Il signor M. è uno scrittore che può al massimo produrre libri non privi di meriti, come si suole dire degli autori mediocri. Ha una moglie giovane e avvenente che indossa scarpe da ginnastica bianche, magliette bianche e jeans, e al cui cospetto lui appare cosi avanti negli anni, rigido e legnoso com'è. Il signor M. probabilmente non si cura più di tanto del suo corpo, che però, con tutte le sue pieghe e le sue rughe, annuncia già il prossimo futuro in cui cesserà di esistere. Ha scritto un libro di grande successo, "Resa dei conti", l'unico suo basato su fatti realmente accaduti, ma ignora che, proprio in virtù di quell'opera, è spiato, osservato, misurato nei suoi passi, scrutato nei suoi gesti. Non sa che qualcuno gli rinfrescherà la memoria sugli eventi da lui narrati, cominciando da quel giorno di molti anni addietro in cui, al seguito di una strana moria di insegnanti, Jan Landzaat, il professore più amato di tutti al liceo Spinoza, scomparve. Viso sempre abbronzato e giovanile, Landzaat faceva ridere e arrossire le ragazze. Innanzi tutto, Laura Domènech che gli si concesse per una breve, intensa, burrascosa storia, prima di gettarsi tra le braccia del giovane Herman, suo coetaneo. Quando la ragazza l'abbandonò, Landzaat cercò di comportarsi come se nulla fosse, ma sul suo viso apparvero i chiari segni del tracollo. Il colore della pelle passò dal marrone al giallo, gli occhi si cerchiarono di rosso e certe mattine, durante la sua ora, l'odore di alcol arrivava fino alle ultime file di banchi...
Un rinomato chirurgo plastico coinvolto in un progetto segreto dell'Unione Europea viene trovato impiccato nella sua villa di Charleroi; a pochi giorni di distanza, in uno squallido locale di Stoccolma qualcuno spara a bruciapelo a un noto trafficante d'armi albanese; poco dopo, è il turno di un politico di spicco dell'Europa orientale, il cui corpo viene ritrovato bizzarramente mutilato all'isola di Capraia: un suicidio (pare), una rissa finita male (sembrerebbe), l'opera di un killer professionista (probabile), e in un breve arco di tempo tre pezzi grossi spariscono dalla scena del terrorismo internazionale. I membri del Gruppo Opcop guidati da Paul Hjelm non credono alle coincidenze. Primo corpo di polizia sovranazionale creato per contrastare una criminalità globalizzata che non conosce più frontiere, devono riannodare i mille fili di un caso che li porta a indagare i segreti delle più dannate isole-prigione del pianeta e a percorrere le vie tortuose di una ricerca scientifica che si è lasciata sedurre dall'idea del superuomo, e dalla folle presunzione di poter arrivare al segreto stesso della vita.
Il cinema è non solo presenza ricorrente nella narrativa di Roth, ma anche oggetto di splendidi feuilleton e recensioni - nell'insieme un centinaio di interventi, compresi per lo più fra il 1919 e l'inizio degli anni Trenta, di cui si offre qui una ampia e rappresentativa scelta. Appassionato di Buster Keaton, capace di liquidare il sentimentalismo di un'epoca intera, cultore di documentari e film etnologici, Roth sa essere sferzante come pochi e non risparmia perfidi strali a osannati registi, si chiamino Lang o Ejzenstejn né, ovviamente, ai più turgidi colossal: come "Messalina", contraddistinto da "una noia colossale", sicché, egli confessa, "abbiamo il nostro bel daffare a tenerci svegli. Ci sentiamo stanchi come dopo una festa di matrimonio o un banchetto funebre durati giorni e giorni". Quando visita i set, poi, è un grandioso, rutilante bestiario che si offre al suo sguardo implacabile: registi onnipotenti, operatori pedanti, comici presenzialisti, ricchi produttori, dive irresistibili e tiranniche che si scelgono ruoli cuciti sul loro corpo: senza che di quel corpo "il povero sceneggiatore abbia potuto cogliere anche un solo barlume". Ma quel che più conta è forse l'attenzione, acutissima e preveggente, rivolta sin dai primi testi alla capacità del cinema di creare simulacri: i meravigliosi prodigi dello schermo significano per Roth che la realtà, così ingannevolmente imitata, non era poi tanto difficile da imitare...
È un caldo giorno di primavera del VII secolo quando nel Borgo a oriente del Delta egiziano, dove vive una piccola comunità cristiana, arrivano i mercanti arabi. Costantinopoli è lontana e, in questa parte dell'Impero, non vi è traccia della strenua lotta di Eraclio I di Bisanzio contro Persiani e Arabi. Dai loro brulli deserti, i mercanti arrivano con le loro larghe mantelle rigate di fili luccicanti, i turbanti bianchi, gli occhi truccati con il kohl, alla ricerca di donne in un villaggio abituato a svuotarsi delle risate delle vergini. Salama, il mercante di una famiglia chiamata "nabatea", poiché discendente dai Nabatei, il popolo dell'antica Petra, è venuto a prendersi Marya, una bella ragazza bianca come il cuore del grano, con occhi limpidi e grandi, ciglia spesse del colore delle notti d'inverno. È venuto accompagnato dal fratello minore, noto ai mercanti come "lo Scriba", perché è colui che scrive i contratti commerciali, e come il "Nabateo", sebbene tutti loro siano nabatei. Coi suoi tratti fini e gentili, la veste bianca e pulita e il turbante che emana un tenue profumo, il Nabateo, così diverso da Salama che ha la testa piccola e il collo lungo, un leggero strabismo e un naso troppo grande, colpisce al cuore la giovane Marya. Al pensiero di vivere tutta la sua vita con Salama nel deserto e di lasciare sua madre e il Borgo, Marya si rattrista, tuttavia non si ribella al proprio destino...
Negli ultimi sette anni, Etgar Keret ha avuto molte ragioni per stare in pensiero. Suo figlio Lev è nato nel bel mezzo di un attentato terroristico a Tel Aviv. Suo padre si è ammalato. Tremende visioni del presidente iraniano Ahmadinejad che lancia invettive antisemite lo perseguitano. E Devora, l'implacabile venditrice di un call center, sembra determinata a seguirlo anche all'altro mondo. Con un'ironia fulminante e la sua speciale capacità di cogliere del buono dove meno te l'aspetti, Keret si muove con disinvoltura tra il personale e il politico, il faceto e il terribilmente serio, per raccontare i suoi ultimi sette anni a Tel Aviv: un condensato di vita, humour ed emozione.
Il detective privato Pepe Carvalho questa volta è alle prese con il mistero di un manager, da lui conosciuto per puro caso anni prima negli Stati Uniti, trovato morto nei dintorni di Barcellona. Nella tasca del cadavere l'assassino, in segno di sprezzo e per depistare le indagini, ha infilato un paio di slip da donna. Tanto basta alla polizia per etichettare il delitto come l'eliminazione del cliente molesto da parte del protettore di una prostituta infastidita. Ma l'arguto Carvalho, ingaggiato dalla vedova del manager perché chiarisca il caso con la massima discrezione, scopre inevitabilmente un'altra verità... ben più scomoda.
Romanzo spagnolo di autore ignoto, venne edito a Burgos nel 1554 e proibito dall'Inquisizione nel 1559. Di ambientazione popolare, ma che rivela la mano di uno scrittore colto, il Lazzarillo è la storia di un giovane accattone sempre affamato che si guadagna da vivere con mille astuzie. Scritto quasi cinquecento anni fa è ancora oggi di un'attualità sorprendente. Introduzione di Manuel Vázquez Montalbán.
Questi due saggi di Oscar Wilde sono dei veri e propri testi letterari e fanno parte della raccolta "Intentions" del 1891. "Il critico come artista" (1890) è scritto in forma di dialogo tra due amanti in una notte stellata: Gilbert (che impersona le idee di Wilde) ed Ernest discutono sul significato della critica d'arte. Il discorso si trasforma in un elogio dell'arte e dei suoi fini. L'arte e la critica, per Wilde, hanno un valore eversivo e sono in contrapposizione alla società. Da qui nasce il secondo saggio, "L'anima dell'uomo sotto il socialismo" (1891), dove si esprimono, forse in risposta al socialismo di George Bernard Shaw, le idee anarchiche di Wilde. Introduzione di Silvio Perrella.
Dotato di un soprannaturale talento per la frase a effetto, il gioco retorico e la prestidigitazione verbale, Wilde è il maestro riconosciuto dell'aforisma. In questa raccolta, che attinge sia dalla produzione prettamente aforistica sia da quella narrativa e drammatica del grande autore inglese, è racchiusa una completa panoramica del suo genio, ordinatamente disposta per tematiche in modo da facilitare la consultazione. "Spesso penso che Dio, nel creare l'uomo, abbia in qualche modo sopravvalutato la Sua capacità": difficile, pensando a Oscar Wilde, essere d'accordo con lui.
Un musicista che riscopre nel figlio tutte le ombre di un'infanzia che voleva dimenticare; la presenza schiacciante di una madre anziana e capricciosa; l'estate di una ragazza che non conosce l'amore, ma che - scoprendo il tradimento del padre - si accorge di aver già perso qualcosa; un uccello del paradiso che tenta una fuga impossibile e ostinata dalla cupola di vetro di un centro commerciale: nei quattro lunghi racconti di questo libro c'è tutto il talento di Barba, la sua scrittura precisa e sottile, fatta di scorci quotidiani e imprevisti repentini, di rivelazioni capaci di illuminare all'improvviso il volto sconosciuto delle cose più familiari. Sono tutti racconti che parlano di genitori e figli. E sono tutti, in modi sempre diversi, racconti crudeli: perché sembra inevitabile e crudele la distribuzione dei ruoli nella specie, tra chi nasce carnivoro e chi per forza deve essere preda, tra chi sembra senza rimorsi e chi deve accettare la propria inferiorità. Eppure, in questi racconti come nella vita, a un certo punto "smette di piovere". Smette di piovere e si alleggeriscono i pesi che premono sulle vite delle persone, quando uno scatto di consapevolezza regala la possibilità di guardare il mondo in maniera diversa. Smette di piovere all'improvviso, quando senza fatica si abbandona un dolore, quando ci si può voltare e riprendere a camminare per andare da qualche parte invece di muoversi soltanto per allontanarsi.
Negato come rapinatore di banche perché incasina le fughe. Negato come pappone perché si affeziona alle prostitute. Negato come pusher o esattore di crediti perché non sa tenere i conti. Nel giro della mala, l'unica cosa che Olav è capace di fare è il liquidatore, il killer. Ma quando Daniel Hoffmann, il boss della droga di Oslo, gli ordina di uccidere sua moglie perché lo tradisce, persino lui capisce di essere finito in un mare di guai. Se poi, anziché uccidere la donna, Olav se ne innamora, è chiaro che il mare è destinato a diventare un oceano. Ormai braccato, gli resta una sola speranza: liquidare Hoffmann prima che Hoffmann liquidi lui, magari chiedendo aiuto al suo peggior nemico. Auguri.
Don Miguel Mañara, ricco nobile spagnolo, ha tutte le donne che vuole, ma è insoddisfatto. Nell’incontro con una giovane donna scopre che cosa il suo cuore desidera davvero, la sposa e inizia per lui una nuova vita. Ma poco dopo lei, Girolama, muore, e l’esperienza del dolore costringe Miguel ad andare fino in fondo al suo desiderio. Diventerà frate, e morirà in odore di santità. Come tutte le opere di Franco Nembrini, anche la lettura del Miguel Mañara di Milosz nasce da una lunga frequentazione, che inizia quasi quarant’anni fa, quando Franco usa questo testo per le sue lezioni di religione, e prosegue fino a oggi. Come tutte le sue letture, non è un’analisi estetica o accademica, ma un’introduzione appassionata, tesa a mostrare come le vicende di don Miguel mettano in scena il dramma umano di ciascuno. La presente pubblicazione nasce da un ciclo di incontri svoltisi nella primavera del 2014 presso il centro culturale Rosetum di Milano.