«Una delle più grandi biografie del Novecento»: così il Times Literary Supplement ha definito questo libro. Un'opera che ha attratto nel tempo milioni di lettori e lettrici, tra le quali la regista Jane Campion che le ha dedicato uno dei suoi film più riusciti. Si potrebbero spiegare le ragioni di questa attrazione con la fascinazione che il tema Genio e follia - così nel 1922 Jaspers intitolò un suo celebre saggio - esercita da tempo immemorabile. La stessa Jane Campion, del resto, ha dichiarato di essersi accostata a Janet Frame e di aver concepito l'idea di un film sulla scrittrice famosa per aver trascorso otto anni in un ospedale psichiatrico e per aver subito più di duecento elettroshock, perché leggeva da bambina le sue opere ed era rimasta colpita dai passaggi poetici «che erano molto tristi ed evocavano il mondo della follia».
Quando, tuttavia, ha realizzato il suo film, la Campion si è limitata a raccontare la storia quotidiana di una donna dalla prima infanzia alla piena maturità, tenendosi ben lontana dal binomio genio-follia, arte-sregolatezza.
Di che cosa parla, infatti, Un angelo alla mia tavola?
Si potrebbe dire che parla di schizo-frenia, ma solo nel senso originario del termine su cui pure ha richiamato l'attenzione Jaspers: la mente scissa in due mondi, in questo caso il mondo della vita e quello dell'arte e dell'espressione.
Il mondo della vita è descritto in queste pagine nei suoi capitoli salienti: l'infanzia trascorsa a Dunedin, in Nuova Zelanda, nella povertà degli anni della Depressione; il trasferimento al sud, al seguito del padre ferroviere; i primi colpi che lasciano il segno: l'obesità infantile, la sgraziata adolescenza, la fatalità della morte con la prematura scomparsa della sorella Myrtle, l'orrore dell'ospedale psichiatrico; e poi la fuga, il tentativo di suicidio, il ritorno alla casa paterna.
Il mondo dell'arte e dell'espressione vive nella compagnia dei poeti - Shakespeare, Shelley, Keats, Dylan Thomas, T.S. Eliot, Auden - che come un teatro dell'immaginario subentra spesso alla triste scena del mondo reale e restituisce la felicità perduta.
Vive, infine, nella prosa stessa di Janet Frame, nella sua mobilità nervosa, nella imprevedibilità delle immagini e dello stile che ne fa una delle più grandi scrittrici del Novecento.
Con la presente edizione, che offre una traduzione aggiornata e rivista, l'opera appare per la prima volta nella Biblioteca Neri Pozza.
«Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo»: è il celebre incipit dell'Anna Karenina di Tolstoj. Nella loro bella casa di Ann Arbor, in Michigan, dove un tempo erano una coppia felice di respirare ogni giorno «la stessa aria domestica», Frank e Ellie Benton sembrano perfettamente confermare la verità racchiusa in queste parole.
Dopo la morte di Benny, il loro bambino stroncato da una malattia improvvisa, ciascuno di loro ha coltivato l'infelicità a modo suo. Ellie si è ostinatamente rifugiata nel suo lavoro di psicoterapeuta; Frank, del tutto incapace di colmare l'assenza del figlio, ha via via nutrito un sentimento di aperta ostilità nei confronti di Ellie, come se la moglie fosse in qualche modo responsabile della sciagura abbattutasi sulla loro vita.
La memoria di quel che resta del tempo gioioso trascorso con Benny, i libri di Harry Potter, le foto di scuola, rappresentano una frattura insanabile, oltre che un ricordo straziante. La stessa Ann Arbor sembra un vuoto scenario, dove è impossibile strappare un motivo per alzarsi la mattina.
Accade così che Ellie decida un giorno di infrangere la regola che da sempre ripete ai suoi pazienti: non prendere nessuna decisione importante dopo un evento traumatico. Convince Frank ad accettare la proposta di andare a dirigere uno stabilimento a Girbaug, un villaggio sperduto nell'India rurale.
Sotto un cielo nuovo potrebbero forse ritrovarsi.
E una volta laggiù, in effetti, la solitudine personale sembra lenita dalla solitudine stessa del mondo. Tra incantatori di serpenti, mucche sacre e bisogni e abitudini semplici, Ellie ritorna alla vita. Presta assistenza volontaria in una clinica locale, dove riesce a instaurare autentici rapporti d'amicizia e ad aprirsi a sconosciuti e affascinanti saperi.
Lo stesso Frank si scopre capace di allontanare in qualche modo da sé il dolore quando fa il suo ingresso nella loro casa Ramesh, il figlio dei domestici. Su di lui riversa generosità e aspirazioni che al bambino sembrano essere sempre mancate.
Ma anche dove governa l'esistenza semplice, «con umanissimi e insopprimibili bisogni, desideri e aspirazioni», anche là si mostra la faccia oscura della vita.
Romanzo che esplora la fatica tutta umana di guarire dal dolore, e offre un ritratto vibrante dell'India e delle sue trasformazioni, Il prezzo del paradiso è una splendida conferma del talento di Thrity Umrigar, una scrittrice capace come poche di mostrarci gli odierni conflitti del cuore e della mente.
Pechino, estate 1983. Ma Jian, pittore e poeta sulla soglia dei trent'anni, lavora come fotografo presso il Dipartimento di propaganda della Federazione dei sindacati cinesi. Da poco gli hanno assegnato una casa che è diventata il suo prezioso rifugio, lo spazio franco dove poter scrivere, dipingere e incontrare amici, artisti e intellettuali liberi e scanzonati. La sua vita, tuttavia, è giunta in realtà a un punto di non ritorno. Separato dalla moglie, ballerina del corpo di ballo del Dipartimento, e padre di una bambina, Ma Jian ha visto spegnersi nel tradimento la storia con Xi Pong, la sua seconda compagna, e accrescersi invece di giorno in giorno la stupida arroganza della burocrazia del Dipartimento, che non ha mai smesso di prenderlo di mira chiedendogli pubbliche e insensate autocritiche. Dopo essere stato rilasciato dall'Ufficio di pubblica sicurezza, Ma Jian decide allora di dare una svolta radicale alla sua esistenza: abbandona il lavoro, mette insieme un cambio di vestiti, un quaderno, un rotolo di buoni per il riso, una copia di Foglie d'erba di Walt Whitman, e sale su un treno a vapore diretto a Urumqi, la regione più occidentale della Cina. Seduto nel suo scompartimento, col cuore che galoppa all'unisono col treno e in testa un unico pensiero - lasciarsi alle spalle il passato e andare il più lontano possibile, alla ricerca di sé e di un qualche senso del mondo - Ma Jian dà inizio alla sua straordinaria avventura: tre lunghi anni trascorsi sulle strade della Cina, nei grandi deserti dove la luce abbacinante e il calore cancellano i contorni del paesaggio e del corpo; sulle sponde dei laghi e degli immensi fiumi dove si avventurano i cercatori d'oro, e i pescatori di notte se ne stanno a parlare e a bere insieme attorno a un fuoco; sulle montagne sacre ai confini col Tibet, dove l'aria è così rarefatta che la voce scompare insieme con la lucidità dei pensieri, e dove le donne hanno guance e bluse intensamente rosse; sui grandi pascoli solcati da immensi greggi e mandrie; nei templi, nelle città, nei villaggi delle più svariate ed esotiche etnie del mondo.
Lisbeth Salander è sopravvissuta al fuoco, ma è ancora lontana dall’avere risolto i suoi problemi. Persone potenti cercano di ridurla al silenzio per sempre. Intanto, Mikael Blomkvist è riuscito ad avvicinarsi alla verità sul suo terribile passato ed è deciso a pubblicare un articolo di denuncia che farà tremare il governo, i servizi di sicurezza e l’intero paese.
«Ho letto la trilogia di Stieg Larsson con la stessa febbrile eccitazione con la quale da bambino e adolescente lessi Dumas, Dickens e Victor Hugo e chiedendomi a ogni pagina “E ora, che succederà?”» Mario Vargas Llosa, el pais
Artur Aiguader è uno degli antiquari piú famosi e quotati di Barcellona. È sempre stato abituato a maneggiare oggetti preziosi e libri di grande valore, ma il manoscritto in cui si è imbattuto è molto di piú. Perché nasconde la chiave per recuperare un oggetto unico al mondo: una gemma dotata di straordinari poteri, che la Cabala ebraica chiama la Pietra di Dio...
L'antiquario ci trasporta in una città che respira storia e sangue in ogni sua pietra. E ci avvince con una ricostruzione storica documentata e rigorosa, con il fascino e l'ambiguità del mondo dei mercanti d'arte, con il sapore antico dei grandi romanzi d'appendice.
Quando l'antiquario Artur Aiguader intuisce che il prezioso manoscritto da lui scoperto potrebbe fare gola a molti, si sente minacciato. Riesce a nasconderlo e a scrivere al figlio adottivo, Enrique, un romanziere affermato, rivelandogli dove trovare il manoscritto.
Subito dopo, viene ucciso da qualcuno che conosce bene, ma del quale non viene svelata l'identità. Enrique arriva a Barcellona e recupera il manoscritto: con l'aiuto della ex moglie e di un abilissimo filologo, comincia a decifrarlo. Ma la sua è un'autentica corsa contro il tempo: l'assassino dell'antiquario è rimasto nell'ombra ed è pronto a uccidere di nuovo, per proteggere il segreto della pietra o per impossessarsene.
Olanda del Nord, 1610. Un uomo fugge lungo la diga di un lago artificiale, nei pressi di Amsterdam, nel tentativo di mettersi in salvo. Alle calcagna, quello che sarà il suo assassino. 2008. Tim Paltzer, dipendente della società che gestisce le risorse idriche del paese, scompare, dopo aver telefonato alla fidanzata per chiederle di distruggere tutti i file presenti sul suo computer. Pochi giorni dopo, il corpo senza vita dell’ingegnere Berend Adriaans, direttore della società, viene rinvenuto, decapitato, nei pressi di una diga. Il caso vuole che proprio lì, qualche mese prima, fosse stato ritrovato un teschio risalente al XVII secolo. Coincidenza o pista da seguire? Due detective indagano sull’omicidio Adriaans e sull’eventuale connessione con l’antico teschio. La tesi sembrerebbe assurda, eppure tutti gli indizi portano proprio a un delitto avvenuto nel Seicento e a un misterioso patto stretto all’epoca tra alcuni ricchi mercanti per assicurarsi il controllo della maggiore risorsa del paese: l’acqua. A distanza di quattrocento anni, la storia sembra ripetersi e l’Ordine dei 15 – la loggia massonica sorta da quell’oscuro patto – è ancora disposta a tutto pur di non perdere il potere.
In breve
Elia, torna nel suo paese arroccato in cima alla montagna libanese per indagare sui motivi che lo hanno costretto, vent’anni prima, a partire per gli Stati Uniti... Una profonda indagine sulle cause e sugli effetti di ogni scontro fratricida. Una riflessione sulle fragilità delle ideologie, sulla caducità delle arroganze, sulle infinite varianti della resistenza degli umili.
Il libro
“San Michele è stato colpito all’ala da un proiettile calibro 14, san Giuseppe a un occhio. Un’altra pallottola è entrata nel breviario di padre Antonios, era un libro grosso e lui lo aveva in mano. Il pastorale del vescovo è caduto a terra, glielo abbiamo restituito soltanto due giorni dopo, quando il suo diacono è venuto a cercarlo. A quelli che le dicono che è stato colpito anche il tabernacolo, lei risponda che stanno mentendo, io l’ho visto coi miei occhi. Il confessionale sì, è vero, è stato crivellato di colpi. Dicono che, dentro, si fosse nascosto uno che sparava in tutte le direzioni…”
Pioggia di giugno non è soltanto la storia di un uomo, Elia, che, ai nostri giorni, torna nel suo paese arroccato in cima alla montagna libanese per indagare sui motivi che lo hanno costretto, vent’anni prima, a partire per gli Stati Uniti. Né soltanto la storia di sua madre, Kamleh, che in quel paesello ha consumato tutta la propria vita. Non è nemmeno soltanto la storia della faida tra due famiglie maronite che hanno condiviso un territorio angusto pur essendo separate da ataviche rivalità. Né soltanto la storia di un fatto di sangue avvenuto nel 1957, episodio che può considerarsi prodromo e paradigma della guerra civile che ha insanguinato il Libano dal 1975 al 1990. Pioggia di giugno è anche una profonda indagine sulle cause e sugli effetti di ogni scontro fratricida, una ferma denuncia dei danni del comunitarismo esasperato, una messa alla berlina delle velleità delle appartenenze identitarie, un’amara constatazione dell’impossibilità di rimanere neutrali.
In una carrellata, a tratti scanzonata, di individui strattonati tra la propria pochezza e qualche slancio di grandezza, Pioggia di giugno ci fa riflettere sulle fragilità delle ideologie, sulla caducità delle arroganze, sulle infinite varianti della resistenza degli umili e, per finire, anche sull’egoismo dell’amore.
Cosa può fare uno scrittore per aiutare il proprio paese a ritrovare la pace? David Grossman ha una risposta, semplice e profonda come tutte le grandi verità: scrivere, raccontare, creare storie e personaggi in grado di far entrare i lettori nella pelle di un altro, farli pensare con la testa di un altro, far loro guardare la realtà con gli occhi di un altro. Anche se l'altro è un nemico. "Quando abbiamo conosciuto l'altro dall'interno, da quel momento non possiamo più essere completamente indifferenti a lui. Ci risulterà difficile rinnegarlo del tutto. Fare come se fosse una "non persona". Non potremo più rifuggire dalla sua sofferenza, dalla sua ragione, dalla sua storia. E forse diventeremo anche più indulgenti con i suoi errori." I milioni di lettori di Grossman sanno che è possibile, per un personaggio inventato, diventare - come per miracolo - una persona vera, viva e intimamente familiare: un miracolo che solo la letteratura può compiere, e che incanta gli uomini da sempre. Ma che è anche un dono prezioso per chi vive in un paese in guerra, un dono capace di accendere una speranza e indicare una via di uscita dal tragico labirinto del conflitto tra israeliani e palestinesi. Scrivere diventa, allora, un mezzo per rendere il mondo meno estraneo e nemico, il dolore meno paralizzante e insopportabile, il linguaggio meno povero e fossilizzato dagli stereotipi dell'odio e della paura."
Quattro donne alle prese con un atlante geografico a fascicoli. Diversissime tra di loro, per carattere e vissuto, tutte e quattro sono accomunate dall'età, i fatidici e temuti quarant'anni, e le crisi esistenziali in cui sono disperatamente coinvolte. Marisa odia il proprio corpo ed è terrorizzata dall'amore; Rosa, inghiottita da una passione sfortunata, si è buttata alle spalle un matrimonio altrettanto sfortunato; Fran, ritrovatasi con il proprio compagno, sente che le manca qualcosa; Ana naviga nel mare burrascoso di una relazione con un uomo sposato. Mentre il lavoro prende forma, la ricerca di dati si fa ricerca interiore, racconto di vita. E alle pagine dei fascicoli si sostituiscono quelle di cronaca intima.
Tre destini femminili giocati fra l'Africa e l'Europa, con un esile legame tra di loro: al centro di ogni storia, la forza d'animo di una donna che riesce a sconfiggere la paura e il dubbio, l'ignoranza altrui e la propria delusione. Nella prima Norah, avvocato quarantenne che vive a Parigi, giunge a casa di suo padre a Dakar; l'uomo, un tempo tirannico ed egocentrico, si è imbozzolato in una follia silenziosa e trascorre le notti appollaiato su un albero in cortile. Tentando di penetrare nel mistero, Norah sarà assalita dai delitti e dai dolori della sua famiglia d'origine. Fanta, insegnante di francese a Dakar, deve seguire in Francia il marito Rudy. Succube di sua madre, frustrato e pieno di rabbia, l'uomo non riesce a offrire a Fanta e al figlioletto una vita soddisfacente, ma lei non si da per vinta. Khadi Demba, una giovane vedova scacciata dalla famiglia del marito, è protagonista della terza vicenda: poverissima e senza alcun sostegno, cerca di raggiungere in Francia la lontana parente Fanta; nella sua eroica esperienza di migrante, la donna sopporta ogni sorta di angheria senza perdere la propria dignità. Titolo originale: "Trois femmes puissantes" (2009). Il volume è vincitore del Premio Goncourt 2009.
Nel profondo nord della Svezia, circondati da un paesaggio di straordinaria bellezza, Wilma e Simon stanno per affrontare l'avventura che attendevano da mesi. Sono giovani e innamorati, intorno a loro la pellicola bianca del gelo si stende sul bosco intanto che si preparano a immergersi nel Vittangijärvi, alla ricerca del relitto di un aereo precipitato molto tempo prima. Ma mentre nuotano sul fondo del lago, qualcuno scioglie la sagola di sicurezza e chiude l'apertura verso la superficie, posandoci sopra una porta di legno. Non avranno scampo. Quando molti mesi dopo il corpo di Wilma viene finalmente alla luce, Rebecka Martinsson, ora procuratore a Kiruna, sa che non è stata una disgrazia. Comincia per lei una nuova indagine nella sua amata terra lappone, che oltre alle meraviglie di una natura primitiva, le offre anche l'ostilità di una popolazione dura e sospettosa. Rebecka e l'ispettrice Anna-Maria Mella intuiscono che è nel passato che vanno cercate le ragioni di un gesto tanto spietato, e sfidano il silenzio di una famiglia che da lunghi anni custodisce un segreto crudele. Con la sua caratteristica ambientazione e forza espressiva, Åsa Larsson, definita dalla critica una «cometa nell'universo del giallo scandinavo», delinea con efficacia una fatale rete di colpe, paura e tradimento, intrecciando sapientemente le vicende della storia al destino e alle scelte dei singoli individui.
Prima della discesa agli inferi della Kolyma, la sterminata distesa di paludi e ghiacci nella Siberia nordorientale dove il regime sovietico portò al massimo livello di efficienza il sistematico annientamento delle sue vittime, Šalamov aveva già avuto modo di sperimentare la durezza della repressione staliniana: arrestato nel 1929 per «propaganda e organizzazione sovversiva», fu infatti condannato a scontare tre anni di lavori forzati in uno dei primi lager sovietici, quello di Višera, nel Nord degli Urali. Al ricordo di quell'esperienza - il primo impatto di uno spirito libero e forte con la spietata realtà politica e sociale del Paese - Šalamov torna in due momenti distinti della sua vita, dopo il ritorno a Mosca da uomo libero. Nel 1961, mentre già sta lavorando ai Racconti della Kolyma, scrive i due frammenti che aprono il volume, La prigione di Butyrki (1929) e Višera: testi incompiuti, eppure fondamentali per introdurre il corpo centrale del libro - quello che nel diario egli definì L'antiromanzo Višera, scritto tra il 1970 e il 1971, ma destinato a vedere la luce solo nel 1989. In queste pagine, che si saldano indissolubilmente ai Racconti della Kolyma e che spesso ne richiamano temi e personaggi tanto da costituirne l'indispensabile preludio, prende via via forma l'epopea negativa dei lager staliniani: la storia della loro nascita, di chi li abitò e di chi li diresse, dell'incrudelirsi delle regole che li trasformarono in un perfetto meccanismo - congegnato «a immagine del mondo» - atto non solo a infliggere sofferenze estreme, ma soprattutto a stravolgere ogni norma etica, distruggendo moralmente tanto le vittime quanto i carnefici: «Che cosa mi ha dato Višera? Tre anni di disillusioni quanto agli amici e di speranze infantili infrante. Un'insolita sicurezza nella mia forza vitale ... solo, senza amici, e senza nessuno che la pensasse come me, sopravvissi a quella prova fisica e morale. Ero saldo sulle mie gambe e la vita non mi faceva paura».