Grandi virtù e grandi vizi: questo l'elemento che accomuna le Vite di Demetrio Poliorcete e Marco Antonio. Due personaggi che Plutarco pone non come modelli da imitare, ma da cui guardarsi, poiché se le virtù furono alla base della loro grandezza, i vizi ne causarono la rovina. Demetrio Poliorcete, figlio di uno dei più valenti generali di Alessandro Magno, fu uno dei più energici sovrani ellenistici ma, sconfitto e catturato dai Seleucidi, visse i suoi ultimi anni nei vergognosi stravizi di una prigionia dorata. Marco Antonio, braccio destro di Giulio Cesare in Gallia, fu uno dei più potenti uomini di Roma fin quando, trasferitosi in Egitto, si lasciò irretire da Cleopatra e combatté una disastrosa guerra civile contro Ottaviano. Le introduzioni di Osvalda Andrei e di Rita Scuderi analizzano le figure di Demetrio e Antonio nel contesto del loro tempo e nell'interpretazione che ne dà Plutarco.
"Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell'intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere" (Italo Calvino). "Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell'aria, tra il fantastico e il possibile: mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla "compassione" verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. Così accade nel romanzo: Tomás ama Tereza, Tereza ama Tomás: Franz ama Sabina, Sabina (almeno per qualche mese) ama Franz; quasi come nelle Affinità elettive si forma il perfetto quadrato delle affinità amorose". (Pietro Citati).