L'esilio è l'evento fondamentale che ha segnato la biografia della filosofa spagnola Maria Zambrano. Nella stretta connessione tra pensare e vivere, esso diviene anche il concetto fondamentale della sua riflessione filosofica, la traccia su cui prende forma un pensiero delirante, capace di svegliarsi e di incontrare la vita con tutto ciò che non entra nella coscienza desta. Pensare l'esilio pone in stato di crisi la razionalità dialettica occidentale: il "carcere del concetto" lascia il posto al linguaggio della nascita. Si apre alla generatività che "concepisce" e mette al mondo il mondo, accogliendo tutto ciò che nasce semplicemente perchè è nato.
"È che siamo stati educati dal benedetto neodarwinismo che tanti meriti ha (assieme a qualche demerito) a pensarci al ribasso. La nostra galassia? Periferica. La nostra stella, il sole? Anonima. Il nostro pianeta? Piccolo. Il genere Homo? Un ramoscello tra i tanti del cespuglio della vita. La nostra specie, Sapiens? Una fogliolina tra le tante di quel ramoscello di quel cespuglio. Sapiens? Un vivente la cui mente non è che una variazione della mente degli animali. E via e via sempre sminuendo, cosicché si è portati a chiederci come sia possibile che questo modello per così dire di acclarata mediocrità possa risultare ineguagliato nell'universo mondo. Poi succede che passa il tempo, i decenni, che sempre più mostruosi telescopi scrutano lo spazio in ogni anfratto, che le missioni di sonde su questo e quel pianeta ci sommergono di informazioni. Ma di vita, zero. Di artificiosità che provi l'esistenza di un'intelligenza che plasma la natura meglio non parlare neppure". È ancora possibile, in un contesto culturale tanto condizionato, parlare di Dio e caso, di Big Bang e creazione, di scienza e fede, della ratzingeriana "ragionevolezza di Dio" e della visione di Monod compresa tra "caso e necessità" senza essere pregiudizialmente presi a pesci in faccia perché anche a Dio, alla creazione, alla fede, alla ragionevolezza ratzingeriana concediamo una chance, una probabilità, una quotazione nelle scommesse su ciò che neppure la scienza potrà mai arrivare a sapere? Questo piccolo libro parte dalla convinzione che sia prima ancora che possibile necessario non solo concedere ma valutare quelle chance, quelle probabilità, quelle quotazioni nelle scommesse che ciascuno di noi può sempre fare o pensare di fare su Dio, la vita e il destino umano.
Il mondo universitario del XIII secolo, con le sue «libertà» e le sue «costrizioni», è il contesto in cui si è elaborata la teologia di grandi dottori della Chiesa come Alessandro di Hales, Bonaventura e Tommaso d'Aquino. Verger ci introduce a quel mondo, mostrandoci il suo costituirsi e il suo organizzarsi in istituzione, le sue tensioni interne, gli interessi e i controlli politico-religiosi che vi si manifestano, le prassi dell'insegnamento, ma anche i fattori che finirono per garantire ai teologi uno statuto sociale, mezzi concreti di esistenza e di lavoro, libertà di pensiero e di parola. Sarebbe impossibile comprendere lo sviluppo della teologia del XIII secolo se si trascurasse il nuovo quadro istituzionale dell'università, nato dalla convergenza, eccezionale nella storia, della riflessione dei maestri, dell'entusiasmo degli studenti, dell'interesse dei prìncipi e della sollecitudine della Chiesa. Apre il volume un saggio dello stesso autore dedicato alla sociologia della conoscenza teologica nel Medioevo, che ripercorre le tappe di tale appassionante evoluzione.
In questo saggio Michel Maffesoli si propone di decifrare quella che chiama "religiosità postmoderna". Un percorso le cui tappe scandiscono il ritorno del sacrale: la riabilitazione dei sensi e della ragione sensibile, l'importanza della condivisione, del mistero, dell'iniziazione - ma anche il necessario ancoraggio alla tradizione. E' così che le figure cattoliche della Trinità o della comunione dei santi rappresentano per il pensatore delle "tribù" le metafore più adatte all'immaginario contemporaneo del sacro. Un saggio profondo, che offre al lettore non un ritorno alla religione tradizionale come istituzione e dogmatismo, ma una vera e propria rinascita del cattolicesimo ed una comprensione emotiva della trascendenza.
Scritto complesso, compatto e volutamente non sistematico - all'acme della carriera accademica e dell'attività filosofica di Robert Spaemann (1927 - 2018) -, Persone. Sulla differenza tra 'qualcosa' e 'qualcuno' (1996) non è solo un capolavoro del grande pensatore tedesco, ma è innanzitutto una pietra miliare nella filosofia del Novecento sul realismo delle persone. La sua acuta riflessione sa pro-vocare e destare l'uomo di oggi alla 'grande questione' ch'egli da sempre è a se stesso, ponendolo di fronte al senso autentico del suo essere-persona che, dentro i drammi e i rinnegamenti delle persone reali e dentro le traversìe della storia è stato prima obliato dal modo d'esistere dell'uomo moderno, per poi scorrere come fiume carsico nei meandri della travagliata storia della personologia, con un concomitante imporsi, nella forma mentis oggi imperante, della 'dialettica di naturalismo e spiritualismo'. Si offre qui uno studio rigoroso e inedito della filosofia delle persone di Spaemann - miniera ricchissima tutta da scavare -, che prende sul serio la domanda esistenzialmente decisiva sull'enigma della persona, per arrischiare una comprensione della realtà personale che ognuno di noi è, lasciandoci guidare dal 'Socrate tedesco' in un avvincente percorso che raccoglie a piene mani l'eredità e le sfide della tradizione filosofica e restituisce al lettore precisi segnavìa del senso, cioè della vettorialità fondamentale tracciata nell'essere-persona e, resi memori dell'origine e della meta, del senso di marcia a ognuno di noi affidato come compito per divenire le persone uniche che già siamo e sempre più saremo.
"La scoperta dello spirito sono capitoli-saggio che vanno da Omero al periodo ellenistico e indagano come dalla naturalità indifferenziata della poesia epica si giunge attraverso la nascita della tragedia al problema di cos'è l'uomo, e come, dall'immagine-metafora, nasce il problema della scienza, e come la civiltà greca finisce con l'invenzione (Ellenisti, Virgilio) di un mondo arcadico, di arte pura: la letteratura. Indagine ricchissima di idee geniali, sorprendenti, di punti di vista illuminanti, su materia nota e vivace. Unico difetto: non è libro per il popolo. Io sono favorevole." (Cesare Pavese, giudizio editoriale sul libro di Bruno Snell, 3 settembre 1947). "Il volume che avete tra le mani non è un libro nuovo, ma un nuovo libro. È un invito a leggere o rileggere il capolavoro di Bruno Snell in modo più consapevole, nella sua versione completa, esemplata su quella definitiva tedesca. Dopo aver profondamente fecondato la cultura europea del dopoguerra, La scoperta dello spirito si è progressivamente eclissata: del resto la sua visione 'olistica' - oggi del tutto inattuale - fu concepita nella ormai remota Germania degli anni Trenta e Quaranta. Come possiamo, allora, tornare a leggerla con profitto? Si tratterà, anzitutto, di collocarla alla giusta distanza culturale, avvalendosi di una messa a fuoco mobile, come se si inforcassero delle lenti bifocali. Sarà impossibile fare un'esperienza di lettura 'vergine' o solo retrospettiva, riportando indietro le lancette della storia come in un racconto filmico: dovremo cercare perciò di tenere presenti sul nostro schermo i diversi piani culturali, facendo attenzione a non farci risucchiare - attratti dalla prosa elegante e incantatoria di Snell - in quella 'meravigliosa' Grecia dove tutto avrebbe avuto inizio e sviluppo, secondo una linea idealizzante, con sintesi storica nella famosa Aufhebung hegeliana." (Dalla prefazione di Roberto Andreotti)
Il dialogo è sempre una vera forma di comunicazione? In molti casi non succede, piuttosto, che sia un monologo a due voci nel quale si aspetta che l'altro finisca di parlare, per imporre il proprio punto di vista? In questo testo, per la prima volta tradotto in italiano, Kaplan tocca diversi temi della filosofia del dialogo - il rapporto tra mutualità e reciprocità, tra collettività e comunità, il ruolo dell'individualità - in costante confronto con pensatori come Buber e Chomsky, ed elabora la categoria di duologo per descrivere quelle situazioni in cui non si parla davvero con qualcuno, ma a qualcuno. Così l'io resta rinchiuso in se stesso, invece di essere proteso verso l'altro: la chiave per recuperare una comunicazione autentica, infatti, sta nel riconoscere la propria incompiutezza, che viene completata nell'incontro con l'altro, e nell'apertura all'ascolto, che permette di essere pienamente umani.
Il quarto volume della raccolta delle opere del Prof. M. Malaguti è una riflessione intorno al termine spirito. Chi nasce dallo spirito è aperto alla libertà dell’intelligenza, alle trasparenze dell’analogia, ed è chiamato alla responsabilità dell’agire storico. Da questa visione deriva un nuovo modo di cogliere il significato del divenire storico, così da prospettare la possibilità di un singolare umanesimo, riflesso di quel Fiat lux che elegge e custodisce, nell’eterno «ora», la ratio di ogni esistenza.
Il volume Momenti dello Spirito I contiene una raccolta di «impressioni esistenziali» dell’Autore, la cui scrittura è stata sollecitata da diversi eventi e circostanze della vita. Esse abbracciano l’arco di una trentina d’anni e possono essere considerate – a detta dello stesso Fabro – quasi un «protrettico cristiano per l’uomo contemporaneo». Il volume segue una divisione tematica ed è articolato in tre parti che hanno per titolo: Le parole e le cose, L’avventura della libertà e Profili. I temi trattati, nonostante si muovano sempre su uno sfondo prevalentemente esistenziale, lasciano emergere tuttavia, a tratti, lo spirito del filosofo, volto a trascendere la situazione e gli eventi particolari nella ricerca dei principi e delle cause più profonde.
Nel 1941 Karl Löwith è costretto a lasciare il Giappone per gli Stati Uniti dove arriva anche grazie all'aiuto del teologo e filosofo politico Reinhold Niebuhr, uno dei maggiori protagonisti del panorama intellettuale americano del '900. È proprio in quegli anni, a contatto con la cultura e il cristianesimo americani che Löwith pubblica Significato e fine della storia. Il volume, edito nel 1949 in inglese con il titolo Meaning in History, uscì contemporaneamente ad un'opera di contenuto analogo di Niebuhr, Faith and History. Il tema di ambedue è il senso della storia e il significato della secolarizzazione moderna. Entrambi riflettevano sul rilievo o meno del cristianesimo nel mondo post-bellico. Due culture, quella americana e quella tedesca, si misuravano e gli autori, che si conoscevano personalmente, recensirono l'opera l'uno dell'altro. Il volume ricostruisce il dibattito tra di loro, interessante per contestualizzare anche il periodo "americano" di Löwith e pubblica, nell'appendice, il breve epistolario e i testi che segnano il loro confronto.
Oggi è utile una riflessione significativa sul tema della coscienza con la quale gli esseri umani vivono? Crediamo di si. Esaminare, per notazioni sintetiche e riferimenti testuali, che cosa la Bibbia e la flosofia euro-occidentale dicano sul fondamento trascendentale della coscienza etica e sulle modalità per vivere oggi in modo consapevole: questo e l'obiettivo fondamentale di questo volume a due voci. Esso intende contribuire a valorizzare quanto le epoche precedenti hanno donato alla nostra, a cominciare dall'antichità euro-mediterranea e medio-orientale, in termini educativi e formativi. Queste pagine desiderano delineare una vita umanamente consapevole e sensatamente felice, al di fuori di fondamentalismi e settarismi culturali e religiosi di ogni genere.
Il dialogo (e se possibile anche la collaborazione) tra fede e scienza non è mai stato scontato: i due mondi si sono spesso pensati come alternativi, se non come irriducibili avversari. Questo saggio ripercorre la storia e i modelli del loro rapporto, ma lo fa soprattutto per portarci a riflettere sul presente: nell'epoca delle fake news, anche sulle certezze scientifiche più evidenti, le posizioni della Chiesa e dei credenti devono risultare di aperto sostegno alla ricerca scientifica rivolta al benessere dell'umanità. Probabilmente, spiega l'autore, abbiamo finalmente imboccato la giusta rotta e possiamo trattare in modo costruttivo di scienza ed etica, di libertà e responsabilità della ricerca, di una Chiesa schierata addirittura a difesa della scienza. Si annuncia l'era del comune impegno a favore dell'integralità umana: possiamo avere fiducia, se vogliamo (e abbiamo molte ragioni per farlo), sul fatto che fede e scienza si pongono come due forme complementari del progresso umano.