Il 2 luglio 1652 Turenne, il comandante delle truppe fedeli al re di Francia, intercetta un esercito frondista guidato dal principe di Condé nei pressi del Faubourg Saint-Antoine. Durante le fasi concitate dello scontro, un colpo di moschetto raggiunge il duca di La Rochefoucauld alla testa: il proiettile penetra sotto un occhio per fuoriuscire dall'altro. Secondo una diffusa linea interpretativa, questo episodio rappresenta il momento cruciale nella vita del duca: La Rochefoucauld da allora avrebbe deposto le armi per dedicarsi alla vita letteraria. Molto letti e consultati, gli aforismi del filosofo francese sono tra i libri preferiti da Madame de Maintenon, l'ultima amante di Luigi XIV, e da Cristina di Svezia, che ne scriverà interessanti commenti. Nel Settecento le "Massime" consolidano la loro fama; celebre il giudizio di Voltaire: "Una tra le opere che più contribuì a formare il gusto della nazione e a darle uno spirito di giustezza e di precisione. Benché quel libro ripeta quasi sempre la stessa verità, e cioè che 'l'amor proprio è il movente di ogni azione', pure quel pensiero assume tanti diversi aspetti da risultarne nuovo e imprevisto". Questo libro, uscito anonimo nella prima edizione, appare segnato da un profondo pessimismo, per quanto poco sistematico: un testo scandaloso, che ha fatto "scempio delle virtù" e "strage delle illusioni".
A volte vorresti ribaltare il mondo. Vorresti urlare e invece taci, anche quando la vita è così ingiusta e stupida da far male. Eppure ci sono dei momenti in cui quella stessa vita offre inaspettatamente un piccolo, temporaneo sollievo. Apre uno squarcio, e le tue azioni diventano atti di giustizia. Laggiù punisci i prepotenti, gli indifferenti, i maleducati. Come un eroe invisibile. Germain vive in due mondi: in uno è un bravo ragazzo, serio e lavoratore, appassionato di musica, un po' troppo introverso per colpa di una grave balbuzie che lo affligge dalla nascita, perfino innamorato; nell'altro, che assume le dimensioni tentacolari della metropolitana cittadina, si trasforma, giocando d'azzardo sul limite invisibile tra bene e male. Fino al giorno in cui incontra una ragazza che fa esattamente come lui... e, all'improvviso, Germain è costretto a cambiare le regole del gioco. "Io, te e la vita degli altri" è un romanzo sulla forza delle intenzioni e sul potere della volontà; un inno alle piccole azioni che stravolgono la spietatezza e l'indifferenza del mondo.
Quinto volume della raccolta delle opere di Maigret.
"Una sorta di interminabile attacco di cuore": così è stato definito "I diabolici," che - unanimemente considerato un classico della letteratura noir - non ha perso un grammo del suo torbido fascino: come dimostrano i commenti dei giovani blogger francesi, i quali scoprono stupefatti quanto l'attuale letteratura psicologica francese "à suspense" debba a un libro che ai loro occhi appare "di un'incredibile modernità", dotato di "un intrigo perfetto" e di "una tensione che fino all'ultimo non ti dà un attimo di tregua". Come nei migliori romanzi di Simenon, quello che conta qui è la progressiva perdita, da parte del protagonista, della percezione della realtà, il suo sprofondare sempre più allucinato in una vertigine di angoscia e di terrore in cui i deliri si accavallano ai ricordi d'infanzia e a un lacerante senso di impotenza. Nei "Diabolici" compaiono per la prima volta alcuni dei marchi di fabbrica della sterminata produzione di Boileau e Narcejac: lo schema triangolare, l'ambientazione provinciale e piccoloborghese, il motivo del colpevole tormentato dal rimorso e dalla paura, la contiguità fra innocenza e colpa; e soprattutto l'inversione dei ruoli: in un'autentica spirale di orrore, l'assassino si trasforma in una vittima braccata da "colei che non c'è più" - la donna che sa di aver ucciso.
Scritto a ridosso di eventi tragici che sconvolsero l'Europa, "Candido" è una ironica meditazione sul destino umano, sul senso della storia e sulla ricerca della felicità, diventato fin dal suo primo apparire, nel 1759, uno di quei libri - come il "Don Chisciotte" o i "Saggi di Montaigne"- su cui si è formata la coscienza moderna. Sintesi di un'acutissima intelligenza critica e di una consumata maestria stilistica, "Candido" riesce a mantenersi in miracoloso equilibrio tra l'avventura e la parabola, tra il mito e il pamphlet, tra il ritmo frenetico della comica e l'elegante grazia rococò, tra la risata liberatoria e l'amaro sarcasmo della disperazione.
"Stavo studiando il Secondo concerto di Brahms... una musica tempestosa. Brahms l'aveva composta perché travalicasse le capacità di una donna, e a volte avevo l'impressione di una lotta spietata tra me e il pianoforte..." Di ritorno da una prova difficile, la celebre pianista Hélène Grimaud entra in un negozio di antiquariato e trova un piccolo tesoro: una chiave, uno specchio appartenuto a Lewis Carroll, e un manoscritto composto da spartiti e pagine di prosa firmato Karl Würth pseudonimo di Brahms. È il racconto di un viaggio a Rügen, isola nordica dominata da un silenzio irreale, privo di voci di animali, che esercita sull'autore un fascino colmo di terrore. Hélène trova una serie di similitudini tra il viaggio di Brahms, e l'incontro del compositore con un lupo, e il proprio percorso di ricerca sul destino ecologico del mondo, che l'ha condotta a creare un rifugio per lupi a Salem, NY. Colpita dal carattere "fatale" di tutte quelle coincidenze, anche Hélène decide di ritornare ai suoi lupi, nella città, Salem, che come Rügen è legata alla storia della stregoneria. La storia che l'autrice racconta in modo semplice e avvincente è quella della ricerca del "Paradiso e dei suoi suoni": una passione che costringe il lettore a immergersi nell'atmosfera magica di quel susseguirsi di coincidenze. Che forse coincidenze non sono, ma un filo rosso che impedisce all'autrice di perdersi nel suo viaggio, avulso dalla prosaica vita quotidiana come a volte sono le esistenze dei musicisti.
Eroe di guerra, diplomatico, cineasta, Romain Gary si suicidò il 3 dicembre 1980. La sua scomparsa fece scalpore ma il vero colpo di scena arrivò quando, pochi mesi dopo la morte, si scoprì che Gary ed Emile Ajar, autore del romanzo "La vita davanti a sé", erano in realtà la stessa persona. Il libro, che narra le vicende di Momo, ragazzo arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, vinse il Goncourt inaugurando uno stile gergale da banlieu e da emigrazione, cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi.
Insieme a "Terra degli uomini", "Lettera a un ostaggio" rappresenta il punto più alto dell'opera di Saint-Exupéry sia sotto il profilo letterario ed emozionale che nella visione filosofica della vita, che può riassumersi nell'affermazione: "Non c'è che un problema, uno solo, in tutto il mondo: restituire agli uomini un significato spirituale". Scritta durante il suo viaggio d'esilio verso gli Stati Uniti, in fuga dalla Francia occupata, pensando a Leon Werth, l'amico a cui aveva dedicato "II Piccolo Principe", "Lettera a un ostaggio" nasce dalla preoccupazione dell'autore per il pericolo di un esasperarsi dell'intolleranza che la guerra aveva portato alla luce. Dietro il filo dei pensieri, si sviluppa una linea melodica costante che ha per guida l'immagine del sorriso, reso possibile dalla coscienza e dall'impegno a essere in ogni momento quello che si è, per se stessi e per la comunità in cui si è inseriti. Questo testo è stato definito "il poema della restaurazione del sorriso". Dello stesso tenore è il secondo scritto contenuto in questo volume, bisogna dare un senso alla vita degli uomini, che fa parte di una raccolta di saggi intitolata "La pace o la guerra", pubblicata originariamente su "Paris Soir" all'inizio dell'ottobre 1938.
"La poesia di Péguy è mistica e popolare. Lo si vede anche in queste pagine apparentemente 'minori' e invece capaci di accensioni di brio, di sperdutezza. Voce che parla di qualcosa che riguarda tutti...". (Dalla prefazione di Davide Rondoni)
Quando nello stadio di Berlino, ai campionati delle Forze alleate, scorgono dietro il cartello Czechoslovakia un solo atleta male in arnese, tutti si sbellicano dalle risate. E quando quell'atleta, che storditamente non si è accorto della convocazione, attraversa lo stadio come uno sprinter decerebrato urlando e agitando le braccia, i giornalisti estraggono avidi i taccuini. Ma poi, quando nei cinquemila, pur avendo già un giro di vantaggio, non smette di accelerare e taglia il traguardo in solitudine, ottantamila persone in delirio scattano in piedi. Il nome di quel ceco alto, biondo e che sorride sempre non lo dimenticheranno più: Emil Zatopek. La sua aria mite e gentile è una trappola: dacché, apprendista nello stabilimento Bata di Zlin, ha scoperto che correre gli piace, nessuno l'ha più fermato. Il fatto è che vuole sempre capire fin dove può arrivare. Dello stile se ne frega: ignaro dei canoni accademici, corre come uno sterratore, il volto deformato da un rictus. È, semplicemente, un motore eccezionale sul quale ci si sia scordati di montare la carrozzeria. Ai Giochi olimpici di Londra e poi a Helsinki Emil varca le possibilità umane, diventa invincibile. Nessuno può fermarlo: neppure il regime cecoslovacco, che comincia a chiedersi se un grande sportivo popolare non sia una forma di individualismo borghese.
Figura grandiosa e controversa, nel corso dei secoli Alessandro Magno non solo è stato celebrato, o criticato, per le sue conquiste, ma è diventato anche il protagonista di inverosimili, magnifiche avventure. Nel romanzo antico francese di Alexandre de Bernay, uno dei testi più fascinosi di questa trasformazione leggendaria, il conquistatore, spinto dalla curiosità e dalla volontà di sfida, affronta i mostri e le meraviglie dell'Asia; si spinge e oltrepassa i confini del mondo; si fa calare in una sfera di vetro per esplorare le profondità del mare; aggioga dei feroci grifoni per salire, dentro una gabbia, al di là delle nubi, verso il sole. Una scenografia sterminata e favolosa, felicemente paradossale, che apre nuovi orizzonti di gusto e di racconto.
Una città, Istanbul, ancora avvolta, all'inizio degli anni Trenta, da un'aura di eccitante depravazione. Una giovane donna, Nouchi, candidamente perversa, seraficamente crudele, e capace di sedurre chiunque senza mai concedersi a nessuno. Un uomo non più giovanissimo, distinto ma squattrinato, che si è lasciato irretire, una sera, nel night-club dove Nouchi lavorava come entraîneuse, e che lei manovra a suo piacimento. Un gruppo di sfaccendati-artisti, giornalisti, uomini d'affari, nobili decaduti, viveur di mezza tacca -, che si ritrovano nel ristorante di Avrenos e passano le notti a bere raki e a fumare hashish, e che di Nouchi sono tutti più o meno innamorati. Se Emmanuel Carrère (che ne ha tratto una sceneggiatura televisiva) ha potuto dichiarare: "I clienti di Avrenos è un capolavoro", è soprattutto perché di personaggi femminili sconcertanti come Nouchi non se ne incontrano molti nei romanzi di Simenon - e non solo. Non ha ancora diciott'anni, non è particolarmente bella, ha una faccia irregolare e "due occhi penetranti come punte di spillo"; ed è ben decisa a non conoscere mai più la miseria e la fame che hanno segnato la sua infanzia viennese. A questo scopo giocherà tutte le sue carte - anche le più rischiose. Di Istanbul, dove bisogna soltanto "accettare la vita come viene", abbandonandosi ai suoi perfidi incantesimi, Simenon fa la cornice perfetta per le trame ambiziose e svagate della sua incantevole, implacabile protagonista.