La seconda raccolta montaliana, pubblicata nel 1939, contiene versi celeberrimi, tra cui la bellissima Casa dei doganieri: liriche che hanno lasciato un'impronta indelebile nella storia della nostra letteratura più recente. Curato da Tiziana De Rogatis, il volume, accolto nella rinnovata collana dello Specchio, è accompagnato da ricchi apparati critici, contenenti - oltre al commento di ciascun testo - una biobibliografia montaliana, un'introduzione all'opera, un saggio di Vittorio Sereni e uno del critico Luigi Blasucci.
Uscite nel 1971, le liriche di Satura rivoluzionarono lo stile e la concezione della poesia stessa di Montale. Il poeta si ispira all'antico genere tipicamente latino delle "satire", per prendere di mira il malcostume, la convenzionalità, il conformismo del suo tempo con ironia e intelligenza sempre lucida e tagliente. Il volume, qui riproposto nella rinnovata collana dello Specchio, riporta il testo originale accompagnato da una ricca curatela comprendente il commento di Riccardo Castellana e saggi di Romano Luperini e Franco Fortini.
Per un volume di eccezione e di gusto come il suo c'è in Italia uno scarso pubblico", scriveva Piero Gobetti a uno sconosciuto poeta ventottenne che gli aveva fatto giungere una sua raccolta di versi. Quel poeta era Eugenio Montale, e la raccolta "Ossi di seppia", che sarebbe uscita nelle edizioni Gobetti il 15 giugno 1925 segnando la strada della poesia italiana del Novecento. È una storia fatta inizialmente anche di diffidenza; quindi di crescente stima reciproca, attesa febbrile del poeta, richieste tipografiche ("abbondanza di spazi e vuoti"), silenzi dell'editore ("Caro tiranno, mi lasci senza notizie. Che è avvenuto delle bozze?") accanto a improvvise accensioni d'entusiasmo: la storia insomma - qui ricostruita nell'accurata appendice di Alessia Pedio - di un esordio luminoso nel punto d'incontro di due giovinezze tra le più alte della cultura italiana.
"Satura" è l'opera più sorprendente di Eugenio Montale. Uscita nel 1971, spiazzò i lettori dei suoi tre libri precedenti, mostrando la vitalità di un poeta che, a settantacinque anni, era diventato ormai un classico indiscusso della letteratura italiana. La rottura col passato è netta: non ci sono qui né la scabra concisione elegiaca degli "Ossi di seppia" (1925-28), né la tragicità modernista delle "Occasioni" (1939), né ancora l'espressionismo allegorico de "La Bufera e altro" (1956). C'è invece una lingua modernissima, una ricchezza di dettagli, una "satira" nel senso latino del termine che può toccare ogni argomento: dal dolore privato per la morte della moglie alla cronaca puntuale e corrosiva degli anni Sessanta. Il testo, corredato da un cappello introduttivo e da un commento a cura di Riccardo Castellana, è accompagnato da un saggio di Romano Luperini, da un profilo biografico dell'autore, da una bibliografia e da un intervento del poeta e critico Franco Fortini.
Somma voce poetica della lirica italiana - e non solo - nel Novecento, Eugenio Montale è stato anche un prosatore raffinato ed elegante. In questo volume sono raccolti i suoi scritti narrativi, quelli che egli stesso chiamava i libri di "fantasia e d'invenzione", dai quali emerge l'immagine di un Montale viaggiatore, elzevirista e ritrattista, osservatore sempre acuto e curioso della realtà che lo circondava. Le "Prose narrative" ci permettono quindi di cogliere un aspetto meno noto del grande scrittore, componendo di lui un'immagine più sfaccettata e completa e conoscendo meglio il suo mondo. Il volume contiene anche un saggio di Cesare Segre e uno scritto di Emilio Cecchi.
Una nuova sorpresa, del tutto inaspettata e dunque ancora più gradita, ci viene da Eugenio Montale: cinquantasei testi inediti composti dopo il 1963 (ma soprattutto dal 1978 al 1980) e conservati presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia, dov'erano approdati nel 2004 insieme ad altre carte e volumi del poeta, dono prezioso di Gina Tiossi. Si tratta di versi che in buona parte vanno a integrare la produzione dell'ultimo Montale, quella più decisamente diaristica ed epigrammatica, di cui possiedono lo stile e la disinvolta, accattivante arguzia. Come è scritto nell'introduzione, ci presentano un Montale "ancora dotato di un vigore inestinguibile nel seguitare a raccordare le parole alle cose, a tener dietro con distaccata saggezza e persino allegro disincanto al registro delle vicende quotidiane della cronaca e della storia, a dialogare, come è stato detto, con la fine del mondo". Versi, insomma, di una vivacissima sapienza autoironica e anticonformista, nei quali il grande poeta si interroga o sentenzia su questioni e temi di varia natura. Come la teologia e come la scienza, rispetto alla quale dimostra tutto il suo scetticismo, pari a quello che riserva a una cultura che si crede di avanzare riproducendo in realtà "le invasioni barbariche". Ma trovano spazio nei suoi versi anche presenze varie: da quelle più illustri, come Ezra Pound, o più centrali nella sua vicenda, come Clizia, fino alle più umili come un piccolo cane defunto o come i "poveri merli innocenti".
"Ritorna tra gli amici" è una silloge di ventuno poesie tratte dal "Diario Postumo". In un ideale Simposio, il Poeta riunisce i suoi amici più fedeli per celebrare post mortem, in uno con l'ultima ispiratrice dei suoi versi, il dio Eros che presiede al culto della philia e le conferisce il sigillo dell'immortalità.
A ideale coronamento del centenario montaliano, vede la luce il commento cui Dante Isella ha lavorato per vent'anni. Un testo così alto e così spesso cifrato vi è indagato in ogni suo aspetto: le varianti, la struttura, i temi, il retroterra biografico, il lessico, i rimandi interni ed esterni, le varie vicende compositive.