«Certi libri ci temprano. Cataloghi di pensieri solidi, manuali di inflessibilità, trattati per dominare il mondo. Altri, ben più preziosi e necessari, ci rendono fragili, ci disarmano. Così questa sconvolgente figura di donna, vicina e perduta, ritratta da Modiano proprio al confine fra l'ombra e la luce».
Le Monde
Parigi, Quartiere Latino. Nei pressi dell'Odéon c'era un tempo Le Condé, un piccolo caffè dove ogni sera erano soliti ritrovarsi per caso, per noia o per abitudine, giovani studenti, aspiranti scrittori e misteriosi avventori accomunati dal sospetto di un passato indicibile o dallo stesso sghembo destino. Ogni giorno uno di loro annotava su un quaderno i nomi e i soprannomi di tutti quelli che passavano di lì, scrivendo a fianco anche la data, l'ora e il tempo che ciascuno restava nel locale. Non c'è una ragione vera e propria, o tanto meno un desiderio di controllo, in questa registrazione puntuale, quanto piuttosto l'ineluttabile necessità di trovare dei punti fermi nella vita. Eppure ciò che resta, alla fine, sono tracce di vita inutili e insoddisfacenti nella loro esatta maniacalità.
Le Condé è una calamita che attrae tutti quelli che passano nelle sue vicinanze, o meglio è un luogo di confine, una frontiera, una pausa nella città, un porto che accoglie chi sta andando alla deriva e che decide, per un'ultima volta e per un tempo determinato, di ancorarvisi. Al centro di tutto c'è una ragazza misteriosa, chiamata (o meglio ribattezzata) Louki dagli altri avventori del locale. Louki è una di quelle donne che non appena entrano in una stanza e si siedono in un angolo catturano subito lo sguardo e l'attenzione di tutti. Una di quelle comparse che, in un film, catturano la luce prima e meglio degli stessi protagonisti. L'intero romanzo ruota intorno a lei, e pagina dopo pagina cerca di trovarla, definirla, identificarla. Per quattro volte si indaga la sua vita e quattro sono le voci che raccontano la sua storia. Alcuni degli uomini che parlano di lei semplicemente la cercano, altri la amano: per tutti la giovane incarna una stagione della vita e un desiderio irraggiungibile.
Louki, come quelli che la affiancano nel suo vagabondare in una Parigi ipnotica ed enigmatica, è uno straordinario personaggio senza radici che vive momento per momento, inventandosi diverse identità, rinascendo continuamente e fuggendo (fino alle più estreme conseguenze) per inseguire un presente perpetuo o, meglio, un Eterno Ritorno.
Alla festa dei sessant’anni di Solange, che coincide con il suo pensionamento, c’è quasi tutto il piccolo paese della campagna francese, ci sono amici e soprattutto fratelli e cugini. Una comunità grigia, un po’ conformista, brave persone, appena un po’ grette. È in questo scenario che irrompe Bernard, o Fuoco di legna, com’è soprannominato da tutti, fratello di Solange, pecora nera della famiglia, da subito circonfuso da un alone di sventura, che pare materializzarsi fin nel cattivo odore di legna bruciata che emanano inesorabilmente i suoi abiti pur tirati a lucido alla bell’e meglio per l’occasione. Non invitato, si presenta però con un regalo per Solange, un regalo prezioso, una spilla d’oro, che suscita lo sgomento poi lo scandalo degli altri fratelli, persuasi, nemmeno troppo segretamente, che Bernard abbia derubato la vecchia madre, dopo aver per anni approfittato anche dell’aiuto economico dei fratelli. Cacciato dalla festa, Fuoco di legna si ubriaca al bar di fronte e quando rientra nella sala, alterato dall’alcol, si rivolge con parole insultanti a Chefraoui, vecchio collega di Solange di origine araba. È proprio questo episodio, e poi la presunta aggressione ai familiari di Chefraoui da parte di un Fuoco di legna sempre più alterato, a gettare scompiglio nella piccola comunità. E lentamente, nella lunga notte che precede la probabile denuncia, il narratore dipana la trama del passato di Fuoco di legna. L’orizzonte si dilata, si sposta, riandiamo indietro, in Algeria, nel 1961. E si apre il nodo originario del romanzo, l’origine del grumo di crudeltà che il piccolo scandalo della festa di Solange ha fatto esplodere. Scopriamo la storia di Bernard, capiamo il suo disfacimento, e condividiamo la compassione del narratore. Poi lo sguardo si amplia, e nella caduta di Fuoco di legna vediamo il segno della grande rimozione, del grande silenzio posatosi come una pietra tombale su alcune pagine crudeli della storia francese.
In una provincia identificabile come l’Alvernia, il diciottenne Manuel si trasferisce dalla zia materna, la signora Plasse, dopo la morte dei genitori. Nella casa della zia vive anche la figlia di lei, Marie- Thérèse, di quattordici anni, per la quale il cugino sembra nutrire un’attrazione morbosa, non ricambiata dalla ragazza. La signora Plasse tanto è dura e algida con la figlia, quanto riversa sul nipote amore e attenzioni, in assoluto contrasto con il suo carattere chiuso e incapace di slanci. Ma neanche l’amore della zia può proteggere Manuel dalle inquietanti accuse mosse da un’amica di Marie-Thérèse. Il ragazzo viene per questo allontanato e mandato a lavorare nel castello non lontano dal paese, dove vivono un anziano conte ormai in punto di morte e la figlia, una donna bellissima e misteriosa...
Uscito in Francia nel 1934 e fino a oggi inedito in Italia, questo romanzo a due voci rivela più che mai, in tutta la sua potenza, la forza visionaria di Julien Green. Una storia di un erotismo silenzioso e violento che sconfina nel sogno, nell’irrealtà, perché solo il sogno può servire a raccontare, e forse spiegare, l’assurdo in cui viviamo immersi.
Parigi, 1959. Sono anni vertiginosi: la Seconda guerra mondiale è finita da troppo poco tempo per essere Storia, la guerra d’Algeria segna le vite dei francesi d’oltremare. Michel Marini, undici anni, figlio di immigrati italiani, esce dall’infanzia e si affaccia a un’adolescenza inquieta e piena di emozioni. Vagabonda per il quartiere, si ritrova con gli amici a giocare a calcio balilla; un giorno entra in un bistrò, il Balto. E' attratto da una stanza sul retro dove si ritrova un gruppo di uomini, che parlano un francese a volte approssimativo e portano dentro di sé storie e passioni sconosciute. Sono profughi dei Paesi dell’Est, uomini traditi dalla Storia, ma visionari che ancora credono nel comunismo.Incorreggibili ottimisti.
Frequentare il Balto vuol dire scoprire il mondo. Michel cresce con Igor, Leonid, Imré, Pavel, Tibor, Saga impara a conoscere l’amicizia, l’amore, la complessità degli ideali. Nel retro di un bistrò si litiga, si beve, si gioca a scacchi, si raccontano barzellette su Stalin, si offre se stessi e le proprie storie, storie terribili di esilio che si intrecciano sullo sfondo di un decennio epocale, tra filosofia e rock’n’roll, Sartre e Kessel, la conquista dello spazio e l’inizio della Guerra fredda. Nella tradizione del grande romanzo francese, un affresco indimenticabile di un’epoca.
C’è qualcosa che non torna nel mondo degli adulti. Passano il tempo a sgridare noi bambini, a dirci che dobbiamo fare così e cosà, e poi basta vedere il telegiornale per capire che dovrebbero solo stare muti e lasciare comandare noi.
Un giorno ho sentito in una trasmissione che lo Stato deve proteggere i bambini, ma quando sono arrivato a casa da scuola e mio padre, ubriaco come sempre, ha picchiato mia madre, Maxence e me, mi è proprio venuta voglia di telefonargli, allo Stato. Solo che non sapevo chi chiamare.
Il mio nome è Slimane, Maxence è mio fratello, ha tredici anni, solo due più di me, ma sembra molto più grande. Lui è la mia roccia, mi protegge dal Demone, come chiamiamo nostro padre, e riesce sempre a rassicurarmi. Mi ha anche fatto delle ali d’angelo, e quando le cose si mettono proprio male, ne infiliamo una ciascuno e immaginiamo di volare via.
La vita è davvero fatta male. Tutti lo sanno, ma nessuno sa dove fare denuncia. Dunque si fa finta che tutto sia normale. Ma io dico che non è affatto così. È solo una grande fregatura.
Per questo Maxence un giorno ha deciso di andare nel paese senza adulti, e mi ha lasciato qui da solo. Io ho provato a raggiungerlo, ma devo aver sbagliato strada. O forse no.
Si ride e si piange molto il sabato pomeriggio in casa di Suzy dove le sue amiche, che come lei lavorano in una delle ultime fabbriche tessili del nord della Francia, si incontrano per acconciarsi i capelli e scambiarsi confidenze nell’atmosfera ironica e complice delle riunioni femminili. Si ride dei pettegolezzi, si piange per gli amori infelici, i lutti familiari, gli incidenti sul lavoro che ogni tanto colpiscono una del gruppo. E si lotta anche, per migliorare le condizioni di lavoro, per scongiurare la chiusura dell’azienda. Intorno alle donne si muove il gruppo degli uomini: Ricco, l’amante italiano che Suzy, dopo la separazione dal marito, ha accolto in casa imponendone la presenza alla figlia Nina, Arnold, grande amico della ragazza, Steph, di cui lei non ricambia l’amore, e soprattutto Delplat, l’odiato e temuto padrone della fabbrica. Proprio Nina è la voce narrante che descrive se stessa e quel mondo con una lucidità spietata e disarmante. Tutto si svolge tra un venerdì e il lunedì successivo, quando si presenterà al negozio dove è stata appena assunta come apprendista. In quel breve intervallo accadono eventi drammatici che per lei chiudono definitivamente la fase dell’adolescenza. Uscita per cercare un regalo di compleanno per Suzy, Nina incontra Delplat, cliente abituale del negozio dove lavora. L’uomo cerca di attirarla a casa sua con una vaga promessa di denaro; la ragazza intuisce il suo lubrico scopo ma non può rifiutare l’invito perché teme qualche ritorsione contro sua madre in fabbrica. Si reca in effetti a casa di Delplat, ma dopo un’ora sta di nuovo vagando per le strade: ricorda solo il momento in cui vi è entrata e sembra incapace di ricostruire il resto. Si intuisce solo che deve essere accaduto qualcosa. Frattanto nella fabbrica la situazione precipita: alla minaccia di chiusura, le operaie inscenano una rivolta che degenera in tragedia.
Il secondo volume della trilogia Terra Nera. Il giovane e tormentato Stepan, ancora in fuga, non dimentica la sua rabbia e la sua sete di vendetta. Attraversa l’Europa, vive più di mille vite ma non può tornare sui suoi passi anche a costo di non rivedere più la sua Natalia.
A Stepan non interessa il perdono.
Perché un innocente non ha bisogno di essere assolto.
Ma chi lo ha tradito pagherà e non avrà scampo...
Michel Houellebecq torna ai suoi temi più cari, quelli delle “Particelle elementari”; la solitudine di chi è particolarmente sensibile, i limiti delle relazioni amorose, il non senso che pervade il mondo. E ci torna da protagonista, inserendosi nel romanzo con tutti i suoi più tipici tratti come uno dei due personaggi fondamentali. Al centro del racconto vi è un artista parigino, Jed Martin, prima fotografo e poi pittore. Jed fin dall'infanzia non ha avuto una vita facile: sua madre sì è suicidata quando lui era ancora bambino, col padre è caduta una cortina di silenzio che non si è mai più sollevata, con le donne non è andata meglio, perché Jed si è sempre innamorato di donne opportuniste, che pur dopo rapporti lunghi e intensi lo abbandonano. In piena crisi esistenziale, Jed decide di riscattarsi con l'arte, lanciandosi nell'impresa di diventare famoso attraverso il ritratto di scrittori famosi. E per questo cerca Michel Houellebecq, nelle campagne in cui questi è “nascosto” per fargli un memorabile ritratto. Ma sarà proprio questo capolavoro a cambiare la vita di entrambi: ragione di vita per l'uno e ragione di morte per l'altro...
Questa volta Pardon è stato tassativo: il suo vecchio amico Maigret deve prendersi tre settimane di vacanza; e senza lasciare recapiti al Quai des Orfèvres. Così, alla fine di giugno, il buon dottore lo ha spedito a passare le acque a Vichy, dove, in compagnia della moglie, il commissario si annoia docilmente: ogni mattina beve i suoi bicchieri d'acqua, poi passeggia lungo i viali bordati di platani, seguendo sempre lo stesso itinerario, e la sera ascolta con orecchio distratto il concerto nel chiosco. Sullo sfondo, l'edificio bianco e sfavillante di luci del casinò - dove, ovviamente, lui e la moglie non mettono piede. Nel frattempo però, da quell'inguaribile scrutatore d'anime che è, non rinuncia a osservare i suoi compagni di cura. Tra loro ce ne sono un paio che hanno subito attirato la sua attenzione: in particolare, una donna non più giovanissima, con un lungo viso affilato, di un'eleganza un tantino rétro, e come votata alla solitudine (“la solitudine allo stato puro”). La signora in lilla: così l'ha soprannominata. E quando un giorno legge sul foglio locale che è stata assassinata, scatta in lui un riflesso condizionato: il desiderio di saperne di più, e di prendere parte alle indagini. Tant'è: quella mattina la signora Maigret dovrà trattenere un sorriso nell'accorgersi che l'itinerario della passeggiata ha subìto un'impercettibile variazione, e li ha condotti, guarda caso, giusto davanti alla villa dove abitava la vittima.
Ipocondriaca e plurifobica, Claire Brincourt vive a Parigi, rinchiusa tra le pareti del suo appartamento. La sua vita si svolge dietro i vetri delle finestre da cui, spettatrice, osserva le vite degli altri. A rompere l'isolamento, l'arrivo nello stabile di Ishida, misterioso giapponese con cui Claire stringe amicizia. I due si frequentano, condividono un profondo amore per il cibo, la cultura e l'arte giapponese, si piacciono. Ma a entrare nella vita della gente, si finisce per intuirne i segreti. E così Claire inizia a interrogarsi su Ishida. Chi è veramente? Perché si è trasferito in quell'appartamento a Parigi? E perché non parla del suo passato? Per scoprirlo Claire dovrà scendere in strada, entrare in metropolitana, pedinare, mettere da parte le fobie, e affrontare la vita come viene.
«Un riuscitissimo esordio, pieno di ironia e umanità».
Jean-Claude Perrier, Le Figaro
«Un romanzo d'esordio talmente straniante da sedurre».
Philippe Kieffer, Rue89
«Una variazione condotta con talento intorno al tema della Finestra sul cortile».
Xavier Houssin, Le Magazine Littéraire
«Si finisce per amare questa Claire, infastidita un po' da tutto, che ricorre a farmaci e musei per ingannare la solitudine».
M.-F. Leclère, Le Point
Sarà un caso, ma le frizzanti mattine di primavera, quelle in cui ci si sente più allegri e leggeri, preannunciano regolarmente le inchieste più rognose. È il 4 marzo, e una lettera anonima avvisa Maigret che di lì a qualche giorno verrà commesso un omicidio - e che non c'è modo di evitarlo. Non si tratta del solito mitomane: lo stile accurato, il tono deciso fanno presagire il peggio. La preziosa carta da lettera permette subito di risalire a un giurista di fama internazionale, specialista di diritto marittimo, Émile Parendon: è fin troppo chiaro che qualcuno ha voluto attirare il commissario nel sontuoso appartamento - studio di avenue Marigny, a due passi dall'Eliseo e dal ministero degli Interni. Ma chi? Lo stesso Parendon, una sorta di gnomo ironico e sottile, ossessivamente dedito al lavoro e alla passione per la psichiatria? La spavalda Antoinette Vague, sua segretaria e amante? La ribelle figlia Bambi, studentessa di archeologia? O il più giovane e solitario Gus, liceale con la mania della musica e dell'elettronica? O forse, perché no?, la sofisticata, aristocratica Madame Parendon, persuasa che il marito sia un uomo pavido e malato che cela tendenze suicide? Quel che è sicuro è che una terribile minaccia incombe su quella casa immensa e fastosa in cui si aggirano silenziosi cameriere e maggiordomi, su quel reticolo di rapporti gelidi e indecifrabili. Per due giorni, un Maigret abbagliato e sempre più confuso, vivrà in avenue Marigny una vita lontana mille miglia dalla sua - e una discesa agli Inferi dei rapporti familiari.
I canti di Maldoror di Lautréamont (pseudonimo di Isidore Ducasse) costituiscono uno degli esiti più interessanti e ricchi di spunti del maledettismo ottocentesco, di quel romanticismo satanico che rivendica all’artista il ruolo di angelo decaduto, tanto più emarginato quanto più profondamente consapevole. L’opera, scritta in una prosa di potenza lirica, è un poema dell’inconscio e un’allegoria del Male, un grido di blasfema ribellione contro Dio e la società. Fu tra l’altro apprezzata e riscoperta dai surrealisti, e conserva tuttora un’aura mitica. Oggi, quando ben altri mali si sono visti, e al contempo quando l’evoluzione tecnica delle immagini cinematografiche ci ha abituato a qualunque deformazione della realtà, i Canti restano impareggiabili per l’originalità dello sguardo, l’audacia di una concezione che convoca le forze telluriche e cosmiche, la coscienza e il coraggio della rivolta. Al lettore donano l’attrazione dell’avventura, dell’esplorazione di un universo verbale portatore di messaggi virulenti e catartici, della scrittura come spazio di libertà, di realizzazione di un mondo altro: in altri termini, la constatazione del potere, e del piacere, della letteratura in atto.