Lo struggente racconto di un nonno ai nipotini è l'occasione per ripercorrere i giorni drammatici delle persecuzioni contro gli ebrei veneziani, in una testimonianza in cui il ricordo personale si alterna ai documenti e agli avvenimenti pubblici dell'epoca, e che restituisce non solo la storia di quegli anni, ma anche il senso di straniamento e incredulità delle vittime della Shoah. Proprio come le foglie al vento, anche le donne e gli uomini evocati nel racconto sono travolti da una forza superiore, violenta, incomprensibile, e da un orrore inimmaginabile. Molte cose, infatti, fino alla fine della Seconda guerra mondiale, non si sono sapute, e anche quello che si sapeva era troppo terribile per essere creduto, e chi ha vissuto in quegli anni ha preso coscienza di quella tragica realtà a poco a poco, tra incertezze e contraddizioni. Riccardo Calimani, uno dei massimi studiosi ed esperti di Venezia e della storia degli ebrei italiani, fonde in questo libro la dimensione privata con quella storica, e dà vita così a una memoria famigliare e nello stesso tempo a una ricostruzione rigorosa e densa degli anni più terribili del Ventesimo secolo.
Nell'Europa del diciannovesimo e ventesimo secolo, gli ebrei, combattuti fra rispetto della tradizione ed emancipazione, vissero in modo drammatico e contraddittorio il conflitto fra le proprie origini e le nuove esigenze spirituali e culturali di un continente in pieno fermento. Una condizione che nella sua ambiguità si rivelò particolarmente feconda. In questo libro, seguito di «Destini e avventure degli intellettuali ebrei», l'autore analizza l'inquietudine ebraica in Francia, Russia e Ungheria. Attraverso figure quali quelle di Émile Durkeim, Henri Bergson, ma anche Trotzskij, gli scrittori russi Il'ja Erenburg e Vasilij Grossman o l'ungherese György Lukács, una mappa della genialità e originalità ebraica nei cento anni che precedono la Shoah. Un libro che sfata i tabù, senza innalzare muri né emettere condanne. Accessibile, adatto a tutti, e soprattutto a chi del mondo ebraico sa poco e nulla e che però desidera conoscere di più una cultura, una religione e una storia fondamentale per la cultura del mondo: tra riflessioni sull'attualità e la storia e sulle strade da intraprendere per il futuro.
Calimani dedica alla sua amatissima città, Venezia, un libro che ne ricostruisce la storia, dalla fondazione alla fine della Repubblica, nel 1797. Il viaggio di Calimani parte da lontano, dalle palafitte di età preromana alle prime testimonianze altomedioevali, per raccontare lo splendore della repubblica lagunare, con le ricchezze accumulate, i tesori d'arte, il dominio incontrastato sul mar adriatico, le coste greche, fino alla odierna Turchia.
La lunga storia della comunità ebraica romana, la più numerosa e antica d'Italia, è segnata soprattutto dai rapporti con la maggioranza cristiana della Città Eterna: un'alternanza di fasi di inclusione ed esclusione, emarginazione e integrazione, con momenti di feroce discriminazione e persino sterminio. Le «leggi razziali» del 1938 e la deportazione ad Auschwitz di oltre 2000 ebrei romani ne costituiscono solo l'ultimo esempio. In questo libro Riccardo Calimani completa l'indagine sulla comunità ebraica romana, non limitandosi alle vicende otto-novecentesche già esplorate, ma andando alla ricerca delle origini, nei secoli, di quella relazione tra la minoranza giudaica e il resto della popolazione romana, spesso drammatica ma anche fertile di reciproco arricchimento culturale e spirituale. Dai consoli romani a Pio XII (a cui Riccardo Calimani dedica un'ampia e lucida analisi), passando per la nascita del cristianesimo, il lungo medioevo, le crociate, la fondazione del ghetto, i fulgori culturali del Rinascimento e l'oppressione controriformista, fino alla partecipazione degli ebrei al Risorgimento e alla Grande Guerra: è una storia avventurosa e, per molti aspetti, tormentata, ventidue secoli costellati di lotte per affermare il diritto alla propria identità e alla libertà e, in qualche caso, alla sopravvivenza. La speranza dell'autore è che questo racconto «sia fonte di ispirazione, affinché tutti i popoli, nessuno escluso, in ogni parte del mondo, sappiano trovare la via della concordia e della giustizia, e possano vivere insieme su questa terra, se non con gioia, almeno in pace fra loro».
Nonostante la civiltà e la cultura europea affondino le radici nella tradizione ebraico-cristiana, le vicende del popolo ebraico e le sue esperienze accumulate nell'arco di alcuni millenni sono poco conosciute. Attorno alla figura dell'ebreo, ancora e nonostante il tragico passato - o forse proprio a causa di esso - si aggirano i fantasmi del pregiudizio o del sospetto. Eppure il pensiero elaborato dai rabbini e dai filosofi ebrei è molto originale e fecondo; il mondo ebraico è ricco, articolato, spesso contradditorio e solo attraverso la conoscenza se ne possono cogliere gli aspetti apparentemente paradossali. «Essere ebrei - scrivono Riccardo Calimani e Giacomo Kahn - è doppiamente difficile: è difficile essere se stessi, è difficile essere accettati. È un problema stimolante che offre motivi di riflessione. Costanti e sempre nuovi».
Gli ultimi due secoli di storia della comunità ebraica romana, la più numerosa e antica d'Italia, sono caratterizzati dai profondi - e talvolta drammatici - mutamenti nelle relazioni fra la maggioranza cristiana della Città Eterna e questa piccola minoranza, che, nel volgere di convulsi decenni, ha conosciuto l'emarginazione e l'inclusione, l'integrazione e, in seguito, la discriminazione e lo sterminio. Nella prima metà dell'Ottocento, i timidi segnali di emancipazione degli ebrei visibili nelle società europee più avanzate si manifestano anche a Roma, dove per una breve stagione la repubblica si sostituisce al dominio pontificio. E solo dopo l'unità d'Italia che nella nuova capitale del regno si avverte chiaramente un'impetuosa ondata di cambiamento: gli ebrei iniziano a partecipare con grande passione alla costruzione del Paese che, in virtù del tributo di sangue da essi versato sui campi di battaglia del Risorgimento e della Grande Guerra, considerano a pieno titolo la loro patria. La Chiesa di Roma, tuttavia, sconfitta ma non rassegnata, addebitando l'oltraggio di Porta Pia a un complotto di forze anticattoliche rilancia la propaganda antigiudaica e rinnova contro gli ebrei le tradizionali accuse di deicidio e di omicidio rituale, fornendo argomenti e alibi sia ai ricorrenti episodi di violenza antigiudaica sia all'antisemitismo moderno, che condanna senza appello l'ebreo alla sua presunta identità razziale, negandogli ogni reale possibilità di assimilazione. Esito e culmine di questa martellante campagna d'odio è la pagina nera - vergognosa e incancellabile - delle cosiddette «leggi razziali», promulgate dal regime fascista nel 1938 come atto di adesione all'ideologia del Terzo Reich hitleriano, che sanciscono l'esclusione degli ebrei dal corpo vivo della società italiana. Accolte dapprima con indifferenza e senza un'esplicita protesta della Santa Sede, dopo l'8 settembre 1943 tali leggi spianano la strada alla deportazione ad Auschwitz e alla morte di oltre 2000 ebrei romani. E anche se molti italiani e una parte del clero si riscattano, creando a proprio rischio e pericolo una vasta rete di solidarietà a favore dei perseguitati in fuga, molte ombre continuano a gravare sul silenzio di Pio XII (a cui Riccardo Calimani dedica un'ampia e lucida analisi), che non condannò mai apertamente lo sterminio, pur essendone informato da diversi prelati dei Paesi in cui venne perpetrato. La segreta, ma ferma speranza dell'autore è che questo racconto «sia fonte di ispirazione, affinché tutti i popoli, nessuno escluso, in ogni parte del mondo, sappiano trovare la via della concordia e della giustizia, e possano vivere insieme su questa terra, se non con gioia, almeno in pace fra loro»
In questo secondo volume della sua monumentale opera di ricostruzione della presenza ebraica in Italia, Riccardo Calimani ripercorre i tre secoli cruciali che vanno dall'espulsione degli ebrei dalla Penisola iberica e da tutti i domini spagnoli (1492) alla Rivoluzione francese (1789) e all'Impero napoleonico, fino alla Restaurazione di inizio Ottocento. Una storia contrassegnata da una radicale redistribuzione territoriale degli insediamenti ebraici e, dal punto di vista politico e religioso, dalla poderosa influenza dell'Inquisizione e dai rigori della Controriforma. Lungo i tre secoli raccontati un gruppo esiguo di individui fu sempre al centro di eventi storici epocali, nel doppio ruolo di vittima predestinata e di attivo protagonista della vita culturale ed economica del nostro Paese, ai suoi primi passi verso la modernità. Un'avventura, quella della comunità ebraica italiana, irta di pericoli e di contraddizioni, ma che rivela una sorprendente e insopprimibile vitalità.
La storia bimillenaria delle comunità ebraiche in Italia è la straordinaria avventura, tanto tormentata quanto poco nota, di una minoranza (poche decine di migliaia di persone) che ha saputo radicarsi capillarmente in tutto il territorio del nostro paese, dalle Alpi alla Sicilia, dal Friuli alla Sardegna. E che, malgrado le umiliazioni e le vessazioni subite da parte delle autorità politiche ed ecclesiastiche locali, è riuscita a salvaguardare sempre le proprie tradizioni e la propria identità culturale senza isolarsi e rinchiudersi in se stessa, ma anzi partecipando attivamente alla vita sociale ed economica dei luoghi in cui si è insediata. Di questa singolare vicenda, che rappresenta un caso unico nel panorama europeo, Riccardo Calimani ricostruisce qui una prima ampia parte: dalla libera alleanza degli ebrei con la Roma repubblicana e dai secoli dell'esilio, dopo la distruzione di Gerusalemme (70 e.v.) voluta dall'imperatore romano Tito, sino al rimescolamento delle varie comunità ebraiche del Vecchio Continente provocato dalla loro espulsione dalla Penisola iberica alla fine del XV secolo. Il vero punto di svolta di questo complesso itinerario è costituito dall'editto di Costantino (313), che, legittimando la cristianità, inaugura la lunga stagione dell'incontro-scontro tra giudaismo della diaspora e Chiesa di Roma. Un rapporto ambivalente che si riflette nella costante oscillazione nel trattamento da essa riservato per tutto il Medioevo (e oltre) agli ebrei...
Cinquecento anni fa, il 29 marzo 1516, il Senato della Repubblica di Venezia adottò un provvedimento che avrebbe cambiato per sempre la vita e il destino degli ebrei d'Europa: "Li Giudei debbano tutti abitar unidi in la Corte de Case, che sono in Ghetto appresso San Girolamo". Con tale atto legislativo nasce il primo "ghetto", un nome derivato probabilmente dalla presenza sul luogo di un getto, cioè una fonderia, e diventato poi, in tutte le lingue del mondo, sinonimo di emarginazione e segregazione. All'interno delle mura del Ghetto Novo, le cui porte venivano chiuse al tramonto e riaperte all'alba, furono ristretti gli ebrei di tre "Nationi" (Todesca, Levantina e Ponentina), diversi per paesi d'origine, idiomi e tradizioni. Taglieggiati dal fisco ed esclusi dalle professioni (a parte la medicina) e dai mestieri gestiti dalle corporazioni, per sopravvivere gli ebrei "todeschi" si dedicarono al prestito di denaro, mentre i membri delle comunità levantina e ponentina, composte perlopiù da marrani espulsi dalla Spagna e perseguitati dall'Inquisizione, continuarono la loro attività di mercanti, riuscendo in pochi decenni a tessere una fitta rete di scambi in tutti gli Stati affacciati sul Mediterraneo.
Nel terzo e conclusivo volume della sua "Storia degli ebrei italiani", Riccardo Calimani ripercorre due secoli, il XIX e il XX, cruciali per il destino della comunità ebraica del nostro Paese, disegnando un complesso itinerario in cui si susseguono e si intrecciano la chiusura dei ghetti, la progressiva estensione dei diritti civili, un lento ma costante processo di integrazione e, quasi in parallelo, l'insorgere di un nuovo antisemitismo di stampo razzista, che culminerà nella tragedia delle cosiddette "leggi razziali" e della Shoah. All'inizio dell'Ottocento, in un'Italia ancora in bilico tra Rivoluzione e Restaurazione e ampiamente frammentata, si manifestano i primi, timidi segnali di emancipazione delle minoranze ebraiche. Poi, dopo l'unità, il posto degli ebrei nella società muta radicalmente, perché essi iniziano a partecipare con grande passione alla costruzione di un Paese cui sentono di appartenere a pieno titolo, dopo il tributo di sangue versato sui campi di battaglia del Risorgimento e della Grande Guerra. Nel contempo la Chiesa di Pio IX, che addebita l'oltraggio di Porta Pia a un complotto di forze anticattoliche, ridà fiato alla propaganda antigiudaica e rilancia contro gli ebrei le infamanti accuse di deicidio e di omicidio rituale, fornendo nuovi alibi e argomenti all'antisemitismo moderno. Ma la pagina nera - vergognosa e incancellabile - della storia degli ebrei italiani sono le cosiddette "leggi razziali" promulgate dal regime fascista nel 1938...