Il Positivismo è stato lotta nei giudizi sulle filosofie e sui filosofi, nelle qualificazioni argomentative e semantiche; su certi modi di fare scienza e sugli scienziati. Ma fu anche la dimostrazione che ad entrambe le parti non mancarono argomenti validi per riformare le posizioni degli altri, difendendo strenuamente le proprie. Enrico De Michelis e Giuseppe Sergi rappresentano due realtà speculari che, non accontentandosi delle dogmatiche positivistiche, escono fuori dalle impostazioni predominanti orientandosi verso posizioni originali, rispettivamente sui temi della storia e dell'evoluzione darwiniana.
Almeno a prima vista, il percorso dell’etica occidentale appare segnato da un’ostilità irriducibile tra logos e pathos. Fin dall’origine, l’affanno filosofico principale sembra dovuto al tentativo di limitare il commercio con le passioni, assumendo il controllo razionale dell’esperienza. Ma più il logos ha cercato di mantenersi puro, più le passioni si sono scatenate, divenendo - soprattutto nel Romanticismo - il controcanto della ragione.
Oggi l’antica discordia si è lentamente trasformata in una separazione senza ritorno. Così, da una parte, il pathos è celebrato nella forma privata e insindacabile dell’emozione; dall’altra, il logos si muove entro la corta misura della ragione scientifica, che - per definizione - è ‘anemotional’. Si tratta di un destino inevitabile? Dipende dalla premessa: se il pathos è ‘alogon’, cioè un ‘altrove’ irrazionale della razionalità, allora è impossibile rimediare ad un’estraneità così radicale. Se, invece, l’affettivo è concepito come un modo di funzionare che è proprio della ragione, se, in altri termini, pathos e logos hanno una radice comune, allora c’è spazio per comporne l’unità.
Muovere da questa seconda premessa non pare insensato: persino coloro che hanno inteso difendere la purezza della ragione, come - ad esempio - gli Stoici, Platone, Descartes, Spinoza, Kant, non sono così lontani dall’idea di una primordiale e reciproca afferenza di logos e affettività. Idea che la tradizione classica (in particolare aristotelica e scolastica) è stata capace di pensare e che la fenomenologia (soprattutto con Michel Henry) ha in qualche modo reinventato, accreditando la consapevolezza che una soggettività razionale finita, situata in un corpo, è pensabile unicamente a partire dalla presenza della ragione negli affetti: non si dà logos se non dentro il campo della ricettività (che va dal sensibile allo spirituale); né si dà affettività umana che non sia, in qualche modo, già innervata dalla ragione.
Paolo Gomarasca insegna Antropologia alla Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e svolge la sua attività di ricerca presso la cattedra di Filosofia morale della medesima Università. Tra i suoi lavori: Rosmini e la forma morale dell’essere (Milano 1998); Il linguaggio del male (Vita e Pensiero, Milano 2001); I confini dell’altro. Etica dello spazio multiculturale (Vita e Pensiero, Milano 2004).
Il Novecento ha rappresentato per la storia della filosofia italiana un secolo di grande interesse. Ciò vale soprattutto per il periodo seguito alla seconda guerra mondiale, al termine della quale, con la caduta del fascismo, occorreva porre rimedio alla chiusura nazionalistica che la cultura italiana aveva conosciuto in tutti i campi, filosofia compresa. Proprio quel nuovo inizio valse a inaugurare la stagione più ricca di fermenti, idee e dibattiti, che riuscirono a traghettare la cultura filosofica del paese fuori dell'isolamento indotto dal fascismo e dall'idealismo imperante. Prestando particolare attenzione alla visione d'insieme ma anche ai singoli apporti di autori o scuole, Carlo Augusto Viano ripercorre in questo volume alcuni momenti della vicenda filosofica italiana del secolo scorso, approfondendo il ruolo che in essa hanno avuto figure come quelle di Croce, Banfi, Abbagnano, Bobbio, importanti tradizioni cittadine (tra tutte, quella torinese) e le principali correnti di pensiero (dall'idealismo all'esistenzialismo e al neoilluminismo).
"Il tentativo di Fausto Gianfreda è quello di muoversi all'altezza che il pensiero di Heidegger qui richiede; di provare cioè a pensare dentro la svolta che i "Beiträge zur Philosophie" costituiscono. E di rischio si deve parlare, perché quello che qui coraggiosamente si intraprende è il tentativo non tanto o perlomeno non solo di rendere conto della svolta all'interno di una prospettiva storico-genetica del pensiero di Heidegger, quanto piuttosto quello di esplorare, certo anche in relazione all'autointerpretazione che Heidegger offre del percorso che ad essa conduce. Ed è proprio il rapporto tra colui che accoglie e l'accolto, che è poi un rapporto che si dipana nelle sue più diverse declinazioni come rapporto tra esserci ed essere, ma anche, inevitabilmente, tra l'umano e il divino, il nodo dentro il quale si incunea il percorso che attraverso i "Beiträge zur Philosophie" (dentro il cammino di pensiero che essi sono e insieme ad esso), ma anche in connessione con la strada aperta da "Sein und Zeit", viene qui lucidamente tracciato da Fausto Gianfreda: il rapporto tra il Dasein e il Sein appunto, inteso ora, nei "Beiträge zur Philosophie", a partire dall'evento svoltante dentro il quale avviene qualcosa come il suo darsi al Da-sein." (Dalla Presentazione di Luca Illetterati)
Bacone selezionò dal copioso repertorio mitologico della tradizione classica e rinascimentale un manipolo di "favole" con cui avviò il suo primo, compiuto progetto di rinnovamento della cultura e della società del tempo. Concepite all'insegna dell'antiaristotelismo e di una inflessibile contestazione delle dottrine scolastiche, le "favole" baconiane prospettarono un esercizio di pensiero sui temi della filosofia, dell'etica, della religione e della politica che si tradusse in una vigorosa e nuova avventura intellettuale e nell'auspicio di un concreto e responsabile progresso dei costumi e delle menti. Qui se ne fornisce una ordinata ricostruzione, nel quadro delle dinamiche presenti nella cultura inglese e in quella europea del sec. XVII, fortemente debitrici nei confronti del sapere umanistico e rinascimentale; si fornisce anche una nuova versione del testo, condotta sulle fonti filologicamente più attendibili.
François Cheng, studioso di origine cinese, membro dell'Accademia di Francia, è considerato il più importante e acuto mediatore culturale tra la Cina e l'Europa. I suoi studi sono un punto di riferimento per chiunque voglia accostarsi e comprendere la cultura dell'Oriente. Ma il suo merito più grande è quello di aver innovato e arricchito la filosofia occidentale di elementi provenienti da un mondo apparentemente molto diverso e lontano. Essendosi dovuto confrontare sin da giovane con il male e la bellezza per esser stato frequentatore, da un lato, di quell'incredibile luogo che è il Monte Lu, nella sua provincia natale, e dall'altro spettatore del terribile massacro di Nanchino, perpetrato dall'armata giapponese, Cheng ci rende partecipi delle sue riflessioni sulle questioni esistenziali più radicali che non hanno mai smesso di tormentarlo.
Se la prima rivoluzione industriale è consistita nell'introduzione del macchinismo, se la seconda si riferisce alla produzione dei bisogni, la terza rivoluzione industriale è per Anders quella che produce l'alterazione irreversibile dell'ambiente e compromette la sopravvivenza stessa dell'umanità. In un mondo in cui la macchina è diventata soggetto della storia, l'uomo risulta superato, "antiquato", appunto. In venticinque saggi su temi che vanno da L'apparenza a Il male, passando per La massa, Il lavoro, Le macchine, L'individuo, Le ideologie, Il conformismo, Il privato, La morte, La realtà, La libertà, La storia, La fantasia, Lo spazio e il tempo, Anders pratica un filosofare senza sistema precostituito. Eppure la sua "filosofia di occasione" o, come pure egli dice, en plein air, ha saputo cogliere per tempo i prodromi della trasformazione che sarà detta impropriamente postmoderna e che per Anders altro non è che il frutto della riduzione di tutto, del mondo e dell'uomo, a "materia prima" indefinitamente manipolata da una tecnica sfuggita a ogni controllo.