«Ho aspettato di saperci forti prima di scrivere nuovamente. Ho tentato di registrare i mutamenti, la schiuma del cambiamento, dalla perdita di ogni punto di riferimento fino a questo istante in cui il cielo diventa sgombro, quasi di colpo.
«È a questo punto che arriva la 'vita dopo'».
Antoine Leiris ha perso la moglie il 13 novembre 2015 al Bataclan. Non avrete il mio odio, il suo libro precedente, raccontava i giorni immediatamente successivi, il modo in cui lui li ha vissuti insieme a Melvil che allora aveva un anno e mezzo. Quattro anni dopo, Antoine e Melvil sono entrambi cambiati, sono cresciuti. Antoine non è più lo stesso uomo né lo stesso padre e Melvil non è più un bebè, è un bambino. È questo il viaggio che racconta Noi due. Il viaggio di un uomo e di suo figlio lungo il cammino della vita. Malgrado tutto. Un racconto luminoso e ricco di affetti, che dimostra come la scrittura sia fonte e testimonianza stessa dell’amore per la vita.
La cattedrale di Notre-Dame è il cuore di Parigi, città in cui si incrociano i destini di Quasimodo, il campanaro deforme che salva dall’impiccagione la bella zingara Esmeralda, di Gringoire, il poeta pazzo e girovago, del nobile ufficiale Phoebus, di Frollo, l’arcidiacono dall’anima nera, e della folla tumultuante dei reietti. Grandioso affresco a tinte forti, ricco di colpi di scena, Notre-Dame de Paris è qui presentato in una raffinata edizione corredata dalle illustrazioni della prima edizione del 1831.
A dieci anni dal termine del secondo conflitto mondiale, quando le polveri, dopo aver offuscato i cieli, si erano finalmente sedimentate formando uno spesso strato sotto al quale un'intera civiltà cercava di ritrovare trame e orizzonti, gli intellettuali furono chiamati a suggerire cosa di quella civiltà, di quell'Europa minacciata da forze d'ordine economico e politico, era destinato a prosperare, e cosa a perire. Nella discussione intervenne anche Albert Camus, all'incontro organizzato il 28 aprile del 1955 dall'Union Culturelle Gréco-Francaise ad Atene, dal titolo "Il futuro della civiltà europea". Lo sforzo per l'unità, dirà Camus, è un passaggio obbligato, l'unità europea in nome di un pluralismo, di un federalismo ideale e de facto: "La "sovranità" per molto tempo ha messo bastoni a tutte le ruote della storia internazionale. Continuerà a farlo. Le ferite della guerra così recente sono ancora troppo aperte, troppo dolorose perché si possa sperare che le collettività nazionali facciano quello sforzo di cui solo gli individui superiori sono capaci, che consiste nel dominare i propri risentimenti [...]. Bisogna lottare per riuscire a superare gli ostacoli e fare l'Europa, l'Europa finalmente, dove Parigi, Atene, Roma, Berlino saranno i centri nervosi di un impero di mezzo, oserei dire, che in un certo qual modo potrà svolgere il suo ruolo nella storia di domani".
«Lui non aveva ancora quindici anni e già l’amava. Non come si ama una donna ma come si ama un essere inaccessibile. Come, al tempo della prima comunione, aveva amato la Madonna». Alla fine Hubert Cardinaud è riuscito a sposarla, quella Marthe «di cui tutti dicevano che si dava delle arie». Così com’è riuscito, lui, il figlio del cestaio, a diventare un distinto impiegato: uno che la domenica, all’uscita della messa, scambia saluti compunti e soddisfatti con i conoscenti e poi, dopo essersi fermato in pasticceria a comprare un dolce, torna a casa dove la moglie sta cuocendo l’arrosto con le patate. Una domenica, però, trova l’arrosto bruciato e la casa vuota – e gli crolla il mondo addosso. Non gli ci vorrà molto per scoprire che Marthe se n’è andata con un poco di buono, e che tutti in città lo sanno, e lo compatiscono, e pensano che sia un uomo «finito, annientato». E invece no. Hubert decide di ritrovare Marthe, a ogni costo, di bere «il calice fino alla feccia». Simile a «una formica ostinata che segue ostinatamente la sua strada, il suo destino, e che, ogni volta che il carico le sfugge, lo afferra di nuovo, pur essendo quel carico più grosso di lei», andrà a cercare Marthe, perché il suo posto è lì, «accanto a lui e ai bambini», e perché confida «nel trionfo del bene sul male, nella supremazia dell’ordine sul disordine» – «nell’inevitabile, fatale armonia». Con la consueta acutezza psicologica, e una sorta di ammirata partecipazione, Simenon ci racconta di un amore eroico, capace di non indietreggiare di fronte al tradimento e alla vergogna.
Jean vaga nella penombra di un teatro vuoto. Immerso nei suoi ricordi, insegue contorni di visi, echi di voci, suggestioni fallaci che fluttuano nel passato. A guidarlo nella sua ricerca, solo la mappa dai confini imprecisi che la memoria disegna per lui. Rischiarata dalle luci di scena, riemerge allora l’immagine sfuggente dell’amata Dominique, che all’epoca interpretava la parte di Nina ne Il gabbiano di Cechov. E insieme a lei tornano gli anni della giovinezza, sullo sfondo malinconico di una Parigi in bianco e nero. Scrittore alle prime armi lui, attrice in attesa del successo lei, a vent’anni erano entrambi alle prese con il debutto piú importante. Ma chi muove ora i fili del loro destino? Forse Jean, dietro cui si intuisce l’identità dello stesso Modiano? Oppure sono i ricordi, restituiti in forma di sogno, a stabilire le regole del dramma?
«Suite francese» è il titolo dei primi due "movimenti" di quello che avrebbe dovuto somigliare a un poema sinfonico di Irène Némirovsky, composto da cinque parti, di cui solo le prime due sono state completate e pubblicate. La prima parte, «Temporale di giugno», racconta l'esodo di massa dei francesi che, all'arrivo delle truppe naziste, si sono spostati con figli, vecchi, malati e intere case caricate su veicoli di fortuna. Il secondo pezzo, «Dolce», è ambientato in una piccola città della campagna francese, Bussy, nei primi mesi, stranamente tranquilli, dell'occupazione tedesca e narra di due donne: la vedova Angellier e sua nuora, che si innamora di un giovane ufficiale tedesco.
«Un doppio colpo di pistola suggella la fine del romanzo, e con un’ultima scena magistrale, il doppio funerale alla Rochelle, si conclude Il testamento Donadieu. Lasciando sempre più persuaso il lettore che lo ha divorato, che non ha visto mai un aggettivo sbagliato, una parola di troppo, che ha girato sempre la pagina con frenesia per andare avanti, che effettivamente Simenon è ... uno dei grandi del secolo».
L'opera, che può identificarsi come un lungo viaggio per comprendere il significato dell'arte,, del tempo e dell'essenza umana, è divisa in tre sezioni. Il protagonista, identificabile con Proust, racconta la propria infanzia trascorsa nella città di Combray, la sua travolgente passione per la raffinata e opportunista Odette de Crècy e un viaggio a occhi aperti in varie località evocate anche solo dal nome. Infatti, un oggetto un luogo o anche solo il profumo di the e madeleine diventano un appiglio per ritrovare sensazioni perdute, per fondere i confini del tempo e della memoria in questa delicata e sapiente analisi psicologica.
«La lampadina del proiettore è saltata in pieno Fellini. Minne e io stavamo guardando Amarcord a letto. "Oh, no, cazzo!" Ho piazzato una sedia sopra un tavolo e sono andato all'assalto di quell'arnese per cambiare la lampadina fulminata. Un gran botto, la casa si è spenta, sono franato giù con tutta la mia impalcatura e non mi sono più rialzato. Mia moglie mi ha visto morto ai piedi del letto coniugale. Nel frattempo io rivivevo la mia vita. Pare succeda spesso. Ma non si svolgeva esattamente come l'avevo vissuta.» (D.P.)
A scendere nell'abisso evocato dal titolo è Durtal, scrittore della Parigi fin de siècle in preda a una profonda crisi umana e professionale. Non si riconosce più nell'ambiente culturale che lo circonda e si trova a disagio con i modi del naturalismo e del razionalismo, di cui percepisce i limiti e la ristrettezza di orizzonti. La società contemporanea, coi valori e i meccanismi che la reggono e con la sua visione dell'uomo e della vita, produce in lui un senso di repulsione e sofferenza dal quale non riesce a trovare sollievo. Soprattutto, sente insopprimibile la necessità di sondare i presunti confini della celebrata realtà, di capire se effettivamente tutto può essere ridotto entro le sole coordinate materiali e terrene. Questa sua ansia di evadere dalle forme intellettuali in voga e di sperimentare il nuovo lo portano a scrivere un libro su Gilles de Rais, maresciallo eroico, mistico, ma anche libertino sfrenato, torturatore e assassino, che Durtal definisce «il più crudele e scellerato degli uomini del XV secolo». Per documentarsi, inizia a frequentare il mondo affascinante e perverso dell'occultismo e del satanismo. Saranno il medico Des Hermies, l'amante Hyacinthe Chantelouve e il canonico Docre e le sue messe nere a trascinarlo Là-bas (come recita il titolo originale), laggiù: una discesa che è anche esplorazione della complessità dell'animo umano, in cui si mescolano bene e male, santità e crudeltà, in un chiaroscuro di fortissime contraddizioni apparentemente insanabili, autentico riflesso della realtà.
La vita di Nathalie, hostess dell'Air France, scorre liscia come l'olio: vive in una graziosa villetta sulle rive della Senna, ama, riamata, il marito ebanista e ha due belle figlie di diciotto e ventisei anni. La sua vita oscilla tra il lavoro, che tre volte al mese la fa volare all'altro capo del mondo, e la famiglia, a cui si dedica con entusiasmo e attenzione. L'idilliaco quadretto si spezza però per una serie di incredibili coincidenze in seguito alle quali si trova a ripercorrere lo stesso itinerario di viaggio, tre voli in rapida successione a Montréal, Los Angeles e Giacarta, durante il quale vent'anni prima si era perdutamente innamorata del giovane chitarrista Ylian. Sta accadendo qualcosa di strano. Una mano invisibile la spinge a tornare sui suoi passi, dentro un mistero sempre più inquietante.
Inafferrabile, inclassificabile, irriducibilmente ambiguo: Houellebecq, immancabilmente, ci sfugge. salvo, forse, nel caso specifico di questo Cahier de l’Herne, luogo ideale per un approccio plurale e per la commistione dei generi. Qui possiamo ricomporre la traiettoria percorsa da uno scrittore singolare, mettendo in luce le esitazioni, i punti di rottura, le "biforcazioni" e le numerose deviazioni che contribuiscono a costruirla. Nel suo mescolare i testi rari o inediti, i saggi universitari, le testimonianze di amici, scrittori, artisti, musicisti, amici o nemici (e tutto il ventaglio di opzioni che tra questi due estremi si ha a disposizione), questo testo vuole rendere conto della complessità e del fascino di un autore e di un’opera, dal momento che entrambi hanno l’ambizione di salvare un’epoca – la nostra – dallo sbiadimento.