Questo trattato fa parte dell'Ordine delle Feste (Mo'èd) ed è denominato in due modi: quello più diffuso deriva, come spesso capita per i libri ebraici, dalla prima parola del testo, Betzà ("uovo"). L'altro titolo, quello più comune fra gli antichi commentatori, è Yom Tov (lett. "Giorno buono", nel senso di "Giorno festivo"), che non solo deriva anch'esso dalle prime parole del testo ma rappresenta l'argomento del trattato: le modalità dell'osservanza dei giorni festivi e le differenze rispetto allo Shabbàt (Sabato). Per "giorni festivi", in senso stretto, si intendono i giorni di festa solenne in cui è vietato lavorare. Secondo la prescrizione della Torà, i giorni festivi sono il primo e il settimo giorno di Pèsach (Pasqua), il giorno di Shavuòt (Pentecoste), Rosh haShanà (Capodanno), il primo giorno di Sukkòt (Festa delle Capanne) e Sheminì 'Atzèret (l'ottavo giorno dall'inizio di Sukkòt, detto anche Simchàt Torà, Gioia della Torà). Nella Diaspora, rispetto alla norma prescritta nella Torà, questi giorni sono raddoppiati per decreto rabbinico, mentre in Israele solo Rosh haShanà dura due giorni (il motivo dei raddoppiamenti è spiegato in questo trattato). Nei giorni festivi è proibito lavorare, come di Shabbàt, con la differenza che in tali giorni sono permesse alcune operazioni necessarie per la preparazione del cibo per il giorno festivo stesso. Il permesso di cucinare nel giorno festivo deriva da una necessità: infatti, quando il giorno festivo capita di venerdì o di domenica, si avrebbero due giorni consecutivi in cui sarebbe vietato compiere lavori e se fosse proibito anche il cucinare si sarebbe costretti a mangiare il cibo cotto tre giorni prima, con prevedibile rischio per la salute e detrimento della bontà delle pietanze, a danno dello spirito gioioso della festa. Riguardo a Pèsach e, per estensione, anche riguardo alle altre feste (salvo Kippùr), è scritto nella Torà: Il primo giorno e il settimo giorno saranno giorni di sacra convocazione, nessun lavoro si farà in questi giorni eccetto quanto necessario per il cibo di ognuno, solo quello potrà essere fatto (Es. 12:16). In questo versetto non si parla espressamente di "cucinare" ma di "fare quanto necessario per il cibo". Da qui deriva che sono permesse anche altre attività richieste per la preparazione del cibo. Fra queste, il trasporto in luogo pubblico, attività che di Shabbàt (e di Kippùr) è invece vietata. Uno degli scopi di questo trattato è appunto stabilire quali attività siano permesse nei giorni festivi e quali siano proibite. In generale, vale la regola per cui tutto ciò che può essere svolto prima dell'inizio della festa non può essere effettuato durante la festa stessa. Ad esempio, mentre l'impastare la farina e il cuocere il pane sono attività permesse durante Yom Tov, non lo sono il mietere il grano, il trebbiarlo, il macinarlo e altre attività simili che possono essere svolte prima della festa senza alcun detrimento per il prodotto finale. Il motivo per cui queste ultime attività sono proibite è per non affaticarsi durante i giorni festivi, che devono invece essere dedicati al pellegrinaggio al Santuario (quando esso esisteva, prima che venisse distrutto dai Babilonesi e poi dai Romani), sostituito oggi dalla Sinagoga, dove ci si reca per le preghiere e per le letture bibliche specifiche delle feste. (...)
«Questo è un libro essenziale: ci mette in guardia contro ogni pretesa di crescere “fuori dal terreno”, come se non avessimo radici, come se non fossimo stati generati nel corso di una lunga storia che non ha ancora finito di partorirci» (Marion Muller-Colard).
Una lettera d’amore ai nostri “fratelli maggiori”. Un libro che, con passione e umiltà, riconosce il debito dei cristiani verso Israele: una eredità positiva, gioiosa, da condividere.
Descrizione
«Credo alle radici ebraiche perché credo che Gesù di Nazaret sia la realizzazione di un’attesa espressa da generazioni di credenti», spiega con calore il biblista Antoine Nouis. «E se Gesù non è il frutto di questa attesa, tutto il Nuovo Testamento è menzogna».
Questo agile libro ci invita così a ritrovare le nostre profonde radici ebraiche, in maniera tale da farci riscoprire tutta l’importanza del Primo Testamento (non chiamiamolo “Antico”, che evoca qualcosa di desueto), autentico fondamento dei vangeli. Ancora di più: la conoscenza della tradizione ebraica, del Talmud e del pensiero rabbinico ci fa entrare in una formidabile eredità che viene a nutrire il nostro pensiero e la nostra umanità, tanto quanto a dare spessore alla nostra fede.
«Ho scritto questo libro per condividere una convinzione: la prima parte delle nostre Bibbie non rientra tanto in ciò che è “antico”, perciò desueto, quanto in ciò che è “primo”, dunque fondamentale».
Un commento alla Bibbia scritto a più mani da ebrei e da cristiani rappresenta, nel panorama italiano, e non solo, una novità. In questo momento storico, con il ritorno di pregiudizi antisemiti e una crescente ignoranza del testo biblico, una collaborazione tra studiosi delle due religioni monoteiste che condividono la stessa Bibbia è un segno di amicizia. Il presente volume nasce dall'incontro di due realtà: l'amore per la Parola di Dio e l'amicizia tra ebrei e cristiani. Da millenni ebrei e cristiani leggono e meditano la Bibbia separatamente. Da alcuni decenni ebrei e cristiani hanno iniziato un percorso di dialogo per superare odii e incomprensioni. È ora possibile iniziare a leggere la Bibbia insieme. Il progetto ha come finalità quella di far gustare la Bibbia e far dialogare, per la prima volta in modo così articolato, ebrei e cristiani sul testo fondativo delle due religioni. Dopo il successo dei primi due volumi, in questo terzo volume cinquantadue studiosi si soffermano sui Ketuvim/Scritti, commentando passi scelti tra i più significativi. Lo scopo non è quello di arrivare a una lettura unficata della Bibbia nella quale le diversità si stemperino fino ad annullarsi, ma quello di conoscersi meglio, di conoscere meglio le rispettive letture e interpretazioni, accettando che esse possano essere diverse.
Il midrash, il modo giudaico e poi ebraico di commentare i testi biblici, può essere inteso nel modo migliore come estensione della stessa attività letteraria che è all'origine della Bibbia, quando vi si riflette su ciò che nella Bibbia si afferma, si citano altri libri presenti nella Bibbia, si interpreta ciò che altrove nella Bibbia viene detto. Questa peculiarità, questo esercizio continuo di intertestualità, è un modo di introdursi e di muoversi nei testi e nei mondi della Scrittura, che non manca di riflettersi nella storia, alla quale è strettamente connesso. Illustrando il racconto della morte di Rabbi Aqiva, Daniel Boyarin fa emergere come leggendo l'Esodo con il Cantico e con i Salmi, Aqiva affronti il martirio sperimentandolo come fatto erotico e mistico, come compimento necessario dell'amore per Dio, e dell'amore che gli viene incontro in due dei libri più lirici della Bibbia.
Sparsi lungo tutto il Talmud, lo scritto fondativo del giudaismo rabbinico, s'incontrano non pochi accenni a Gesù di Nazaret, ed è di questi che in una prospettiva inedita si occupa Peter Schäfer, in un saggio tanto documentato quanto avvincente. Passando per una tradizione testuale alquanto complessa, il Talmud non cessò mai di occuparsi di Gesù e del cristianesimo, anche e forse soprattutto dopo essere caduto sotto i rigori della censura cristiana in età medievale. Vi si vede come i rabbi conoscessero a fondo i racconti neotestamentari e come se ne servissero in senso parodistico e apertamente anticristiano, a riprova sia dell'opportunità dell'esecuzione di Gesù come blasfemo e idolatra sia della superiorità del giudaismo sul cristianesimo.
Cosa accomuna individui distanti anche 3000 anni e dispersi lungo ogni angolo della terra? Questo libro è prima di tutto una grande sfida: quella di raccontare una storia epica, straordinariamente complessa e articolata. Dare conto di guerre, migrazioni di massa e violenze indicibili, certo, ma anche di successi clamorosi e inaspettati. Costruire non una storia lacrimevole fatta di sofferenze, progrom e shoah, ma il grande racconto di un popolo che ha dato prova di una capacità di resistenza spirituale e intellettuale unica al mondo.
Le Lettere cattoliche, la Didachè, la Lettera agli Ebrei e l'Apocalisse vengono qui lette nel quadro del loro contesto storico, profondamente segnato dall'oppressione roana e poi dalla distruzione di Gerusalemme e del Tempio. Le Lettere costituiscono un prezioso documento della vita delle prime Comunità messianiche, quando ancora non esisteva frattura tra ebraismo e cristianesimo. Nella stessa linea si interpreta anche l'Apocalisse, affasciante per la ricchezza del suo simbolismo, ma anche ancorata molto concretamente alla drammatica situazione storica, un'opera che non invita a una fuga dalla realtà o a un compromesso con il potere, ma, al contrario, esorta a restare in attesa della Venuta.
Nella Bibbia lo scenario in cui viene rivelato il Decalogo (erroneamente noto come i "Dieci Comandamenti") è il deserto: è dunque proprio in una situazione in cui manca l'essenziale per vivere ed è concreta la possibilità di morire che vengono donate le "parole di vita". Tra tuoni e lampi, una densa nube cala sul Sinay, mentre sempre più forte si ode nel silenzio circostante il suono dello shofar. Ha-Shem scende sul monte, Mosheh vi sale: ha così inizio il dono della Torah. "Faremo e ascolteremo" rispondono i figli d'Israele, a significare che l'ascolto delle Parole cresce man mano che esse si incarnano nella vita di ognuno, perché "di fronte all torah siamo tutti uguali, ma ognuno ode la sua voce in modo diverso".
Jakob J. Petuchowski, rabbino e professore di liturgia e teologia ebraica, introduce e raccoglie una scelta di detti, fatti e "storie di miracoli" appunto di materia haggadica tratta dal Talmud e dal midrashim, i cui protagonisti sono per lo più i grandi maestri dei primi secoli dell'era cristiana, ai quali si deve se il giudaismo esiste ancora, ed esiste nella sua vitale, antiapocalittica, misericordiosa, saggia, libera fino al paradosso e allo humour, ubbidiente e ardita davanti a Dio, terrena e utopica ispirazione di matrice farisaica. Non si poteva scegliere barca migliore per navigare nel mare della haggadah: i racconti danno gioia, le domande fanno pensare. O, in modo più ebraico, le domande danno gioia, i racconti fanno pensare. (Paolo De Benedetti)
Joseph Campbell è stato uno degli studiosi che hanno rivoluzionato l'approccio alla mitologia. Nelle sue opere ha infatti dimostrato come i racconti mitologici - indipendentemente dall'ambito culturale in cui hanno origine - attingano temi, personaggi e storie dallo stesso ancestrale retroterra. Questo significa che nella letteratura, nei riti e nei simboli, elaborati dalle varie tradizioni per rispondere alla necessità di comprendere il mistero dell'esistenza, finiamo per scoprire sempre noi stessi. Tat tvam asi, «quello sei tu», è appunto l'intuizione spirituale fondamentale di tutta la vita e l'opera di Campbell. Nei saggi raccolti in questo volume, l'attenzione dello studioso si concentra sulla tradizione spirituale giudaico-cristiana, sulla simbologia che ricorre nei suoi miti e rituali, sulla metafora quale strumento di narrazione e trasfigurazione, spesso fraintesa e considerata un mero riferimento a un presunto evento storico. Si vedrà per esempio come attraverso il mito dell'Immacolata Concezione (che non è solo cattolico) non si tramandi un fatto, ma piuttosto si alluda a una condizione spirituale. Anche la Terra Promessa non è un luogo geografico, bensì dell'anima. L'ambito mitologico è stato oggetto di incomprensioni e pregiudizi, al punto che, per alcuni, il mito si riduce a una bugia. Campbell ci mostra invece come le sue declinazioni nelle diverse culture rispondano in modo univoco al profondo ed essenziale bisogno umano di comprendere i grandi misteri della nostra presenza nell'universo.
Il volume vuole essere un'introduzione sintetica alla ricchezza e complessità della tradizione artistica ebraica, seguendo un percorso storico-tematico: un viaggio alla scoperta di grandi artisti appartenenti a epoche e culture diverse - tra i quali Maurycy Gottlieb, Marc Chagall, Mark Rothko, Sigalit Landau, Siona Benjamin, Tobia Ravà. Un rilievo speciale è riservato alle grandi potenzialità dell'arte ebraica in funzione del Tikkun Olam, ossia della "riparazione del mondo" intesa come ripristino della giustizia e dell'amore tra gli uomini di ogni cultura e religione.
Shaul/Paolo ha avuto un'importanza tale che alcuni lo hanno addirittura considerato il vero fondatore del Cristianesimo. In questo volume viene proposta un'interpretazione del pensiero e dell'opera dell'Apostolo che è in accordo con la più recente linea di studi paolini, secondo la quale Shaul non è un convertito ma un convertitore. Egli viene chiamato ad essere profeta, vuole raggiungere i popoli fino ai confini del mondo e raccoglierli prima della venuta di Gesù alla fine dei tempi, che ritiene imminente. Indossate le vesti di un nuovo Geremia, Shaul svolge la sua missione per inserire i pagani nella storia della salvezza. Il suo compito è la conversione messianica delle genti nel breve tempo che resta.