"Tengo, dove sei?" Ci sono amori che devono attraversare universi per incontrarsi. Ci sono amori che devono superare ostacoli, difficoltà, avversari, enigmi. Amori che devono, soprattutto, vincere le paure interiori inquietanti e terribili come piccole creature che albergano dentro di noi per poter creare a propria volta un mondo in cui non ci sia più la paura, un mondo nuovo in cui essere al sicuro in due. Aomame e Tengo vivono da sei mesi in una realtà che non è la loro, un mondo "al di là dello specchio" su cui brillano due lune. Divisi e braccati, costantemente in pericolo di vita, sembra che tutto congiuri per impedire che si incontrino. Sulle loro tracce, oltre la setta Sakigake e forze ancora più sfuggenti e misteriose, adesso c'è anche l'investigatore privato Ushikawa, un ostinato segugio il cui bizzarro aspetto fisico (guardarlo "era come trovarsi di fronte a uno specchio deformante, e tuttavia nitido in modo spiacevole") si accompagna ad un intuito strepitoso. Ushikawa, però, è anche il terzo, inedito punto di vista che, alternandosi a Tengo e Aomame, accompagna il lettore nella vertiginosa conclusione di 1Q84. Qui Murakami tira le fila di tutte le trame, i personaggi, gli enigmi con cui ha costruito la sua narrazione: le domande, le coincidenze, i misteri daranno corpo a una nuova verità, come una costellazione che all'improvviso rivela il suo disegno. Murakami ha creato un universo per raccontarci come si creano gli universi.
Nelle cucine di un ristorante di lusso a Zurigo lavora Maravan, un giovane tamil che viene dallo Sri Lanka. Come molti suoi connazionali è fuggito dalla guerra per giungere in Europa, sperando nell'asilo politico e con la responsabilità di aiutare la famiglia rimasta in patria. Nel ristorante gli vengono assegnati solo i compiti più umili e noiosi, ma lui non se la prende. Ha un carattere amabile e ottimista, possiede una fede devota, e soprattutto è un cuoco dall'olfatto e dalle qualità straordinari. La prima a scoprirlo è Andrea, una cameriera dello stesso locale. Per lei Maravan cucina il vero curry, ispirato alla tradizione culinaria di famiglia con qualche personale innovazione. La ragazza, nel corso di una cena indimenticabile, avrà un'idea che cambierà il loro futuro: dovranno mettersi in proprio e aprire una ditta. Si chiamerà "Love Food" e proporrà un Love Menu, consegna a domicilio di raffinati manicaretti afrodisiaci capaci di stimolare il desiderio delle coppie annoiate. I primi clienti arrivano grazie a una terapista specializzata, ma la voce si sparge rapidamente. Le sensuali ed efficaci ricette di Maravan sanno restituire gusto ed emozione alle serate di coppie abbienti, a personalità della politica, a uomini d'affari in cerca di sensazioni forti. Ma attraggono anche figure ambigue, che vivono ai margini del potere e della ricchezza...
È ormai notte quando Emily sale sul traghetto per Bainbridge Island, poche miglia al largo di Seattle. Davanti a sé, le luci dell'isola la accolgono come un abbraccio. Quel luogo è sempre stato il suo rifugio, la sua oasi di tranquillità, ed è quindi il posto ideale per dimenticare, per lasciarsi alle spalle le carte del divorzio appena firmate, il romanzo che il suo editore attende con ansia, ma che lei non ha ancora scritto, e l'oceano di rimpianti che la opprime. Così, per qualche tempo, sarà di nuovo ospite dell'anziana zia Bee, nella casa in cui, da ragazzina, ha trascorso lunghe estati luminose e spensierate. E proprio in quella grande casa, piena di fotografie in bianco e nero e di stanze chiuse a chiave, Emily scopre qualcosa che cambierà per sempre il suo destino: un diario con una consunta copertina di velluto cremisi, in cui una donna di nome Esther racconta la sua storia d'amore con Elliot, una storia che risale al 1943, avvincente e tragica, esaltante e impossibile. Ma chi sono Esther e Elliot? Sono esistiti davvero? E perché quel diario si trova lì, in casa di zia Bee? Nessuno sembra disposto ad aiutare Emily a far luce sul mistero; anzi, di fronte alle sue domande, tutti si chiudono in un ostinato silenzio. Ma, per Emily, capire cosa sia accaduto a quella donna - così lontana eppure così simile a lei - diventa una ragione di vita. Come se il segreto nascosto tra le pagine di quel diario la riguardasse da vicino...
Palamède Bernardin è l'ingombrante vicino di casa di Emile e Juliette, una coppia di anziani coniugi che decidono di ritirarsi in campagna per trascorrere gli ultimi anni della loro vita in una felice cornice bucolica. Ma i due vengono quotidianamente perseguitati da un vicino obeso e silenzioso, Palamède appunto, che tuttti i pomeriggi, rende loro visita invadendo, con la sua enorme mole, il salotto. E le cose si complicano ulteriormente quando a queste riunioni silenziose si unirà anche la moglie di Palamède, Bernadette, un essere informe.
Alice adora mangiare cioccolata e dormire fino a tardi la domenica mattina. Ha ventinove anni, un marito e un figlio in arrivo. Ed è sfacciatamente felice, pur avendo le stesse preoccupazioni di tutti. Per lei l'amore ha il profumo di lavanda, la pianta che ha fatto crescere davanti a casa. La vita è semplice e meravigliosa, per Alice. C'è solo un problema: tutto ciò è successo dieci anni fa. Alice è inciampata durante una lezione di aerobica, è caduta e ha battuto la testa. Un incidente di nessun conto se non fosse che, quando ha ripreso conoscenza dopo pochi minuti, ha scoperto di essersi dimenticata in un lampo di un'intera fase della sua esistenza. In realtà, ha trentanove anni. Ha mille impegni ed è fissata con la linea e l'organizzazione, lei che non aveva mai posseduto neppure un'agenda. Ovviamente non è più incinta, e chi diavolo sono quei tre mini-marziani che la chiamano mamma? È fredda e distaccata, sua sorella non le rivolge quasi più la parola e, quel che è peggio, sta per divorziare. Cosa è successo? Ora che Alice ha l'occasione di vedersi sotto una nuova luce, non si piace più. Come fare per ritrovare la ragazza spensierata di un tempo? Man mano che i ricordi emergono dal passato come bolle di sapone colorate, salterà fuori che dimenticare è la cosa più memorabile che sia mai successa ad Alice. E che forse, ogni tanto, per rimetterci in carreggiata e riscoprire ciò che di bello abbiamo perso per strada, abbiamo tutti bisogno di una piccola botta in testa...
Di nuovo sulle sue montagne ma anche a Tripoli e a Beirut, Jabbour Douaihy narra in questo romanzo la storia di Nizam, nato in una famiglia sunnita di Tripoli, seconda città del Libano, e allevato in un paesino di villeggiatura montana, Haoura, da un'abbiente famiglia maronita che gli darà il proprio nome e la propria religione. Ventenne, a Beirut, frequenta la gioventù rivoluzionaria sessantottina. È qui che lo sorprende lo scoppio della guerra civile. Ed è qui che affronta la sua duplice appartenenza, musulmana e cristiana, di cui lui non si è mai crucciato ma che nessuno, nelle due comunità, ha mai accettato. Nell'epilogo, tragico e al contempo demenziale, Nizam diventa metafora di un paese diviso dalla follia identitaria dei suoi abitanti. Il tema dell'identità, delineato con originalità ed emozione, i personaggi, lo stile narrativo fluido e trasparente, ingentilito da descrizioni della natura molto poetiche, visionario nella follia e nella solitudine del protagonista, fanno di "San Giorgio guardava altrove" un romanzo intenso e attuale che descrive il dramma di un uomo nato musulmano, cresciuto cristiano, e che da adulto non sa chi è, in un paese dove questa libertà non esiste.
Una chiave di Tiffany, un piccolo uovo tempestato di diamanti, la torre Eiffel in miniatura. Sono solo alcuni dei ciondoli sul braccialetto che Holly, responsabile di un negozio di abiti vintage a Manhattan, trova nascosto nella tasca di una magnifica giacca Chanel di velluto rosso. Quando il tentativo di risalire al nome della proprietaria fallisce, Holly, al cui polso per combinazione tintinna un bracciale quasi identico, si getta in una vera e propria avventurosissima indagine. Perché ogni ciondolo, Holly ne è certa, celebra un momento speciale, un punto di svolta, un ricordo prezioso nella vita di colei che lo ha scelto. E così, studiandone i dettagli, la provenienza e le minuscole incisioni, e ricostruendone a poco a poco la storia. Holly scopre le tappe di un'esistenza vissuta intensamente, con passione e con coraggio. E si avvicina senza saperlo all'attimo fatale in cui anche la sua vita di mamma single sognatrice e un po' svagata, appassionata di vecchi film e abiti da favola, svolterà in una direzione inattesa. Regalandole, nella notte più romantica dell'anno, l'incontro con l'uomo che il destino ha scelto per lei.
Nel cuore della notte, in un cassone delle immondizie giace il corpo di una giovane donna, avvolto con cura in una pellicola di plastica trasparente. L'ispettore Frank Frølich la riconosce: l'aveva arrestata non molto tempo prima mentre si procurava una dose di cocaina, e più tardi l'aveva rivista a braccetto di uno dei suoi migliori amici di un tempo, quell'amico che ora diventa il sospettato principale. I molti anni trascorsi nella polizia di Oslo cominciano a farsi sentire, le indagini riportano in vita ricordi che lo tormentano, e Frølich è in difficoltà, alle prese con gli anni della sua adolescenza, dove sembra nascondersi la chiave dell'enigma. Nel nuovo caso di Gunnarstranda e Frølich, K.O. Dahl esplora la natura della lealtà più nobile e del tradimento più intollerabile.
A Terenure, un grazioso sobborgo di Dublino, sta nevicando. Gina Moynihan, trentenne sveglia e smaliziata, la tipica "altra donna", ripercorre i momenti che l'hanno portata a innamorarsi dell'uomo della sua vita, Seán Vallely. Mentre fuori la città si paralizza sotto una coltre bianca, Gina ricorda i giorni trascorsi tra una camera d'albergo e un'altra, i lunghi pomeriggi divisi tra estasi e rifiuto. Ora, mentre le strade silenziose e il vorticare della neve rendono la giornata luminosa e piena di possibilità, Gina decide di uscire e incontrare una bambina, un "bellissimo errore" come la chiama lei: è Evie, la figlia dodicenne di Seán, la testimone involontaria del loro amore. In questo romanzo, una sorta di libro dei segreti, Anne Enright si rivolge direttamente ai suoi lettori che, come in "La veglia", trovano, tutta l'improvvisa emozione della vita quotidiana, i fragili legami tra le persone, gli sguardi pronti a cogliere ogni minimo gesto, ogni battito di ciglia, e come sempre l'autentico, spietato ritratto di famiglie, matrimoni, individui.
Fernando Pessoa è una figura altissima, enigmatica e difficilmente classificabile, del Novecento letterario portoghese e della modernità in genere, esempio sconcertante di come la scissione dell'io possa dar luogo a esiti luminosi sul piano della creatività poetica e della immaginazione filosofica. In Italia la sua fortuna editoriale è dovuta al lavoro pionieristico e appassionato di Antonio Tabucchi che ha curato e tradotto per primo (insieme a Maria José de Lancastre) le sue opere più celebri.
Scrivere, per Pessoa, è spacciarsi per un altro, portare sulla scena la propria più profonda interiorità in voci e nomi molteplici e differenti.
«Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / da fingere che è dolore / il dolore che davvero sente» leggiamo in Autopsicografia, una sorta di inno alla menzogna, alla simulazione artistica, alla dissociazione e allo sdoppiamento di sé. La sua, in definitiva, è un'esaltazione dell'annientamento e del suicidio dell'io, la cui immagine simbolica più efficace è lo specchio infranto che, proprio nel restituire non volti ma maschere, porta alla suprema autoaffermazione e, soprattutto, alla conoscenza del vero.
Una tale dichiarazione di poetica induce Pessoa a compiere una operazione letteraria spericolata e affascinante: quella di moltiplicarsi e rifrangersi in una vasta gamma di personalità artistiche fittizie, i famosi eteronimi (Álvaro de Campos, Bernardo Soares, Ricardo Reis, Alberto Caeiro, per citare i più celebri), ciascuno dotato di una biografia, di un aspetto esteriore, ma anche di una specifica caratteristica politica, intellettuale e poetica, nonché di un peculiare rapporto con l'ortonimo, ossia con il poeta ermetico e metafisico che si chiama Fernando Pessoa.
Pochissime sono le opere che Pessoa ha pubblicato in vita. La maggior parte degli scritti sono stati trovati dopo la morte in un baule, una specie di arca prodigiosa dalla quale sono stati estratti, con criteri estremamente incerti, soggettivi, e spesso vertiginosamente arbitrari, i testi che il mondo intero ammira. Quelli qui presentati da una delle più importanti lusitaniste italiane, Giulia Lanciani, sono una scelta molto cospicua tratta dalla raccolta di oltre seicento testi, in gran parte del tutto inediti, pubblicati in Portogallo nel 2006 dal filologo colombiano Jerónimo Pizarro, sapientissimo lettore delle carte pessoane. Si tratta dunque, come per Il libro dell'inquietudine, di una costruzione congetturale, dotata tuttavia della massima autorevolezza, riguardante un nucleo tematico cruciale, quello del genio e della follia, sul quale Pessoa si è esercitato, per non dire accanito, per tutta la vita, ma con particolare intensità tra il 1907 e il 1914. Che il tema sia ineludibile risulta con chiarezza dal fatto che lo stesso Pessoa dichiara in una lettera all'amico Casais Monteiro ¿ lettera che è in realtà una sorta di spietata autoanalisi - l'intrinseco legame tra la propria follia (un «profondo tratto d¿isteria») e l¿origine degli eteronimi. Attraverso la conoscenza della letteratura psichiatrica del suo tempo, di Lombroso in particolare, il discorso psichiatrico di Pessoa si alimenta in questo nuovo libro di altri discorsi - storici, culturali, estetici, filosofici e letterari - per elaborare una interpretazione della genialità artistica come patologia, disadattamento e degenerazione, in un rapporto di stretta parentela, anche se non mancano sottili e significative differenze, con le manifestazioni della follia.
Ciò che permette a Giulia Lanciani di affermare, nel suo saggio introduttivo, che questi sono «scritti importantissimi all'interno del sistema pessoano, sia perché conferiscono una nuova dimensione al "caso Pessoa", all'aspetto clinico che lo segna, sia perché si configurano come una nuova via per rivisitare tutta la sua produzione: in definitiva, per tentare di cogliere il complesso disegno poetico-esistenziale che soggiace alla costruzione testuale».
Impiegato modello in un'azienda modello - italiano medio tragicamente modello -, Michele Gervasini fa coincidere la sua idea di felicità con gli angoli acuti del contratto a tempo indeterminato. E poco importa se ogni mattina deve affrontare il traffico isterico della via Pontina per raggiungere il suo ufficio alla Montefoschi, azienda leader nella produzione di latte e derivati. Lì lo aspettano gli altri dipendenti dell'Ufficio pianificazione e controllo, una pattuglia di buffi animali da scrivania che vive - non solo simbolicamente - all'ombra dell'enorme, minacciosa mucca aziendale in vetroresina che campeggia davanti agli stabilimenti. Ma un giovedì mattina la più mite fra le colleghe si dà fuoco nello sgabuzzino delle scope, e all'improvviso bisogna rivedere i confini di quelle giornate che fino ad allora avevano funzionato con l'efficienza di un formicaio. Con lo spirito dissacrante di una commedia tragicomica, "Nessuno è indispensabile" sovverte la tradizione del romanzo industriale seguendo il ritmo e la grammatica della contemporaneità, per descrivere in maniera umanissima e feroce i rituali, le mitologie, il misticismo laico che stanno alla base della vita aziendale. Peppe Fiore racconta la deriva impazzita del mondo in cui viviamo, la nevrosi da scrivania, i tic e le frustrazioni di ogni giorno, mettendo in scena personaggi che non hanno a disposizione un'altra vita, né il desiderio di immaginarsela.
Nel discorso tenuto nel 2006 davanti all'Accademia svedese in occasione del Nobel per la Letteratura, Orhan Pamuk ricorda un episodio avvenuto molti anni prima: "Pieno di trepidazione avevo consegnato a mio padre il dattiloscritto del mio primo romanzo perché lo leggesse e mi desse un parere". Era il 1974 e Pamuk aveva solo ventidue anni quando decise che sarebbe diventato uno scrittore e si chiuse in una stanza per portare a termine il suo primo romanzo: "Il signor Cevdet e i suoi figli", un'ambiziosa saga che attraverso la storia intima di una famiglia di Istanbul ripercorre un secolo di storia turca. Tutti i personaggi dei libri di Pamuk sono alla ricerca disperata di un'identità. A cominciare ovviamente dal fondatore della dinastia Cevdet, umile bottegaio della Istanbul di inizio secolo che tenta di imporsi come commerciante musulmano in una città che limitava il commercio alle minoranze etniche e religiose; per passare ai suoi figli e ai loro amici, esempi di una generazione spaesata, ostinatamente in cerca di uno scopo per vivere in un paese sospeso tra residui della tradizione e un'occidentalizzazione allo stesso tempo agognata e imposta dall'alto; fino ad Ahmet, l'ultimo nipote, che negli anni Settanta partecipa, riluttante, ai movimenti studenteschi. Quando il padre di Pamuk lesse il manoscritto del figlio ne fu ammirato: "Pronunciò parole che mi apparvero esagerate per esprimere la fiducia che riponeva in me e nel mio romanzo: mi disse che un giorno avrei vinto il Nobel".