
L'Indice Concettuale del Medio Giudaismo fornisce una nuova forma di repertorio che permette di accedere ai testi di un'epoca cruciale (300 a.C.-200 d.C.) per la storia del giudaismo e del cristianesimo. Dopo Famiglia, Sessualità e Messianismo, in questo 4° fascicolo è analizzato il sovralemma Eschata, che si articola nei lemmi "destino dell'individuo", "giudizio", "mondo a venire", "luoghi metastorici".
Nel giugno del 1242, a Parigi, davanti a una folla urlante e a frati raccolti in preghiera, migliaia di pergamene inchiostrate recanti lettere ebraiche arsero sulle pire scoppiettanti diffondendo lungo le rive della Senna un dolciastro fetore animale. Sui roghi, innalzati per volontà di re Luigi IX il Santo, avvampavano le copie del Talmud. La parola di Dio, proprio come i corpi viventi che cadevano tra le braccia dell'Inquisizione, bruciava nelle fiamme. Iniziava così, per il Popolo del Libro, un'altra pagina della sua storia millenaria di sofferenze e persecuzioni. Eppure, come ci ricorda Simon Schama, docente alla Columbia University, questa storia non si consumò solo nel lutto e nelle fughe improvvise, nelle costanti minacce di annientamento e nell'oppressione. Quella del popolo ebraico è soprattutto una storia di resistenza, di creatività, di gioia. Una continua, e a tratti disperata, affermazione della vita sulle avversità più spaventose. In queste pagine si dipana quindi una straordinaria epopea, fatta di gente comune e di poeti, di autori biblici e medici illustri, di miniaturisti e mercanti, di cartografi e filosofi. Un caleidoscopio di microstorie in cui si accendono candele, si intonano canti, si affrontano viaggi perigliosi in terre incognite alla ricerca di spezie e pietre preziose, si studiano, si custodiscono e si perpetuano le parole del Libro. Un racconto che abbraccia millenni e continenti...
Questo volume recupera un titolo, "Storia sacra dell'antico Israele", che si era perso nella storiografia da oltre un secolo. Perché accostarsi a questa storia? E perché sacra? Il dogma moderno afferma che Dio non può entrare nello spazio e nel tempo, e quindi non può esserci una storia di salvezza. Al contrario, quella di Israele è una storia del tutto particolare, alla cui origine vi è la vocazione di Abramo, un fatto apparentemente insignificante dal quale sorge un ordine nuovo. Il rapporto tra l'uomo e Dio fa sì che il corso degli eventi diventi storia sacra. Con una narrazione avvincente, l'autore delinea le grandi figure dell'Antico Testamento collocate nel loro contesto storico. "Tornare a quella vecchia abitudine di leggere e conoscere la storia sacra (e farla leggere ai bambini e ai giovani) non può che generare una gratitudine e stupore davanti al Signore della storia che nella pienezza dei tempi ha posto la Sua dimora tra di noi" (dalla prefazione di Ignacio Carbajosa).
Marsiglia, autunno 1940. Simone Weil scrive una lettera al ministro dell'Istruzione della Francia di Vichy, Jérôme Carcopino, in polemica con lo "Statut des Juifs", di cui mette in luce incoerenze e assurdità, e afferma con forza la propria estraneità alla tradizione ebraica. Il tono con cui rivendica questa estraneità spiega, almeno in parte, anche uno dei suoi scritti più controversi, steso durante gli ultimi mesi di vita, a Londra, mentre lavorava per "France Libre": sono pagine di commento a un testo prodotto da una delle organizzazioni della Resistenza attive nella Francia occupata dai tedeschi. In esse Simone Weil approva le proposte xenofobe e antisemite di questa organizzazione della destra politica, suggerendo di procedere certo in modo non brutale, ma con l'adozione di misure discriminatorie (per esempio impedendo agli ebrei di insegnare nelle scuole), l'imposizione di un'educazione cristiana, l'eventuale privazione della nazionalità francese. Questa estraneità personale all'ebraismo, però, si alimenta nella Weil anche di una serie di ragioni teoriche, ovvero teologiche. In alcuni scritti stesi tra Marsiglia e New York, per la prima volta riuniti in questo volume, Simone Weil ritorna ossessivamente sulla differenza radicale che, a suo dire, separa e isola Israele dagli altri popoli del Mediterraneo antico. L'unicità di Israele, ai suoi occhi, sta tutta e solo nel suo rifiuto caparbio della idea del divino che dagli egizi si diffonde in tutte le altre culture mediterranee.
Esplorare la geografia degli insediamenti ebraici in Italia significa percorrere quasi duemila anni di storia, imbattendosi in presenze ora sradicate per sempre, ora interrotte ma ripristinate dopo secoli, ora rimaste quasi immutate. Si comincia con le giudecche, i quartieri aperti dove gli ebrei si mescolavano ai cristiani, senza limitazioni, per arrivare ai ghetti, ovvero i quartieri chiusi da mura e portoni in cui gli ebrei vissero la loro separatezza fino ai tempi moderni.
"Preghiamo anche per i perfidi giudei", così recita nel venerdì santo il Missale romanum di Pio V, pubblicato nel 1570, sintetizzando l'immagine degli ebrei nella liturgia latina. Stanno qui le radici di uno stereotipo antisemita che le traduzioni in volgare dei testi liturgici introiettano nella mentalità cattolica. Ma dal tardo Settecento la cultura cattolica comincia a interrogarsi su questo "insegnamento del disprezzo" trasmesso dal culto pubblico e ufficiale della chiesa. Gli eventi culminati nella Shoah avviano poi un decisivo confronto con la storia, portando a un riesame del rapporto con gli ebrei. Lo testimoniano tormentati rifacimenti della preghiera del venerdì santo da Giovanni XXIII fino ai nostri giorni.
In questo secondo volume della sua monumentale opera di ricostruzione della presenza ebraica in Italia, Riccardo Calimani ripercorre i tre secoli cruciali che vanno dall'espulsione nel 1492 degli ebrei dalla Penisola iberica e da tutti i domini spagnoli alla Rivoluzione francese (1789) e all'Impero napoleonico, fino alla Restaurazione di inizio Ottocento. Una storia contrassegnata da una radicale redistribuzione territoriale degli insediamenti ebraici - presenti, dal Cinquecento, quasi esclusivamente nelle regioni centro-settentrionali del nostro Paese - e, dal punto di vista politico e religioso, dalla poderosa influenza dell'Inquisizione e dai rigori della Controriforma. Punto di svolta decisivo di questa fase della storia della comunità ebraica italiana è l'istituzione del ghetto romano ("il serraglio degli ebrei") sancita dalla bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum del 1555. Una scelta di segregazione, quella del ghetto, ideata a Venezia nel 1516, che si sarebbe estesa da Roma a numerose città della Penisola. E se è vero che fu applicata in modi diversi dai principi e signori locali, che agivano in funzione della loro autonomia dalla Santa Sede o per semplice convenienza di potere, a rimanere invariato fu invece il rapporto contraddittorio tra mondo cristiano e mondo ebraico, in bilico tra bisogni e interessi concreti (i banchi di prestito, le tasse e le contribuzioni forzose) e le ricorrenti pulsioni teologiche contro il "popolo maledetto"...
"Ho deciso di scrivere questo libro per presentare la Cabbala come una fonte di saggezza, che ha dimostrato la propria validità nel corso di migliaia di anni. In effetti, come guida spirituale e pratica alla vita, la Cabbala è, oggi, più attuale che mai. Questo libro racconta la vera storia della Cabbala: come è nata, come si è evoluta e come può rappresentare, oggi, una guida per tutti noi, aiutandoci a vivere in modo sereno e prospero, pur nelle incertezze del mondo di oggi. Racconta anche il viaggio personale che state per intraprendere alla scoperta del significato della vita e della nostra collocazione nell'universo. Ho raccontato la storia della Cabbala in modo chiaro e semplice, perché desidero che la lettura di questo libro sia gradevole quanto è stata la sua scrittura. Se poi 'La Cabbala rivelata' dovesse riuscire a donare sicurezza e serenità alla vostra vita e un'occhiata all'eternità, questa sarà la mia ricompensa." (Michael Laitman)
Due interventi brevi e profondi intorno al silenzio, tema cruciale sia per la riflessione religiosa che per l'analisi della società contemporanea. Una dimensione costitutiva dell'uomo sempre più messa a rischio, con la conseguenza di parole svuotate di senso in un inutile, diffuso brusio. Il biblista ed ebraista Piero Stefani parte dalla Bibbia (che in quanto racconto scritto rappresenta un primo, insuperabile ammutolirsi della parola divina) per indagare la sfida dell'apparente silenzio di Dio davanti a situazioni come Auschwitz o la storia di Giobbe. Il filosofo Silvano Zucal propone un approfondimento su questa ricchezza dell'umano a partire dalla dialettica costitutiva tra il silenzio e le parole, considerando i rischi di una parola che smarrisce senso e comunità.
La Festa di Pesach, i canti dell'Haggadà, il racconto dell'esodo, la tradizione... Interamente a colori e rivolto alle famiglie. Illustrato da disegni di bambini, oltre che da fotografie, il libro rappresenta una guida semplice e allegra per condurre qualsiasi pubblico all'interno della Pasqua ebraica, con i valori, i significati, i simboli che trasformano una cena in una esperienza indimenticabile.
Nel luglio 1555, con la bolla "Cum nimis absurdum" papa Paolo IV limitò i diritti della comunità ebraica dello Stato della Chiesa e impose l'istituzione del ghetto. Da quel momento in poi, gli ebrei a Roma avrebbero dovuto vivere in una o più strade contigue, separate dalle abitazioni dei cristiani. Questa imposizione fu accompagnata da varie clausole, quali il divieto di avere servitù cristiana, la possibilità di commercio solo di stracci e vestiti usati e l'obbligo di portare il cappello o il fazzoletto giallo per uomini e donne. Lo scopo primario del ghetto doveva essere quello di accelerare la conversione degli ebrei e la dissoluzione della loro cultura, ma - come qui mostra Kenneth Stow, uno dei massimi esperti di storia degli ebrei italiani - già prima del 1555 gli ebrei romani avevano sviluppato modelli di comportamento individuali e comunitari in grado di poterli sostenere anche nei periodi più duri. Dopo la creazione del ghetto riuscirono a rafforzare ulteriormente le proprie strategie di acculturazione e a sviluppare quindi una microcultura che ne salvaguardò l'identità attraverso i secoli. Grazie ad un sapiente gioco delle parti, gli ebrei romani misero in scena un "teatro sociale" in grado di farli sopravvivere, restando ebrei e romani, all'interno di un ambiente cristiano che le gerarchie ecclesiastiche avrebbero voluto dominante e oppressivo.
A dieci anni dalla morte del grande filosofo francese, questo volume tocca una delle questioni che più hanno occupato la sua riflessione negli ultimi anni di vita: l'eredità culturale ebraica nel rapporto con l'Occidente. Nelle tre interviste qui pubblicate, Derrida prende posizione nei grandi dibattiti del nostro tempo indagando temi specifici: la sfida della giustizia, il dovere del perdono e quello della memoria, l'ordine mondiale e le superpotenze, il confronto inquietante con l'Altro. A partire dalla circoncisione (patto di alleanza, marchio degli eletti, ma anche incisione, segno, separazione, e in quanto tale atto linguistico) Derrida riflette sull'essenza conoscitiva dell'ebraismo e sulle questioni che l'eredità culturale ebraica pone a tutto l'Occidente. Nelle pieghe di un discorso sottile ma sempre vivacemente militante, le parole-chiave della riflessione civile e morale vengono ricondotte da Derrida alla loro radice storica. Liberate dalle secche della banalità attraverso il loro potenziale di polisemia, di ambiguità e di mistero, le grandi parole d'ordine tornano qui a offrire conoscenza e risposte che stimolano a pensare fuori dai luoghi comuni.