Generose manciate di spezie per lenire la nostalgia di casa; curry bollente in cui dissolvere la vergogna per un errore inconfessabile; croccanti frittelle contro l’incertezza del futuro: è in cucina che Sarna esercita la sua magia. Incantatrice di aromi, sa come annegare i brutti ricordi in fragranze inebrianti. Si ribella così alle parole della madre, che l’aveva ammonita: «Solo due cose non si possono nascondere: ishq e mushq, l’amore e il profumo». Perché Sarna sa che, se usato con astuzia, il secondo può mascherare vecchi fantasmi d’amore.
Quando è partita dall’India, si è portata appresso una montagna di spezie, utensili e manghi (la sua passione proibita), incorrendo nelle lamentele di Karam, il suo neo sposo, per quel bagaglio costoso e ingombrante oltremisura. Ma Karam era ignaro del fardello che Sarna si portava dentro: un carico di ricordi ben più pesante e sgradito, per via di un amore sbagliato che aveva rischiato di disonorare per sempre lei e la sua famiglia.
Anche lui, tuttavia, aveva qualcosa da nascondere: un episodio umiliante rimasto sepolto nel caos della separazione tra India e Pakistan, lo sfondo non esattamente romantico che aveva incorniciato il suo incontro con Sarna. Divisi dai segreti, uniti dal desiderio di fuga, i due hanno lasciato l’India per ripartire da zero, diventando compagni di un turbolento viaggio lungo una vita. Destinazione finale: l’Inghilterra.
Ma proprio là, a migliaia di chilometri dal passato, una lettera arriverà a sconvolgere l’equilibrio precario della loro unione, ridando corpo a una verità impossibile da cancellare. E a quel punto Sarna dovrà inventarsi un antidoto ben più forte della più piccante delle spezie.
Il romanzo della vita di Shakespeare: così può essere definita questa monumentale biografia che penetra così a fondo nel mondo e nelle vicende più salienti dell’esistenza del genio inglese da apparire più come l’opera di un scrittore coevo che quella di un biografo del ventunesimo secolo.
Shakespeare nacque a Stratford il 23 aprile del 1564 e morì nella stessa piccola città inglese nel 1616. Gli amici di Stratford furono i suoi amici di sempre, le persone che accompagnarono l’intera sua esistenza. Lavorò in teatro, recitando nelle prime sale londinesi e riscrivendo e componendo per una serie di compagnie determinate quali «The Queen’s Men», «The Lord Chamberlain’s Men» e «The King’s Men». Un piccolo mondo, preciso, costante.
Peter Ackroyd ci accompagna innanzi tutto nel paesaggio di questo mondo. Percorre le strade di Stratford e Londra, a cavallo tra Cinquecento e Seicento, come se appartenesse pienamente a quel tempo. Descrive l’ambiente teatrale come se fosse uno spettatore elisabettiano e assistesse alle prime rappresentazioni delle tragedie e delle commedie. Scrive dello Shakespeare attore, drammaturgo e poeta, e dunque della sua cerchia di impresari, attori e coautori e della loro «comunanza di sentimenti». Ritesse, insomma, non solo la tela dell’epoca di Shakespeare, ma ne ravviva i colori e le sfumature come se fossero appena dipinti.
La biografia non è perciò né una ricostruzione accademica né didascalica della vita di Shakespeare, ma un vero e proprio romanzo, il libro di uno scrittore su uno scrittore, un’opera brillante che avvince e intrattiene.
L’Inghilterra all’inizio del 1500 è in un vicolo cieco, a un passo dal disastro. Se il re morisse senza un erede maschio, il Paese sarebbe condannato a una guerra civile. Enrico VIII vorrebbe annullare il suo matrimonio e sposare Anna Bolena, ma il Papa e la maggioranza dei regnanti d’Europa si oppongono. Sarà Thomas Cromwell ad occuparsi di questa impasse: figlio di un fabbro di Putney, uomo capace di redigere un contratto come di addestrare un falco, disegnare una mappa e sedare una rissa, arredare una casa così come di corrompere una giuria. Architetto machiavellico del regno di Enrico VIII e artefice dei destini della dinastia dei Tudor, il protagonista del pluripremiato romanzo di Hilary Mantel emerge in tutta la sua contraddittoria umanità: nonostante le sue umili origini, quest’uomo venuto dal nulla, dedito ai mestieri più disparati - mercenario in Francia, banchiere a Firenze, commerciante di tessuti ad Anversa – in virtù delle sole doti intellettuali sarà in grado di rompere le rigide regole della società inglese e rialzarsi da una drammatica situazione personale, e di lui si servirà il re per ottenere il divorzio da Caterina d’Aragona e unirsi ad Anna Bolena, dando così un nuovo corso alla storia della chiesa d’Inghilterra.
Hilary Mantel è nata a Glossop, nel Derbyshire, nel 1952. Scrittrice prolifica, ha esordito nel 1985 con Every Day is Mother's Day e molti dei suoi romanzi sono stati finalisti a importanti premi letterari, primo tra tutti l’Orange Prize (Beyond Black, di prossima pubblicazione per Fazi Editore). Wolf Hall è stato insignito nel 2009 di uno dei più importanti premi letterari del mondo, il Man Booker Prize, ed è stato finalista al Costa Novel Award 2009 e all’Orange Prize for Fiction 2010. Di Wolf Hall Hilary Mantel sta scrivendo un sequel, The Mirror and the Night.
Inverno 2016: un'altra stagione piovosa a Londra, seguita da un'umida estate. Ma questa volta succede qualcosa di molto diverso. La diga che regge le acque del Tamigi crolla, trasformando tutta la città in un immenso acquitrino. Quando l'acqua si ritira, sembra riprendere il normale corso degli eventi. Ma il livello del mare comincia ad alzarsi a una velocità spaventosa, minacciando di sommergere completamente le città costiere in meno di due anni. L'intera umanità è nel panico, i punti di riferimento svaniscono, le cose materiali perdono valore. Attraverso Lily, Helen, Gary e Piers viviamo l'esperienza di una vera alluvione e il tentativo di sopravviverle.
"Ci sono stati altri casi di malattia mentale nella vostra famiglia?". Comincia così, con la domanda di un assistente sociale dello Yorkshire, questo commovente viaggio interiore di Alan Bennett. Siamo nell'istituto psichiatrico dove l'anziana madre è stata ricoverata per una grave forma depressiva - così almeno viene definita. Comunque sì, ci sono stati altri casi in famiglia, ma lui non lo aveva mai saputo. È il padre a svelare per la prima volta, in un atto burocratico e liberatorio, la fine drammatica e segreta del nonno di Bennett, e a indurlo a esplorare le storie nascoste e dimenticate degli altri parenti. Ma come si distingue la malattia mentale dalle manie, dalle fobie, dal silenzio, dall'infelicità? Da parte di uno scrittore che in passato non poteva "neanche togliersi la cravatta senza prima far circondare la casa da un cordone di polizia", un libro come questo è un dono inaspettato. Solo di recente, infatti, Alan Bennett ha sentito il bisogno di dedicarsi a quell'attività vagamente disdicevole che è lo scrivere di sé. Cambiando tonalità, forse, rispetto agli scritti esilaranti e feroci che gli hanno dato la celebrità, ma sempre con lo stesso sguardo acuminato e instancabile. Uno sguardo di un'onestà dolente, poco caritatevole soprattutto verso le sue manchevolezze. E l'umorismo? Sotteso - o forse sospeso - in ogni pagina come uno strumento di interpretazione insostituibile, col quale ci si può destreggiare anche fra le tragedie della vita.
Maggio 1998: Andy McNab inaugura finalmente la sua casa e invita i ragazzi del plotone Sette, gli Ice Cream Boys, per festeggiare. La gioia di ritrovarsi è però guastata dal recentissimo fatto di sangue che ha visto protagonista Thomas Shanks, vera leggenda del reggimento, in carcere per omicidio. Solo qualche anno prima era toccato a Nish Bruce, il giovane più scanzonato, colto e fragile del gruppo: in un raptus aveva aggredito a forbiciate la fidanzata... Ma cosa ha spinto Tommy, Nish e tanti altri a varcare quella soglia? Andy capisce che, per trovare le risposte, deve rivisitare i tanti teatri delle guerre di cui lui e i compagni sono stati protagonisti, spesso nell’ombra, di azioni estreme, ricostruendo la fittissima trama dei rapporti fra quei giovani, uniti dal dovere e dalla lealtà più assoluti, ma anche da rancori e sensi di colpa dilanianti.
Sfilano così i giorni nella giungla della Malaysia, l’incontro con i «ragazzi del gelato»; l’Irlanda del Nord, Belfast e Derry insanguinate dalla guerriglia e infine la prigionia nel lager di Abu Ghraib, dove l’autore, nonostante le torture subite, è riuscito a mantenere l’unico bene che gli fosse rimasto: la propria mente.
Il giornale sta al terzo piano di un palazzo storico. Non ci sono scritte sulla porta. Niente nome né testata, solo un manipolo di penne che comunicano fra loro in inglese. Fuori dall’ascensore qualcuno ha appeso un cartello: «Lasciate ogni speranza voi ch’uscite. Outside is Italy». Tre piani sotto c’è Roma, la cui bellezza, con quel misto di fascino e inquietudine, caos e dolce vita, appare eterna soprattutto a chi, all’inseguimento di sogni effi meri, vi arriva da un paese lontano.
Tutti i dipendenti del giornale – americani, inglesi, australiani, canadesi – sono suffi cientemente uomini di mondo per primeggiare nella qualità che governa il loro mondo: l’imperfezione. Lo stagista zelante interviene sempre a sproposito, la titolista non riesce a far entrare le parole nelle colonne, il correttore di bozze lascia errori grossolani, il redattore pedante dà letteralmente in escandescenze se qualcuno si azzarda a utilizzare l’avverbio «letteralmente», l’inviato al Cairo conosce quattro parole di arabo e non ha idea di dove si trovino le notizie. In redazione parlano il giornalese, lingua che fonde sintesi e desiderio di conformismo, ma fuori ognuno torna a indossare – drammaticamente – la propria inadeguata unicità.
Undici ritratti di imperfezionisti – taglienti, ironici e fatalmente intrecciati con le traversie del giornale e con l’ultimo mezzo secolo di storia – formano il racconto perfetto del regno dell’approssimazione mediatica, dove l’arte della verità fl uttua pericolosamente nella corrente delle passioni umane, tra cialtroneria e bassezze, cinismo e solitudine.
Vigilia della Grande Guerra: Leon Courteney, nipote dell’alto ufficiale britannico Penrod Ballantyne, è un giovane e valoroso sottotenente dei King’s African Rifles. Ma la sua vera passione è la caccia grossa, cui si dedica col fedele e coraggioso sergente Manyoro, guerriero masai, cui è legato da un forte sentimento d’amicizia. Leon diventa così una guida esperta di personaggi importanti e facoltosi, tra i quali spicca un ospite d’eccezione: il presidente americano Theodore Roosevelt. Ma l’appartenenza di Leon all’esercito di Sua Maestà lo porterà a essere protagonista di un gioco molto rischioso, di portata internazionale. In un entusiasmante crescendo si riveleranno i diabolici intrighi con cui, dal cuore profondo dell’Africa, magnati, avventurieri e nobildonne sembrano decidere le sorti del Vecchio Continente. Sarà però l’incontro con una donna bellissima ed enigmatica a cambiare per sempre il destino di Leon, ormai conosciuto come il più grande cacciatore del continente.
Pochi altri autori riescono come McEwan a far appassionare il lettore ai destini di personaggi quantomeno discutibili, «eroi» che attraggono in misura proporzionale al disgusto che suscitano. È il caso di Michael Beard: basso, grasso, inverosimile seduttore, fedifrago patentato e marito seriale al quinto matrimonio, a poco più di cinquant'anni è ormai uno svogliato e dispotico burocrate della scienza da quando la genialità, che pure in gioventù gli valse il Nobel per la Fisica, lo ha abbandonato. Da successore di Einstein ad almanacco vivente dei sette peccati capitali (con una certa predilezione per gola e lussuria): la parabola esistenziale di Beard sembra condurlo inesorabilmente verso la malinconica contemplazione della propria decadenza. Almeno fino al giorno in cui gli viene affidato il Centro nazionale per le energie rinnovabili: tra i suoi sottoposti non tarda a mettersi in luce un giovane, Tom Aldous, tanto brillante quanto ingenuo (almeno agli occhi del cinico Beard) nella sua aspirazione a «salvare il mondo». Eppure il progetto di Tom non è così campato per aria se, come dice, la sua scoperta è in grado di risolvere una volta per tutte i problemi energetici del pianeta. L'incontro tra il giovane ricercatore e il maturo scienziato avrà sviluppi inaspettati come solo un abile (e malizioso) architetto del romanzesco quale è McEwan riesce a concepire: un intreccio che, lungi dall'essere fine a se stesso, è l'occasione per un confronto spietato con una morale collettiva indifferente, al di là degli slogan, ai rischi del riscaldamento globale.
Con Solar è come se l'autore inglese rivedesse il detto di Marx: tragedia e farsa non devono darsi necessariamente in successione, ma possono riverberarsi l'una nell'altra nello stesso momento. Ciò che condividono, e verso cui entrambe tendono, è la catastrofe: sia essa quella individuale di un uomo ridicolo, o quella planetaria di un'umanità che si autocondanna all'estinzione.
«Un'opera incredibilmente riuscita, forse la migliore di McEwan ad oggi».
Financial Times
«In Solar, McEwan fa sfoggio di una giocosità, di uno humour, di una varietà di stili che non avevamo mai visto prima».
Spectator
Edward Rutherfurd celebra la più grande città d’America in questa appassionante saga, unendo con abilità fiction e storia. Dagli inizi del Nuovo Mondo – quando New York era solo un piccolissimo villaggio di pescatori Indiani sull’isola di Manna Hata – alla New York moderna dei grattacieli, l’autore ricostruisce l’intera storia di questa straordinaria metropoli. Passando attraverso la guerra civile, l’immigrazione, il boom economico e l’attacco alle Torri Gemelle, Rutherfurd mescola l’impeccabile ricerca storica al bellissimo racconto dei destini intrecciati di numerose famiglie, ricche e povere, bianche e nere, immigrate e non, ricostruendo, attraverso le loro peripezie, quattro secoli di storia americana.
Blu non è più un bambino cattivo. Ora è un uomo di quarant’anni. Lavora come portiere in un ospedale e vive ancora insieme alla madre in un paese dello Yorkshire. Un’esistenza ordinaria, all’apparenza un po’ monotona. Una vita molto diversa da quella che l’uomo conduce nel mondo virtuale. Blu ha un blog su un sito chiamato “badguysrock”, una community che ha fondato lui stesso, dedicata a tutte le persone cattive. Su internet dà sfogo ai suoi desideri più nascosti, confessa ossessioni di morte, racconta la sua infanzia, quella di un bambino pericolosamente affascinato dal male. Pensieri oscuri che girano attorno a una terribile fantasia, quella di uccidere sua madre. Una donna dura, con cui ha sempre avuto un rapporto carico di misteri. Ma cosa è vero e cosa non lo è? Qual è il confine tra realtà e mondo virtuale? Blu era realmente un bambino malvagio o semplicemente si inventava tutto? Forse l’inquietante Albertine, che condivide con Blu un agghiacciante segreto, lo sa. O forse no. Una cosa è certa: Blu non è quello che sembra. E mentre post dopo post le parole le parole si fanno sempre più sinistre, la violenza cresce pericolosamente. C’è un solo modo per fermarla: scavare nel vero passato di Blu, un passato oscuro, un passato di rivalità e menzogne, il passato di un bambino incompreso, dotato di una sensibilità straordinaria. Fino a svelare il cuore malato di una famiglia profondamente disturbata. Solo così emergeranno le ragioni di un omicidio vecchio di vent’anni…
Al momento della morte, Patrick O’Brian stava lavorando al seguito di Blu oltre la prua. Le pagine dell’Ultimo viaggio di Jack Aubrey, una perla per tutti i cultori del grande scrittore inglese, rappresentano il suo vero (e incompiuto) ultimo romanzo, finalmente pubblicato in Italia. Jack Aubrey e Stephen Maturin sono in Cile, dove vengono raggiunti dalla moglie e dalle figlie di Aubrey, e da un’affascinante amica di Stephen. È in programma un viaggio in Sudafrica: la rotta è per lo stretto di Magellano, poi la Terra del Fuoco, per fare provviste di cibo e acqua. Ma la meta potrebbe anche diventare Sant’Elena, dove si trova in esilio Napoleone...
L’inedito è seguito da un ampio e documentatissimo saggio storico-letterario di Gastone Breccia sulla Royal Navy tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, in cui vengono illustrati l’organizzazione della flotta, la tipologia e l’armamento dei vascelli, le attrezzature e gli strumenti della navigazione, la vita di bordo e molte altre curiosità... Un saggio che, come scrive lo stesso Breccia, intende essere «in primo luogo un omaggio a Patrick O’Brian e alla sua opera». L’ultima frase del grande scrittore inglese è rimasta sospesa a mezz’aria, come il viaggio di Aubrey e Maturin. Ma è bello pensare – parafrasando una celebre canzone americana della Grande Guerra – che «i marinai non muoiono mai, svaniscono nell’aria».