La libertà può essere effimera, ma non per questo meno splendente. A partire da questo assunto si sviluppa il percorso proposto da Giulio Giorello in una raccolta di saggi ispirata da tre figure imprescindibili per il concetto di libertà: Giordano Bruno, John Stuart Mill e Paul K. Feyerabend. Epoche e visioni differenti, eppure molti sono i fili conduttori che collegano questi autori, primo tra tutti la necessità di esercitare la ragione e imbracciare le armi della critica. Sulla scia della rivoluzione cosmologica tracciata da Bruno, emerge l'esigenza di giudicare criticamente gli eventi, non accettando nessuna teoria come inconfutabile ed esercitando il dissenso, come suggerisce anche l'anarchico "epistemologico" Feyerabend. Ed è proprio con Feyerabend che si realizza quel rovesciamento di prospettiva che si interroga se la scienza non sia diventata strumento di dominio e se la tecnologia non si sia trasformata nel sostegno più efficace alla burocrazia che invade le nostre esistenze mirando a una sorta di controllo totale.
Qual è il nesso tra l'epidemia del Covid-19 e il mercato mondiale? Che rapporto intrattiene il Coronavirus con il capitalismo contemporaneo? Alain Badiou interroga la situazione epidemica che stiamo vivendo in una prospettiva critico-filosofica che mette in luce le roventi contraddizioni del mondo contemporaneo. L'epidemia, al crocevia fra la natura e l'ordine sociale, rende palese il complesso intreccio tra economia e politica che agita la nostra epoca. Alle questioni sollevate da Badiou rispondono alcuni filosofi italiani con delle riflessioni sui tre "corpi" sociali che stanno gestendo l'emergenza: il corpo politico, il corpo medico e il corpo mediatico. La parola della filosofia getta luce sul sistema e sulle condizioni sociopolitiche che hanno permesso al virus di dilagare. Poiché, nonostante le apparenze, non c'è «niente di nuovo sotto il sole».
«Pensiero concretissimo, pensiero che ha illuminato l'essenza del nostro presente più di centurie di economicismo e sociologismo. Che ne ha messo in luce il radicale, compiuto nihilismo, che lo ha affrontato nelle sue origini storiche e metafisiche. Il nihilismo che ci mette costantemente in debito, abitanti una vita che non è nostra, che è destinata a dissolversi come dal nulla è venuta. Il nihilismo che non ci permette neppure di pensare alla Gioia, alla Gloria, all'Eterno. Inattualità poderosa, monumentale della grande opera di questo Maestro. Cosa è possibile comprendere del dramma dell'epoca se non si legge Heidegger contra Severino? Manca il controcanto a tutte le correnti fondamentali della filosofia o post-filosofia del Novecento, se non si comprende Severino... di Verità era affamato Severino. E questa fame ha cercato, disperatamente forse, di comunicarci lungo tutta la sua vita, con le migliaia e migliaia delle sue pagine che vivono e vivranno». (Massimo Cacciari)
Tra il 1917 e il 1919 Max Weber tenne due conferenze dal titolo Die geistige Arbeit als Beruf, che potremmo tradurre «Il lavoro dello spirito come professione». Formulazione quanto mai pregnante, perché rappresentava l'idea regolativa, il progetto e la speranza che avevano animato il mondo della grande cultura borghese tra Kant e Goethe, tra Romanticismo e Schiller, tra Fichte e Hegel, e avrebbero costituito il filo conduttore dello stesso pensiero rivoluzionario successivo, da Feuerbach a Marx. Il «lavoro dello spirito» è il lavoro creativo, autonomo, il lavoro umano considerato in tutta la sua attuosa potenza, e volgersi alla sua affermazione significa liberazione di ogni attività dalla condizione di lavoro comandato, dipendente, e cioè alienato. Ma il suo dissolversi nella forma capitalistica di produzione, nell'universale macchinismo, che fagocita quella Scienza che pure è l'autentico motore dello sviluppo, finisce col delegittimare la stessa autorità politica, che nella «promessa di liberazione» trova il proprio fondamento. La «gabbia di acciaio» è destinata dunque a imprigionare anche quel «lavoro dello spirito» che è la prassi politica? Lo spirito del capitalismo finirà col destrutturare completamente lo spazio del Politico, riducendolo alla forma del contratto? O tra Scienza e Politica sono ancora pensabili e possibili relazioni che ci affranchino dal nostro «debito» nei confronti del procedere senza mete né fini del sistema tecnicoeconomico? Sono le attuali domande che, un secolo fa, nessuno ha posto con la drammatica chiarezza di Max Weber - e con le quali, oggi, Massimo Cacciari si confronta.
Ultima opera che Ágnes Heller concluse prima della sua scomparsa, questo libro ricostruisce la storia culturale dell'Occidente negli intrecci fra produzione drammaturgica e riflessione filosofica. Sin dalla loro nascita, tragedia e filosofia sono unite da un'"affinità elettiva": la tragedia rappresenta le tensioni che caratterizzano un dato presente storico e ne introduce la sua comprensione filosofica. A sua volta la filosofia, pensando il proprio tempo (Hegel), pone nuovi concetti e scenari che faranno da materiale per successive rappresentazioni drammaturgiche, in una mutua influenza che imprime movimento all'intero sviluppo storico. Antigone, Amleto, Fedra, la Nora di Ibsen, il Galileo di Brecht condividono il palcoscenico di questo libro con l'etica aristotelica, la teoria secentesca delle passioni, l'utopia marxiana, l'esistenzialismo, la decostruzione. Solo attraverso questa profonda e originale ricomposizione è possibile porre la domanda sul futuro di filosofia e tragedia - e tentare di rispondere.
Un quadro suggestivo dell'evento epocale che ha già segnato il ventunesimo secolo. Dalla questione ecologica al governo degli esperti, dallo stato d'eccezione alla democrazia immunitaria, dal dominio della paura al contagio del complotto, dalla distanza imposta al controllo digitale: come sta già cambiando l'esistenza, quali potranno essere gli effetti politici nel futuro. Il coronavirus è un virus sovrano che aggira i muri patriottici, le boriose frontiere dei sovranisti. E rivela in tutta la sua terribile crudezza la logica immunitaria che esclude i più deboli. La disparità tra protetti e indifesi, che sfida ogni idea di giustizia, non è mai stata così sfrontata. Il virus ha messo allo scoperto la spietatezza del capitalismo e mostra l'impossibilità di salvarsi, se non con l'aiuto reciproco, costringendo a pensare un nuovo modo di coabitare.
Mai come in questo momento, connotato da una minaccia sempre più pressante e diffusa, la richiesta di immunizzazione sembra caratterizzare tutti gli aspetti della nostra esistenza. Quanto più si sente esposta al rischio di infiltrazione e di contagio da parte di elementi estranei, tanto più la vita dell'individuo e della società si chiude all'interno dei propri confini protettivi. Tuttavia, questa opzione immunitaria ha un prezzo assai alto: come il corpo individuale, anche quello collettivo può essere «vaccinato» dal male che lo insidia soltanto attraverso la sua immissione preventiva e controllata. Ciò vuol dire che, per sfuggire alla presa della morte, la vita è costretta a incorporarne il principio. A sacrificare la «forma» del vivente alla sua semplice sopravvivenza biologica. Ormai questo meccanismo dialettico tra conservazione e negazione della vita sembra pervenuto a un punto limite: al di là del quale si apre la drammatica alternativa tra un esito autodistruttivo e una possibilità ancora inedita che ha al centro un nuovo pensiero della comunità.
La nostra è una società libera? Le dittature che hanno caratterizzato così duramente il secolo scorso sono davvero e per sempre scomparse?Per rispondere a queste domande Onfray si basa sull'analisi di due straordinarie opere di George Orwell: "1984" e "La fattoria degli animali", testi capitali per comprendere i maggiori totalitarismi del Novecento, lo stalinismo e il nazionalsocialismo. Ma l'intento di Onfray è di utilizzarli come strumenti per l'interpretazione dell'oggi: a partire da essi, l'autore descrive sette «fasi» o «comandamenti» necessari e sufficienti a far sì che il pericolo di una dittatura si realizzi concretamente: distruggere la libertà; impoverire la lingua; abolire la verità; sopprimere la storia; negare la natura; propagare l'odio; aspirare all'Impero. Ciascun comandamento viene poi analizzato in dettaglio nelle sue implicazioni, che l'autore definisce «principi», trentatré in tutto; a titolo di esempio, Praticare una lingua nuova, Usare un linguaggio a doppia valenza, Distruggere parole, Piegare la lingua all'oralità, Parlare una lingua unica, Eliminare i classici sono i principi del «comandamento» Impoverire la lingua. Attraverso un'argomentazione lucida, mai pessimista ma brillante, Onfray dipinge il ritratto di un'epoca, la nostra, che sembra aver smarrito ogni saldo riferimento e procede senza apparenti ostacoli verso la dittatura prossima ventura.
Come molte delle opere di Sloterdijk, "Il quinto 'Vangelo' di Nietzsche" ha fatto discutere per la sua tesi centrale, forte e quanto mai attuale. È il saggio in cui il filosofo fa i conti con Nietzsche, misurando la potenza della rivoluzione innescata da "Così parlò Zarathustra" nella filosofia e nella cultura europea. Lo "Zarathustra" è per noi il "quinto Vangelo". Il suo linguaggio marca in modo definitivo il passaggio a una nuova umanità. L'opera di Nietzsche fa deflagrare l'ultima sfera delle certezze dell'uomo moderno, proiettandolo in una nuova dimensione. In questo libro di rara bellezza, Sloterdijk mette al centro due domande abissali. La rivoluzione di Nietzsche riesce davvero a liberare l'uomo, a proiettarlo in una dimensione di apertura alla vita? E ancora, con pungente semplicità: Nietzsche è stato un uomo felice? Nelle risposte, l'emozionante confronto tra due personalità di statura enorme, ma diversa. Quella sempre politica di Sloterdijk e quella di Nietzsche, calata nell'individualità del genio. Postfazione di Gianluca Bonaiuti.
Il 6 aprile 1967 Theodor Adorno tenne una conferenza all'Università di Vienna il cui valore va ben oltre l'aspetto puramente storico e che può aiutarci a comprendere il tempo che stiamo vivendo. Risalendo alle origini del consenso ottenuto dai movimenti radicali di destra, il filosofo intendeva chiarire le ragioni dell'ascesa dell'NPD, formazione di destra che all'epoca stava registrando un certo successo nella Repubblica Federale Tedesca. Adorno mette in luce e collega tra loro in modo inedito vari elementi: il congegno sofisticato della propaganda e l'antisemitismo, il connubio tra perfezione tecnologica e un «sistema folle», l'individuazione di un capro espiatorio e l'odio ostentato verso gli intellettuali di sinistra e la cultura in generale, la tendenza del capitale alla concentrazione e la paura diffusa di perdere il proprio status sociale. Oggi lo «spettro» a cui la conferenza è dedicata non solo non si è dissolto, ma assume nuove e inquietanti sembianze. Diventa dunque ancora più importante prendere coscienza dei meccanismi dell'agitazione fascista e dei fondamenti psicologici e sociali su cui poggia. Nella consapevolezza che «se si vogliono affrontare sul serio queste cose, bisogna richiamare in modo perentorio gli interessi di coloro ai quali la propaganda si rivolge. Ciò vale soprattutto per i giovani che devono essere messi in guardia». La postfazione dello storico Volker Veiss contestualizza il testo e lo inquadra in una prospettiva attuale.
È possibile leggere i sogni con le categorie dell'estetica? Questa la novità contenuta in "La filosofia del sogno", uno degli ultimi lavori inediti di Ágnes Heller, recentemente scomparsa, pubblicato in lingua italian n anteprima mondiale. Con la nascita della psicanalisi, l'interpretazione dei sogni si è affrancata dal dominio delle pratiche esoteriche per convertirsi in esercizio analitico. Quale sintomo del malessere o benessere di una coscienza privata, tuttavia, le realtà del mondo sognato sono rimaste escluse dalla comprensione scientifica moderna, che da Cartesio in poi ha separato in modo definitivo razionalità e immaginazione, spaccando il pensiero in due. Alla maniera dell'arte, dell'intuizione mistica, della poesia o della scoperta, i sogni - suggerisce l'autrice - dicono verità che si sottraggono al principio di verificazione. Attraverso la lettura di episodi biblici, dei drammi di Shakespeare, dei protocolli dei sogni di artisti e filosofi contemporanei, Ágnes Heller inaugura un nuovo discorso sul sogno e ricongiunge la tradizione religiosa e letteraria con l'odierna fenomenologia, con l'ermeneutica e la filosofia dell'esistenza.
Questo saggio è il manifesto di un gigantesco progetto transdisciplinare di filosofia e antropologia della complessità. Edgar Morin sostiene che bisogna porre fine alla riduzione dell'uomo a homo faber e homo sapiens. Homo, che apporta al mondo magia, mito, delirio, è dotato nello stesso tempo di ragione e sragione: è sapiens-demens. Rifiutando una concezione ristretta e chiusa della vita (biologismo), una concezione insulare e sopra-naturale dell'uomo (antropologismo), una concezione che ignora la vita e l'individuo (sociologismo), Edgar Morin delinea una concezione complessa dell'uomo come a un tempo specie, società e individuo. È una visione radicalmente ecologica della nostra condizione terrestre, che raccoglie la sfida di inventare una nuova immagine dell'umano, nell'avventura spaesante dell'era planetaria.