«Un Julien Sorel all'epoca della crisi»: così venne presentato, alla sua comparsa nelle librerie francesi, il protagonista di questo romanzo. Come l'eroe di Stendhal, Jean-Luc Daguerne non ha che un desiderio: «afferrare il mondo a piene mani», diventare uno di quelli che gestiscono il potere e gli affari. Per riuscirci accetterà di essere umiliato, di mentire, di adulare, di fare il doppio gioco, e persino di tradire il suo unico vero amico. Finché scoprirà che il patto faustiano non è che una beffa: «Il successo, quando è lontano, ha la bellezza del sogno, ma non appena si trasferisce su un piano di realtà appare sordido e meschino».
Eléonore Delacourt ha venticinque anni e ama la lentezza. Invece di correre, passeggia. Invece di agire d'impulso, riflette. Invece di dichiarare il suo amore al professore di Filosofia alla Sorbonne, sogna. E non salirebbe mai e poi mai su un aereo, in nessuna circostanza. Timida e inguaribilmente romantica, Nelly adora i vecchi libri, crede nei presagi, piccoli messaggeri del destino, diffida degli uomini troppo belli e non è certo coraggiosa come l'adorata nonna bretone con cui è cresciuta, che le ha lasciato in eredità l'oggetto a lei più caro: un anello di granati con dentro una scritta in latino, "Amor vincit omnia". Sicuramente, Nelly non è il tipo di persona che di punto in bianco ritira tutti i propri risparmi, compra una costosissima borsa rossa e in una fredda mattina di gennaio lascia Parigi in fretta e furia per saltare su un treno. Un treno diretto a Venezia. Ma a volte nella vita le cose, semplicemente, accadono. Cose come una brutta tosse e una delusione d'amore ancora più brutta. Cose come una frase enigmatica trovata dentro un vecchio libro della nonna, con accanto una certa citazione in latino...
"La presente edizione dell'intera opera poetica di Mallarmé, corredata di traduzione e commento, si propone di contribuire a far partecipe il maggior numero di lettori italiani della difficile e schiva bellezza di questa poesia. Il commento utilizza gli apporti più rilevanti della critica mallarmeana, sulla base di una lettura personale (che consiste, necessariamente, d'innumerevoli riletture) costantemente tesa nello sforzo di raggiungere, di auscultare il poeta, e lui solo. La traduzione, condotta sull'edizione de "La Plèiade", è nata dalla mia personale esigenza di comprendere Mallarmé attraverso un'attenzione e una tensione di lettura superiori al normale, quali, cioè, una traduzione di poesia le richiede. Il criterio fondamentale cui mi sono attenuta è stato quello d'una fedeltà globale al poeta, che dedicandosi scrupolosamente alla traduzione dell'opera sua, andasse assorbendone di pari passo i modi espressivi, il gusto, i vizi e le manie, cercando di ottenere effetti simili con mezzi simili; che fosse, in sostanza, una sorta di imitazione di Mallarmé." (Luciana Frezza)
Può la lettera di uno sconosciuto cambiar la vita? E quello che si chiede Flavie quandi si vede recapitare una busta misteriosa data ta 1971. Una busta arrivata con quarantatn anni di ritardo. Non ha idea di chi possa esseri Lili, la destinataria. Eppure la curiosità è co forte che Flavie decide di aprirla. Il contenuto, scritto a mano in una calligrafia elegante, la sorprende: perché quelle righe le ricordano i romanzi che ama scrivere. Quelle righe nascondono una storia d'amore in cui un uomo supplica Lili di raggiungerlo e di sposarlo. Un uomo che si firma solo con E. Flavie non ha altri indizi. Non ha altre informazioni se non una richiesta fatta con il cuore che forse non è mai stata ascoltata. Forse quelle parole, perse nel vento, hanno modificato il destino di due persone per sempre. Flavie deve trovarle. Deve sapere se sono state divise tutti questi anni da uria lettera mai arrivata. Perché ha bisogno di Credere anche lei che possa esistere qualcosa più forte di tutto. Più forte del tempo, degli sbagli, delle scelte, degli imprevisti. Qualcosa che Flavie ha trovato solo nei romanzi, mai nella realtà. La ricerca la porta nel Sud della Francia, dove scopre che forse non tutto è perduto. Che forse è ancora possibile riannodare i fili spezzati del passato. Perché ci sono amori che non si possono dimenticare. Ci sono emozioni che cambiano ogni cosa. E Flavie, trascinata da quello che la lettera le ha rivelato, è pronta finalmente a viverle.
Il giovane parroco di Ambricourt si rivolge al suo gregge come «un povero mendicante che va di porta in porta a mano tesa senza aver animo neppure di bussare», preoccupato e stupito dalla noia, dal disamore, dall'aridità della piccola comunità a lui affidata. La sua vita quotidiana è ridotta all'essenziale, il suo corpo, goffo e magrissimo, è minato da un male incurabile: proprio questo sacerdote "vincente" su di sé e sugli altri è per Bernanos il simbolo di una religiosità autentica. Una forza e una dignità incrollabili sostengono infatti il giovane prete che, pur sperimentando dentro di sé l'angoscia del dubbio, è capace di riaccostarsi alla pienezza della fede, accettando e facendo accettare agli altri, in uno slancio d'amore, il suo destino.
Il romanzo, pubblicato in origine come feuilleton, uscì in forma completa nel 1843. In quest'opera Balzac mostra a pieno le sue doti narrative e descrittive, concentrandosi su intrighi, complotti e avvincenti colpi di scena, inseriti in una Parigi sapientemente delineata, carica di paesaggi e ambientazioni affascinanti. La storia parte da un fatto di cronaca realmente accaduto: il rapimento del conte Dominique Clement de Ris da parte di alcuni agenti di Fouché, ministro della polizia al tempo di Napoleone. Attraverso diverse vicissitudini viene tratteggiata, con grande abilità e dovizia di particolari, la società francese dell'epoca, in un noir in cui storia e politica si intrecciano alla perfezione. Il magistrale stile di Balzac conduce a un finale amaro, che fa indubbiamente riflettere, offrendo spunti interessanti anche al lettore odierno. Introduzione di Pietro Paolo Trompeo.
Provocante resoconto autobiografico dei primi ventisei anni del grande scrittore francese, Se il grano non muore prende avvio dall'infanzia di Gide, mettendone in evidenza le difficoltà relazionali, l'oppressiva figura materna, il puritanesimo di un'educazione claustrofobica, e ne segue poi la crescita e la continua lotta contro questa rigida impostazione, in nome di una fedeltà inflessibile a se stesso e alla propria, anche contraddittoria, autenticità. Dalla scoperta della propria omosessualità all'amore platonico per la cugina-moglie Madeleine, dalle crisi etiche all'equilibrio tra estasi e purezza morale, Gide in questo libro, parallelamente a quanto andava facendo nei Diari, fa di se stesso un personaggio letterario, un personaggio però che, a differenza delle creazioni romanzesche, non può essere tacciato di falsità.
"Quelle gioie da amanti che provammo insieme mi sono state tanto dolci che non possono nè dispiacermi nè sfuggirmi dalla memoria. Dovunque mi volga sono sempre presenti ai miei occhi e mi accendono di desideri. Anche quando dormo la loro suggestione mi tormenta. Perfino durante i solenni riti, quando più pura deve essere la preghiera, le immagini impudiche di quelle voluttà inchiodano tanto nel profondo l'infelicissimo mio animo che mi sento disposta più a quei turpi godimenti che alla preghiera. E cosi, mentre dovrei gemere per quel che ho commesso, piuttosto sospiro per quel che ho perduto. E non quel solo che facevamo allora, ma anche i luoghi e i momenti in cui godemmo, e tu stesso, mi siete a tal punto dentro l'animo che agisco come se fossi con te in quel tempo, e nemmeno quando dormo riesco ad avere pace da queste immagini. Talvolta anche i miei movimenti tradiscono i pensieri dell'animo e la parola mi prorompe incontrollata. Oh me infelice! come potrei ben ripetere il lamento dell'anima dolente: 'Infelice me! chi mi libererà da questo corpo di morte?'. Almeno potessi aggiungere sinceramente le parole che seguono: 'La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore'. A te, o carissimo, questa grazia porse aiuto quando con una sola piaga ti liberò dai desideri del corpo, e così insieme anche da molti peccati dell'anima. Proprio per questo, invece di esserti nemico come può sembrare, Dio ti ha favorito, a guisa di un premuroso medico che non risparmia la sofferenza pur di conseguire la salute."
Raramente Simenon ha creato un intreccio così ricco e frizzante come in questo romanzo, che è stato definito «un Maigret senza Maigret», e in cui ritroviamo, in compenso, alcuni dei suoi celebri «comprimari»: Lucas, qui promosso commissario, e il perennemente scalognato ispettore Lognon. Sullo sfondo dei quartieri più chic di Parigi, tra i caffè degli Champs-Élysées e gli alberghi di lusso intorno all'Opéra, lo scrittore si diverte a mescolare con spettacolosa abilità la scomparsa di un cadavere, una banda di gangster, una «pupa» che è uno schianto, un faccendiere ungherese, l'alta finanza, l'alta società, la Polizia giudiziaria e un rapimento da film americano. Ma, soprattutto, dà vita a uno dei suoi personaggi più accattivanti: Ugo Mosselbach, detto il Sorcio, un anziano barbone di origine alsaziana (in passato organista e insegnante di solfeggio), il quale, tutt'altro che mortificato dalla sua condizione, è una sorta di guitto beffardo, che Simenon descrive così: «un ometto magro, con due occhi eccezionalmente vivaci e maliziosi, una peluria rossiccia che tendeva al bianco sporco e un modo personalissimo di portare stracci troppo grandi per lui con una dignità che rasentava l'eleganza». La sera in cui trova un portafogli gonfio di dollari, il Sorcio architetta un piano infallibile, che dovrebbe permettergli di comprarsi la vecchia canonica di Bischwiller-sur-Moder dove sogna di finire i suoi giorni. C'è purtroppo un piccolo dettaglio, che complicherà parecchio le cose: il portafogli era accanto a un cadavere. Sarà la curiosità (ma anche la voglia di sfidare l'ispettore Lognon!) a spingerlo a condurre una sua indagine parallela, che lo catapulterà in una sequela di guai. Un romanzo che ha i toni di una commedia poliziesca, magistralmente orchestrata da Simenon su un tempo di allegretto.
In una parrocchia come tante, in cui le cose non funzionano più bene, la gente è poca e gli operatori pastorali litigano per sciocchezze, ecco che il parroco richiama tutti ai valori da conservare, la confessione in primis; proprio mentre fa questo, però, si accorge che alla sua comunità cristiana, di Cristo, della liturgia, dei sacramenti... non importa più nulla. Da qui la sua crisi: per che cosa ha fatto il prete? Per questa gente che litiga sulla posizione dei vasi di fiori davanti all'altare della Madonna e non si accorge del mondo che le sta attorno e tanto meno del vangelo? Don Beniamino decide che ne ha piene le scatole e, semplicemente, se ne va. Senza il parroco, però, per la prima volta da molto tempo, la gente comincia a riflettere e a interrogarsi, prima su di lui (dove è finito? È scappato con una donna? È impazzito? È morto?) e poi sulla propria comunità. Il parroco viene infine rintracciato, tra vere e proprie situazioni umoristiche che fanno pensare inevitabilmente alla saga di don Camillo: qui non c'è il comunismo popolare a fare da contraltare, ma la difficoltà, che è di tutte le comunità contemporanee, a rintracciare il senso della vita cristiana insieme e, contemporaneamente, una profonda riflessione sul ruolo del sacerdote. Un libro in cui i preti ritroveranno molte immagini dei loro parrocchiani, e i parrocchiani molti meccanismi del loro difficile vivere insieme della fatica di dover accogliere i preti. Il tutto senza mai smettere di sorridere e, qualche volta, di ridere davvero. Il finale? Sarà una sorpresa, inattesa quanto capace di aprire una nuova strada sia a don Beniamino, sia alla sua gente, sia a noi.
Orano è colpita da un'epidemia inesorabile e tremenda. Isolata, affamata, incapace di fermare la pestilenza, la città diventa il palcoscenico e il vetrino da laboratorio per le passioni di un'umanità al limite tra disgregazione e solidarietà. La fede religiosa, l'edonismo di chi non crede alle astrazioni né è capace di "essere felice da solo", il semplice sentimento del proprio dovere sono i protagonisti della vicenda; l'indifferenza, il panico, lo spirito burocratico e l'egoismo gretto gli alleati del morbo. Scritto da Camus secondo una dimensione corale e con una scrittura che sfiora e supera la confessione, "La peste" è un romanzo attuale e vivo, una metafora in cui il presente continua a riconoscersi.
Segreti di famiglia. Crocevia della Storia. Un vecchio prozio giramondo parte da Parigi verso ogni angolo della terra per sognare e scrivere le sue affascinanti storie d'avventura. La nipote ventenne, seria e ben salda nella realtà, scava nelle pieghe del tempo per scoprire la verità su un uomo che non conosce e sulla propria famiglia. Su viaggi nel mondo che in fondo altro non sono che viaggi nel passato e nei misteri della vita.
Un anno veramente particolare ha inizio per Hélène quando dalla provincia si trasferisce a Parigi per studiare archeologia. La ragazza va ad abitare in una piccola camera sui tetti ospite del prozio Daniel. Lo zio Daniel è un vecchio giramondo, chiacchierone e un po' eccentrico che, usando lo pseudonimo di H. R. Sanders, scrive Il marchio nero, una serie di romanzi di avventura per ragazzi. Hélène non ha mai letto i libri dello zio e in verità non ama molto neppure lui. I due non potrebbero, infatti, essere piú diversi: seria, precisa e severa lei, rumoroso, scherzoso e affabulatore lui. Ma il fidanzato della ragazza, Guillaume, un giovane brillante che riesce a rendere allegro tutto quello che tocca, è invece fin da bambino un ammiratore di H. R. Sanders e riesce a convincere Hélène a interessarsi di piú a Daniel e ai suoi avventurosi viaggi in ogni angolo del pianeta. I due si mettono cosí sulle tracce dell'infanzia e della giovinezza di Daniel Ascher scoprendo diversi misteri della sua vita: perché lo zio compare soltanto a un certo punto nelle foto di famiglia? Perché il suo cognome non è lo stesso della nonna ed è di origine ebraica? Comincia allora una ricerca tra i quartieri parigini: da rue d'Odessa a Montparnasse, dove il padre di Daniel aveva prima della guerra uno studio fotografico, poi a Clermont-Ferrand, a Saint-Ferréol, a Moulins fino a Manhattan. Con pazienza e metodo, da vera archeologa, Hélène scopre piano piano un uomo di cui ignorava tutto. Scopre ad esempio che Daniel è l'unico sopravvissuto di una famiglia composta da padre, madre e una sorella amatissima, tutti scomparsi a Birkenau, e che i suoi viaggi giovanili negli Stati Uniti nascondono un altro mistero familiare che renderà il vecchio giramondo molto piú prossimo ad Hélène e a suo fratello. Seguendo le tracce lasciate da Daniel nelle strade della sua città e fra le righe dei suoi libri si rivela piano piano il ritratto di un uomo ferito, diviso fra due identità e prigioniero di un amore impossibile ma fatale. E la scoperta di un'altra casa nel sotterraneo, in fondo a una botola, getta una nuova luce sui viaggi avventurosi dello zio. Forse l'unico vero viaggio che Daniel abbia mai fatto è sempre stato un viaggio nel passato. Déborah Lévy-Bertherat ha scritto un libro delicato, emozionante e dal ritmo avvolgente riuscendo nelle sue pagine a dar vita a personaggi vivissimi a cui è impossibile non affezionarsi.