Nel caldo degli ultimi giorni d'estate, prima di riaprire lo studio psichiatrico e ricominciare a insegnare all'università, Michele si dedica alla stesura di un libro che dovrà rappresentare il lavoro di tanti anni. I giorni trascorrono uguali, ma le sue certezze scientifiche vacillano, è ossessionato dai possibili errori compiuti. Roma sembra immobile: Michele passeggia nel quartiere del Vaticano, si siede in piazza San Pietro, trova un ristorante solitario in cui cena ogni sera e stringe amicizia con Hiroshi, un restauratore di origine cinese che subito lo affascina. Hiroshi gli racconta una vicenda che ha dell'incredibile: il volto del Cristo nel Giudizio Universale di Michelangelo è in realtà un falso, forse è stato lui a cancellarne i tratti, forse altri. Con meraviglia e orrore la presunta colpa di Hiroshi si affianca alle incertezze di Michele e lo coinvolge; la costante ripetitività delle giornate tutte uguali si rompe in violente sensazioni, in una sensualità imprevista e in un amore che lo allea alla dolcezza e al dolore. Con una voce inconfondibile, capace di rendere gli ambienti e i personaggi in tutti i loro chiaroscuri, Francesca Sanvitale conduce il lettore in un percorso narrativo ricco di false piste e agnizioni: la solitudine del protagonista è quella dell'uomo contemporaneo, confuso e oppresso dal suo egoismo e dalla sua debolezza, come se un naufragio fosse nascosto sotto la calma apparente di tutti i giorni.
1593. A Roma il sole di luglio splende impietoso sui palazzi e sulle strade vuote, costringendo i passanti a rifugiarsi nei pochi angoli ombreggiati. Ma per Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, la città non è mai stata più bella, più vivace. Dopo mesi di malattia, infatti, è finalmente giunto alla bottega dell'amico Prospero Orsi, che gli ha concesso ospitalità fino a quando il suo talento non sarà notato dai maestri dell'Accademia. Al suo arrivo nello studio, si trova di fronte un giovane in uno stato di inguaribile tristezza che, colto in quel momento di fragilità, gli confida la sua penosa storia. Il ragazzo, era giunto come lui dal nord per diventare apprendista nella bottega di Orsi. In breve però il suo amore per l'arte era stato scalzato dall'apparizione di una fanciulla, l'imprevedibile e bellissima figlia di un oste, Angelica. I momenti trascorsi con lei gli avevano restituito la vita, ma ora tutto sembra finito. Subito l'attenzione di Caravaggio è catturata da quell'amore intenso e controverso che sembra accendere l'animo del giovane. Perché per lui l'arte nasce dalla pura vita che ha di fronte, dall'anima pulsante del mondo che lo circonda. Così decide di aiutare l'amante infelice.
Al centro delle storie che Renga viene raccontando c'è un uomo che si aggira raccogliendo oggetti, oggetti raccolti apparentemente senza motivo. Un mazzo di chiavi trovato in strada. Un aquilone. Una vecchia sveglia. L'uomo raccoglie quello che trova in una stanza illuminata dai raggi del sole che passano tra le assi malferme del tetto. Sono piccoli oggetti che assumono via via la forma di ali, ali che sono scampoli di vita delle persone che li hanno posseduti, usati, persi. Finestre aperte su altre esistenze. E finestre su altre esistenze o su segmenti diversi della vita dell'io narrante sono le storie che fanno corona a questo episodio. L'infanzia dolceamara della campagna, l'adolescenza che morde il freno, la vita adulta avvitata dolorosamente intorno alle fatiche della vita coniugale. Attraverso continui flashback, i singoli episodi vengono stabilendo la distanza fra il superstite che ora si guarda esistere e la forza del suo passato, fra la sua inadeguatezza e l'ansia di volare via.
Su un terreno nei dintorni di Vigàta, buono solo per ricavarne creta per i vasai, viene trovato il cadavere di un uomo. Sfigurato, squartato, chiuso in un sacco affiorato dopo una forte pioggia. Non si sa chi sia lo sconosciuto, ma nel frattempo una donna del paese denunzia la scomparsa del marito, un colombiano di origini siciliane, imbarcato su navi di lungo corso che fanno la spola tra il Sud America e l'Italia. È a quel punto che il commissario Montalbano si ricorda del racconto del Vangelo - il tradimento di Giuda, il pentimento, i trenta denari scagliati a terra e poi utilizzati per comprare il "campo del vasaio" per dare sepoltura agli stranieri. Semplici coincidenze? Il corpo della vittima è stato smembrato in trenta pezzi, il terreno in cui è stato ritrovato è buono per i vasai, il colpo di pistola alla nuca nel codice d'onore sta a significare tradimento, senza contare che il morto era uno straniero. Ma le convergenze sembrano costruite con troppa arte e anche se il delitto ha tutte le caratteristiche di un omicidio di mafia, Montalbano sente odore di bruciato. I tradimenti nel romanzo non si contano: quello di Mimì, nei confronti di Beba ma anche dell'amico e "superiore" Salvo con cui sgomita per avere un ruolo da protagonista nelle indagini, quello di Dolores, la bellissima moglie del morto ammazzato, quello dello stesso commissario che è costretto a barcamenarsi tra segreti e bugie per giungere alla verità.
Ginnastica e rivoluzione segue le disavventure di quattro ventenni che finiscono a Parigi in cerca di un nuovo Sessantotto nei giorni immediatamente precedenti la grande manifestazione di Genova nel 2001. Sono tutti giovani di belle speranze: grandi ideali, amori un po' troppo gridati per essere del tutto sinceri; ritrovatisi più o meno per caso in una vecchia palazzina, hanno messo in piedi una traballante agenzia fotografica che segue per alcuni giornali le manifestazioni e i picchetti. Armati di macchina fotografica, sapranno immortalare il grande evento. Non tutto, però, va come previsto. Il romanzo si apre infatti con la fuga di Julie, la più confusa e incerta dei quattro, dopo una splendida e disastrosa storia d'amore con T, protagonista e dreamer italiano troppo accecato da ogni genere di sogno per capire veramente quello che sta facendo. La ricerca di Julie - e dell'archivio dell'agenzia con il quale è fuggita - condurrà i personaggi del libro a una serie di disavventure con la polizia, i giornali, le famiglie. E così, in una Parigi mai tanto lontana dagli stereotipi, tra battaglie civili, pedinamenti, ripicche e vendette sentimentali, facendosi strada alla meno peggio fra cicloattivisti, principi del foro e cartomanti televisive, i quattro ragazzi arrivano alle soglie di quello che vorrebbero l'inizio della grande storia... rischiando di perderla.
La prima notte che Marco trascorre a Tokyo è sorprendentemente silenziosa - e il suo sonno "simile a quelli della convalescenza o della salvezza". Mai, tuttavia, la singolarità delle sue inchieste è stata così lampante, e mai il loro fascino così intenso: a raccontarci il Giappone, "pianeta rotante nel silenzio e nella solitudine della volta celeste", è infatti un doppio dell'autore, in fuga da un paese sconvolto da "millenni di furti, ricatti e assassinii". E a muoverlo è quello stesso bisogno di essenzialità, di rigenerazione, che innerva uno dei vertici della narrativa di Parise, i Sillabati. Attraverso il suo sguardo infantile, il lettore conoscerà le più diverse facce del Giappone: dai templi di Kyoto, dove si può percepire "il distacco dal corpo che avviene per poco ossigeno", ai lottatori di sumo, che sprigionano la più alta forma di espressività fisiologica; dall'atelier dove il vecchio Moriu-guchi dipinge chimono con sicurezza sublime, "simile al lavoro appena frusciante dei bachi da seta nei granai", ai cantanti di gagaku, nella cui voce risuonano i "movimenti lentissimi degli immensi blocchi gelidi dell'era glaciale". E scoprirà l'anima segreta di un paese che cela, dietro la maschera occidentale, un "classicismo cellulare".
Lucio Cornelio è un giovane patrizio romano, amante delle corse di cavalli e provetto auriga. Si è sempre tenuto lontano dagli intrighi di palazzo, ma rischia di rimanere invischiato nella congiura ordita contro Augusto dai dissoluti amici di Giulia, nipote dell'imperatore. In realtà, i nemici di Lucio vogliono coinvolgerlo solo perché mirano al suo ingente patrimonio. Lucio è costretto a scappare e ripara in Germania dal suo amico Arminio, principe dei Cherusci. Arminio era stato educato a Roma e aveva combattuto spesso, al fianco dei romani, contro altre tribù germaniche. Solo che Lucio non poteva capitare nel momento più sbagliato. Perché Arminio sta preparando una colossale sollevazione contro i romani, quella che porterà alla più sanguinosa sconfitta mai subita dalle truppe imperiali: la battaglia di Teutoburgo.
Riordinando la mole enorme dei suoi racconti, Lucarelli è stato molto crudele. Verso se stesso, non verso i suoi lettori. Ha tolto tutto ciò in cui non si riconosceva piú, e ha "montato" il meglio, gli oltre cinquanta racconti selezionati, secondo un ritmo mentale, una esigenza musicale che alterna i sapori e i temi. Così, mentre il lettore si trova invitato a un ghiottissimo menu, che spazia dall'horror al comico al thriller, unica e del tutto inconfondibile è la voce che lo affascina in questo libro. Forse la voce più autentica di Carlo Lucarelli, in tutte le sue modulazioni. Una voce che invita alla complicità, che coinvolge in una sorta di ininterrotta "danse macabre", di gioco esplicito sui temi della morte e della colpa, in una a volte selvaggia cavalcata diabolica, in una confusione di identità dove, alla fine, lo specchio sembra rimandarci l'immagine distorta, ma lucidissima, dei nostri desideri, e delle nostre illusioni.
Nel 1937 i fratelli Nello e Carlo Rosselli furono assassinati in Francia perché oppositori del regime fascista. Silvia Rosselli, figlia dello storico Nello, nipote di Carlo, fondatore del movimento antifascista "Giustizia e libertà", racconta la propria vita e quella della sua famiglia. Attraverso i suoi occhi seguiamo buona parte della storia del nostro paese nel secolo scorso ma soprattutto seguiamo la famiglia Rosselli: dal confino ad Ustica, all'assassinio in Francia dei due fratelli, all'espatrio in Inghilterra e in America, al rientro in Italia, al trascorrere delle generazioni successive fino ad oggi. "Cosa mi ha spinto a raccontare?", si chiede l'autrice. "Dopo la morte di mia madre ad un tratto mi sono accorta che non c'era più nessuno a cui fare domande sul passato. Ero rimasta l'ultima, è stato allora che ho pensato di scrivere qualcosa, in primo luogo per le figlie, i nipoti, i fratelli e poi per gli amici e anche per quelli che non conosco... Pensavo che il passato giacesse lì quieto e ormai risolto al fondo della mia memoria, era invece una materia ancora viva e incandescente." Lo struggente e nitido ritratto di una famiglia, anzi di una generazione, di un gruppo culturale e sociale che se oggi non esiste più, ha lasciato tracce indelebili nella nostra storia e che leggiamo con straordinaria partecipazione.
Quando nel maggio del '99, Erri De Luca partì per Belgrado, bombardata dalla Nato, fece "atto di residenza, non di resistenza". In un certo senso, tutto questo libro è "un atto di residenza". Raccoglie scritti diversi, che raccontano luoghi, avventure, impressioni, unite da un unico punto di vista, quello del "pianoterra", cioè uno sguardo dal basso e uno sguardo di residente: lo sguardo stanziale di chi, pur vagabondo, per il breve periodo in cui si ferma, mette radici, costruisce pareti di cartone o di latta. Uno sguardo che gli fa vedere gli uomini come alberi che camminano, la politica come un museo delle marionette, il mondo come un vecchio cappotto capovolto...
Nell'arco di dieci anni, 1997-2007, Giovanni Agosti ha accompagnato il lavoro di Giovanni Frangi, uno dei maggiori artisti italiani di oggi, nel segno di una comprensione che va ben oltre l'amicizia. Lungo il filo dei testi, che rappresentano tappe e punti a capo, si vede scorrere in presa diretta un pezzo di storia dell'Italia recente, tra città diverse (Roma, Firenze e soprattutto Milano). Ci sono molti paesaggi, descritti e dipinti; molti libri; molti film; un po' di musica. Mentre si rende visita a parecchi modelli illustri di critica, non solo del nostro paese, si assiste al progressivo mutare della ricerca artistica di Frangi e della scrittura che la rappresenta, in una fuga progressiva dalla superficie limitata del quadro in direzione di una più complessa rappresentazione approssimativa della realtà. E, al tempo delle giovinezze permanenti, il libro diventa, senza che l'autore e l'artista lo abbiano voluto, testimonianza primaria del difficile passaggio alla mezza età. È dunque, e prima di tutto, un buon viatico per il mestiere più difficile: l'invecchiare con decenza.