato. Ogni potere viene da Dio, lo riconosco; ma anche ogni malattia viene da lui. Ciò significa che è vietato chiamare il medico? Supponiamo che un brigante mi sorprenda nel passaggio di un bosco: non solo bisogna per forza che gli consegni la borsa, ma, nell'eventualità che potessi sottrargliela, sarei in coscienza obbligato a dargliela ugualmente? Perché, in ultima analisi, la pistola che ha in pugno è anch'essa un potere. Riconosciamo, dunque, che la forza non fa il diritto e che si è obbligati a obbedire solo ai poteri legittimi.» (Du contrat social, I, 3)
Confessarsi è un dialogo, anche quando è parlare di se con se stessi. Questo saggio intende esaminare gli slittamenti di significato di uno stesso genere letterario - le Confessioni - confrontando le celebri pagine di Agostino e di Rosseau: in gioco è il dialogo interiore nel passaggio dalla confessio agostiniana alla moderna "storia dell'anima", e con esso la costituzione dell'identità e della trascendenza, alla dura prova dell'aterità interiore, del male e della colpa. Temi che, sorpresi qui nella loro dimensione dialogica, fanno affiorare la specificità della "confessione" in pensatori fra loro così distanti. Un approccio capace, al contempo, di far luce sul reciproco implicarsi, nell'opera di Rosseau, di scritti autobiografici e morali, politici e padagogici.
"Ho visto il male e ho cercato di trovarne le cause". Così scrive Rousseau a Charles Bordes riferendosi al suo Discorso sulle scienze e sulle arti. In questa ricerca, che prende le distanze dal dogma cristiano così come da tutti gli altri precedenti tentativi di risolvere il problema, Rousseau ha impegnato l'intera sua riflessione e si può dire, senza esagerare, che intorno a essa si dispone, come un filo rosso, tutta la biografia intellettuale del ginevrino. Non solo la filosofia ne viene coinvolta, ma l'esistenza stessa di Jean-Jacques, e stanno a dimostrarlo gli scritti autobiografici, dalle Confessioni ai Dialoghi alle Fantasticherie del camminatore solitario.
Questo libro cerca di seguire, nell'intero arco della produzione di Rousseau, il dipanarsi di un tema sul quale nel Settecenti si è intessuto un fitto e articolato confronto, che ha trovato un importante punto di condensazione in occasione del terremoto di Lisbona, tragicamente abbattutosi sulla città il giorni di Ognissanti del 1755. Da tale confronto provengono interrogativi che ancora provocano e stimolano non solo la filosofia, ma chiunque abbia interesse a chiarificare il senso ultimo della sua esistenza.
Composta tra il 1317 e il 1329, l'opera che qui viene tradotta per la prima volta in italiano è il capolavoro del filosofo provenzale Lewi ben Gersom (Gersonide, 1288-1344), la figura più significativa del pensiero ebraico aristotelico dopo Maimonide. Le guerre del Signore costituiscono una vera e propria summa dei principali temi della speculazione medievale, affrontati da una prospettiva rigorosamente filosofica ma fedele al tempo stesso agli insegnamenti sapienziali della propria tradizione religiosa, in una sorta di "armonia prestabilita" tra la filosofia e la Torah. I temi affrontati spaziano dalla polemica contro lo stile di scrittura esoterica di Maimonide e dalla questione dell'immortalità individuale dell'anima fino all'analisi delle forme non-razionali della conoscenza umana (sogno, divinazione e profezia), al problema della teodicea e della conoscenza divina dei futuri contingenti, per arrivare all'elaborazione di una visione del cosmo in cui dati astronomici e astrologici si compongono in un grandioso affresco cosmologico, al cui interno viene impostato e finalmente risolto il problema della dimostrazione razionale della creazione dell'universo. In questa traduzione il testo ebraico è stato ricostruito sulla base della editio princeps dell'opera (1560), collazionata con tre autorevoli manoscritti, le cui varianti vengono puntualmente registrate nelle note a pie' di pagina della traduzione.
Il testo affronta le nozioni fondamentali della politica, facendo parlare i filosofi più rilevanti della tradizione occidentale e illustrando i temi salienti del discorso politico (autorità, potere, giustizia, diritti, rappresentanza, diritto di resistenza, costituzione, pluralismo, tolleranza, bene comune, globalizzazione, religione e politica). Se la politica deve essere di tutti, tutti siamo chiamati a conoscerne la storia e i concetti per essere capaci di affrontare il discorso pubblico con argomenti motivati, personali e critici.
La sofferenza di un bambino scuote la nostra indifferenza e ci impone di agire. Lo ha fatto nel dopoguerra don Carlo Gnocchi, dedicando la sua opera di assistenza al «dolore innocente» e fondando l’organizzazione che dal 1957 porta il suo nome.
«Vi raccomando la mia baracca», fu l’ultima frase del sacerdote. Un appello che non è caduto nel vuoto: in oltre mezzo secolo la Fondazione ha assistito centinaia di migliaia di persone, adulti e bambini, in nome di quell’ideale di «dignità della persona umana» che ha ispirato tutta la vita del Beato don Gnocchi.
La Fondazione è da sempre un luogo dove si incrociano storie di dolore e di speranza, dove l’impegno arricchisce emotivamente e intellettualmente chi dona e chi riceve, come racconta in questo libro un manager milanese calato dalla finanza in una realtà che convive ogni giorno con la sofferenza.
La fede aiuta, ma occorre rimboccarsi le maniche e mettere le proprie competenze e il proprio tempo al servizio di una realtà molto più complessa di quanto possa apparire.
Un racconto in prima persona in cui s’intrecciano la vita di don Carlo e le storie dei piccoli ammalati e dei loro genitori. Accanto a chi non ce l’ha fatta, come Carlo, morto di cancro a cinque anni, c’è anche chi ha vinto la malattia, come Dimitri, vittima di un padre violento, o il rwandese Joseph, un «mutilatino» delle nuove guerre. E poi Alessandro, affetto da sindrome di Down e abbandonato dalla mamma.
A distanza di decenni l’insegnamento di don Gnocchi mantiene intatta la sua potenza: tutti possiamo fare la nostra parte per alleviare il dolore innocente, perché i piccoli angeli della baracca sono anche figli nostri.
Roberto Gatti si è laureato in Economia Aziendale all’Università Bocconi di Milano e si è specializzato in Corporate Governance all’IMD di Losanna. È dirigente nell’area Investment Banking di un primario gruppo bancario europeo per il quale ha ricoperto e ricopre diversi incarichi direttivi, fra cui la responsabilità dell’attività di M&A, la funzione di direttore generale della società di Private Equity del gruppo e il ruolo di consigliere di amministrazione di società industriali e finanziarie. È professore di Private Equity e Corporate Governance all’Università Cattolica di Milano ed è autore di numerose pubblicazioni specialistiche apparse sui maggiori quotidiani italiani. È consigliere di amministrazione della Fondazione Don Carlo Gnocchi.
Come ragione e fede debbono convivere nell'esperienza religiosa del cristiano? Come possono cooperare in quell'essenziale compito che consiste nell'incarnazione della Parola entro la vicenda storica, che è costituita non solo dai grandi eventi, ma anche dalla quotidianità, dai gesti, dalle decisioni, dalla testimonianza di ogni giorno? Come può attuarsi oggi la fatica della mediazione tra fede e storia di fronte alle questioni scottanti della crisi della democrazia, della globalizzazione, della convivenza di culture e fedi diverse nell'ambito di una società che è stata definita "multiculturale"? Quali lo spazio e quali i limiti della tolleranza, quale il rapporto tra Stato e mercato in una dinamica dell'economia che non può più essere contenuta nell'ambito dei confini nazionali? Quale significato è attualmente possibile conferire a termini come "vocazione", "responsabilità", "testimonianza"?
Sono questi alcuni degli interrogativi che questo libro affronta, invitando alla riflessione e al confronto tra quanti sono intenzionati a ricercare una forma giusta di coabitazione, sia nel nostro Paese, sia in quel
complesso e pluralistico luogo che è diventato il mondo.