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La seconda raccolta montaliana, pubblicata nel 1939, contiene versi celeberrimi, tra cui la bellissima Casa dei doganieri: liriche che hanno lasciato un'impronta indelebile nella storia della nostra letteratura più recente. Curato da Tiziana De Rogatis, il volume, accolto nella rinnovata collana dello Specchio, è accompagnato da ricchi apparati critici, contenenti - oltre al commento di ciascun testo - una biobibliografia montaliana, un'introduzione all'opera, un saggio di Vittorio Sereni e uno del critico Luigi Blasucci.
Uscite nel 1971, le liriche di Satura rivoluzionarono lo stile e la concezione della poesia stessa di Montale. Il poeta si ispira all'antico genere tipicamente latino delle "satire", per prendere di mira il malcostume, la convenzionalità, il conformismo del suo tempo con ironia e intelligenza sempre lucida e tagliente. Il volume, qui riproposto nella rinnovata collana dello Specchio, riporta il testo originale accompagnato da una ricca curatela comprendente il commento di Riccardo Castellana e saggi di Romano Luperini e Franco Fortini.
L'amore per Orazio e il desiderio di tradurlo accompagnano Guido Ceronetti sin da quando, diciottenne, si cimentava in versioni oggi «ripudiatissime». L'Orazio interruptus viene poi ripreso al principio degli anni Ottanta col progetto, mai realizzato, di una piccola edizione concepita come prima tappa di un «viaggio ascetico verso il puro non-essere, lo spogliarsi d'ogni illusione e farsi 'jivanmukta' in compagnia di Orazio». Per Ceronetti, infatti, Orazio è lontano mille miglia dal poeta sondato e scrutato dalla filologia classica: il suo stile non è fredda accademia augustea, semmai «contrazione della vita, mediante l'impegno della parola», il che esige «tutto il fuoco della passione rivolto ad un fine che la contraria» - fuoco contratto, dunque. E a lui ancor meglio che a Kavafis si attaglia quel che diceva la Yourcenar: «Siamo così abituati a vedere nella saggezza un residuo delle passioni spente, che fatichiamo a riconoscere in lei la forma più dura, più condensata dell'Ardore, la particella aurea nata dal fuoco, e non la cenere». Dopo più di trent'anni il viaggio attraverso il «deserto fiorito» di Orazio ha preso la forma di ventotto traduzioni, che bastano a metterci di fronte a qualcosa di totalmente imprevisto: malgrado la sua fama ininterrotta, del più classico dei classici ci era sinora sfuggita l'anima segreta.
Un vertice di limpida bellezza atemporale: in estrema sintesi è questo il prodigio poetico di un'opera che va oltre il mutare degli orientamenti estetici e che è stata capace di stupire ed emozionare generazioni di lettori come raramente accade, o come accade solo ai veri classici. La celebre versione dei "Lirici greci" di Salvatore Quasimodo è un duplice capolavoro, per la mirabile essenzialità poetica dei testi originali e per le virtù di chi ha saputo trasformare quei versi antichi in insuperabili esempi di purezza lirica, insieme trasparente e profondissima, nella nostra lingua. Come scrive Giuseppe Conte nella prefazione, «Quasimodo vede il suo incontro con i lirici greci come il coronamento di un suo percorso destinale: quel suo sentirsi esule ma sempre figlio di un'isola che, per paesaggi, mitologie, memorie storiche, è, tra le terre dove oggi si parla e si scrive in italiano, la più vicina alla Grecia e al suo patrimonio di poesia e di mito». Lo stesso Quasimodo, nella piena consapevolezza di un'operazione tanto ardua quanto affascinante, ci dice: «Le parole dei cantori che abitarono le isole di fronte alla mia terra ritornarono lentamente nella mia voce, come contenuti eterni». Ma un esito insieme così pieno e sapientemente leggero nella sua alta efficacia poteva solo scaturire dal talento naturale di un autore sensibilissimo, come Quasimodo, alla più chiara musica della parola e del verso, passando dal «desiderio d'amore» o dai «celesti patimenti» di Saffo al raffinato edonismo bacchico di Anacreonte, nel quadro elegantissimo di una varietà lirica impareggiabile.
In un'epoca in cui la tecnologia sembra invadere anche l'ambito delle relazioni, le tracce della scrittura ci riconsegnano una testimonianza di piena autenticità umana e spirituale. "Scritture profetiche": una collana dove la grafia dell'autore diventa scavo e ispirazione di un ascolto. L'ascolto della Parola, l'ascolto dell'Altro.
Profezia nel senso rigorosamente biblico del termine: interpretare la Paola è interpretare l'oggi. Nelle sue tensioni, nelle sue inquietudini, nelle sue attese, nelle sue speranze. Tra dolore e possibilità di gioia.
Come spiegano Clara e Vittorio Strada nella prefazione della nuova traduzione delle poesie, la caratteristica più evidente della struttura de "Il dottor Zivago" è che si compone di una parte in prosa e di una in versi. Le poesie del protagonista non sono un'appendice, bensì un complemento del racconto che li precede. Anzi, il rapporto tra le parti del romanzo può essere rovesciato: i versi finali come momento essenziale, rispetto ai quali la narrazione costituisce, a modo di introduzione, la biografia del loro autore, Jurij Zivago. O di Boris Pasternak? Le poesie del dottor Zivago diventano infatti l'estremo frutto della creatività di Pasternak, l'estremo approdo della sua visione di sé e del mondo, e sono da lui donate al suo eroe.
Grande Guerra 1915-1918. Da un piccolo paese di contadini nel padovano partono un centinaio di giovani soldati. Pochi tornano vivi. Madri, padri, fratelli e amici di questi militi al fronte chiedono notizie al cappellano militare del Primo Reggimento Granatieri di Sardegna, don Giovanni Rossi. Questa la realtà. Daniela Borgato ha avuto tra le mani questi scritti, ne ha ricostruito le storie e ha lasciato che ne fluisse vita. Le quaranta poesie qui raccolte sono quaranta storie diverse. Ogni poesia porta come sottotitolo una data: è il giorno, mese, anno in cui realmente uno dei militari del suo paese è morto.
"Nascere per caso, nascere donna, nascere povera, nascere ebrea, è troppo, in una sola vita."
Tutta la poesia di Yeats è l'esplorazione, tremebonda e splendida, della divinità, nella sua pienezza poetica, che in quanto tale non esclude buio e ombre. In lui, che sente il divino principalmente nell'uomo, e che guarda con simpatia al Rinascimento, convivono le visioni magiche dell'antico druidismo, il mondo delle fate e dei demoni delle selve dell'antica Irlanda, e un cristianesimo non dogmatico e non assoluto, anzi, lucidamente eretico, originalissimo. Con questa scelta antologica, che prende il titolo dalla famosa Navigando verso Bisanzio, il lettore correrà nelle pagine di un grande poeta visionario: dalla partenza per mare verso la sacra Bisanzio all'incanto dei cigni selvatici che scompaiono in cielo, dai misteri della Torre in cui si cela quello della vita stessa, al mondo delle "Mille e un notte" in cui Yeats ci fa sentire le voci che nel buio dettano la luce dei versi. La scelta fatta da un poeta, Roberto Mussapi, nell'insieme delle opere di un altro grandissimo poeta, William Butler Yeats.
Nel sottotitolo l'autore anticipa l'esprimersi del misticismo di Mahler attraverso il quintuplice sentimento di morte - risurrezione - dolore - amore - estasi. Nel Prologo riafferma il sentimento mahleriano della morte, della risurrezione, del dolore, dell'amore e dell'estasi, ma nel corso della sua esposizione, ulteriormente approfondendo, egli distingue l'estasi in estasi nietzschianamente lirica e in estasi contemplativa cristiana immaginata e musicalmente interpretata dallo stesso Mahler. Significativa la conclusione cui perviene l'autore: Mahler visse questa vita guardando verso l'altra Vita, l'Unsterblich Leben.
Attraverso l’analisi e il dialogo interno tra una selezione ragionata di brani poetici biblici – dalla cantica del mare tra Mosè e Miriam al canto di Debora, dalla preghiera di Anna al lamento di Davide – messi in relazione tra loro per analogia, contrasto o altri elementi, Sara Ferrari si propone di dimostrare il ruolo fondamentale della poesia nella Bibbia e restituirne il giusto valore.
Riportati in originale e in traduzione a cura dell’autrice, i brani presentati, alcuni dei quali spesso percepiti come più lontani, toccano temi che si impongono come essenziali – la celebrazione delle opere divine, la gioia e il dolore, la donna quale oggetto e soggetto di poesia, Gerusalemme come fonte di letizia e disperazione –, mostrando ai lettori tutta la loro profondità e freschezza.
Selezionate da Giovanni Giudici, le poesie di Saba qui proposte offrono l'immagine di un io poetico costantemente diviso tra situazioni temporali e conoscitive opposte ma coesistenti: il presente realistico, con i suoi elementi quotidiani, e il passato immaginato o reinventato in chiave letteraria, mitica o psicologica. È, quella di Saba, una poesia cosciente di sé, che – come afferma Giudici– «fa propri non solo i modi convenzionali dello scrivere versi, ma anche le occasioni e gli argomenti più fondamentalmente convenzionali che ci riportano ai grandi temi di nascita, amore e morte». Una poesia di classica limpidezza, "onesta", per usare la terminologia sabiana, nella quale vedere non tanto la spontanea trasposizione di dettagli biografici, quanto la realizzazione di uno dei valori poetici essenziali: la capacità di elevare a mito la realtà grazie ai filtri e alle risorse della letteratura.