Una ricostruzione della vita di Lawrence Ferlinghetti, poeta americano nato nel 1919 e protagonista della grande stagione della beat generation. Giada Diano ha lavorato a stretto contatto del poeta, ma ha consultato anche i diari privati che le ha messo a disposizione, ha visitato amici, conoscenti e membri della famiglia. A partire da questo incrocio di notizie, la biografia ha preso una strada non canonica. L'autrice ha dato rilievo a episodi emozionali della vita di Ferlinghetti. Molti hanno a che fare con le esperienze europee del poeta e con l'influenza che la stagione culturale di cui Ferlinghetti è stato padre e nume tutelare ha avuto fuori dall'America. La vita di Ferlinghetti trae con sé stralci di altre esperienze: incrociamo Ginsberg e Pound, i gruppi anarchici italiani e i movimenti di avanguardia con cui il poeta ha avuto contatti. Ultimo testimone di un'epoca gloriosa, Ferlinghetti e la sua vicenda offrono un punto di vista sulla beat generation che rinverdisce e riattualizza, di quel movimento, le battaglie per i diritti civili, il clima di accesa tensione utopica e l'ansia di libertà professata nei fatti.
“Ho riscoperto la stessa emozione che, tanti anni fa, mi aveva imposto Se questo è un uomo di Primo Levi.”
dall’introduzione di Giampaolo Pansa
All’indomani dell’8 settembre 1943 il trentacinquenne tenente d’Artiglieria Giovannino Guareschi, da poco richiamato alle armi e di stanza in Alessandria, era catturato dai tedeschi e, avendo rifiutato di continuare a combattere nei ranghi del Grande Reich, veniva immediatamente spedito, insieme a centinaia di migliaia di altri militari italiani, in un campo di concentramento nazista. Ritornò a casa il 4 settembre del 1945, respingendo sempre e comunque le frequenti e pressanti proposte di “collaborazione”. Un autentico calvario, durante il quale “io avevo in mente di scrivere un vero diario e, per due anni, annotai diligentissimamente tutto quello che facevo e non facevo, tutto quello che vedevo e pensavo. Anzi, fui ancora più accorto: e annotai anche quello che avrei dovuto pensare…”. Comincia così, con le parole dello stesso autore, l’avventurosa e quasi incredibile storia di questo testo straordinario, poi proseguita e completata dai figli Alberto e Carlotta nelle Istruzioni per l’uso che precedono il volume. Il diario finì in un solaio, sistemato in una cassetta da uva, e vi rimase alcuni decenni. E ora, per volontà, appunto, dei fi gli e grazie anche al loro non lieve lavoro di decifrazione, nella ricorrenza del centenario della nascita del grande scrittore della Bassa viene finalmente alla luce. Contiene, innanzitutto, la cronaca della vita quotidiana dell’internato militare Giovannino Guareschi nei vari Lager in cui venne successivamente spostato, con notazioni sul tempo atmosferico, sulla salute, sull’umore, sulle razioni alimentari, sulle disparate attività culturali organizzate nei campi, sui suoi pensieri e i suoi sogni; raccoglie documenti di prim’ordine sull’universo dei Lager e relazioni ufficiali sulle condizioni di vita dei prigionieri; riunisce, infine, una serie di impressionanti testimonianze sul martirio senza fine di quanti erano avviati ai campi di sterminio. Tutto annotato, come si era proposto, “diligentissimamente”. Con tono pacato, sommesso – Guareschi affermerà di aver attraversato l’intero conflitto mondiale riuscendo a non odiare nessuno –, con un linguaggio essenziale, quasi scarno, ma di grande efficacia, dove nonostante tutto affiora l’inestinguibile vena di uno struggente umorismo che forse lo ha aiutato a sopravvivere, questo libro racconta l’orrore della notte più lunga e più buia d’Europa in pagine indimenticabili di altissimo valore letterario e umano. Giampaolo Pansa, nella sua splendida introduzione al volume, afferma tra l’altro: “… gli eredi di don Chisciotte non sono scomparsi del tutto. Per loro il Grande Diario di Guareschi sarà una lettura indimenticabile. Per quel che mi riguarda, ne sono rimasto soggiogato. Ho riscoperto la stessa emozione che, tanti anni fa, mi aveva imposto Se questo è un uomo di Primo Levi”.
Walter Benjamin (1892-1940), filosofo, letterato e teorico della cultura ebreo-tedesco, è oggi riconosciuto come uno dei più originali e acuti pensatori dell'intero Novecento. Le sue opere, da "Il dramma barocco tedesco" (1928) a "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" (1936), sono altrettante pietre miliari nella riflessione critica ed estetica del secolo scorso. La sua vicenda personale, segnata dal fallimento accademico, dall'esilio a Parigi e infine dalla tragica morte sulla strada della fuga verso gli Stati Uniti, appare tipica di un certo tipo di intellettuale, emarginato in vita ma acclamato successivamente come uno "che apre il cammino", un precursore per eccellenza. Sulla base di una lettura ravvicinata non soltanto dei suoi scritti più noti, ma anche di alcuni dei suoi saggi e frammenti meno conosciuti, il volume di Gilloch fornisce una lucida introduzione alla figura e all'opera benjaminiana. Ne deriva così un'interpretazione originale dei suoi lavori, che mette in luce la fitta trama di interconnessioni che lega insieme una produzione apparentemente disparata.
Fra le qualità che hanno fatto di George Gamow un protagonista assolutamente atipico della scienza del XX secolo spiccano due caratteristiche fondamentali: una smisurata curiosità per il funzionamento del mondo naturale e uno straordinario senso dell'umorismo. Entrambe queste doti si ritrovano in questa "autobiografia informale", che Gamow dedica per buona parte al racconto dei suoi primi trent'anni di vita e di attività scientifica: l'infanzia e l'istruzione universitaria a Odessa e a Leningrado; le ricerche presso i laboratori di Bohr e Rutherford; i rocamboleschi e sfortunati tentativi di fuga in Occidente.
Negli oltre trent'anni di vita pubblica, Ugo La Malfa (1903-1979) operò in forze politiche di minoranza: il Partito d'azione prima, il Partito repubblicano poi. Eppure La Malfa riuscì a definire i passaggi strategici dell'Italia democratica e a dettare l'agenda del paese. S'interrogò sulla profonda trasformazione delle economie occidentali dopo la grande crisi, esprimendo una visione interamente laica della politica e traducendola in un progetto per l'Italia di grande tensione verso la modernità europea, nello sforzo di dare al Paese una democrazia solida e adulta, forte delle acquisizioni e delle realizzazioni delle sinistre democratiche occidentali.
Curzio Malaparte per molto tempo dovette scontare la reputazione di sfrenato avventuriere. E in effetti la sua vita può essere a buon titolo considerata romanzesca: soldato, uomo politico, scrittore di fama, coinvolto in un turbine di amori, duelli, scandali e non meglio chiariti rapporti con il potere. Fascista, venne fatto confinare da Balbo e liberare da Ciano; comunista, venne protetto da Togliatti, nonostante lo sferzante giudizio di Gramsci; luterano e anticlericale, gli venne attribuita una misteriosa conversione. Oggi i suoi eccessi rientrano in quello che si definisce "intellettuale d'intervento", figura di cui è stato senza dubbio precursore.
La mattina del 16 marzo 1978 Corrado Guerzoni, giornalista tra i più stretti collaboratori di Aldo Moro, telefonò a casa del presidente della Democrazia cristiana. Voleva tranquillizzarlo su alcuni attacchi della stampa, ma gli dissero che era appena uscito. Pochi minuti dopo Moro veniva rapito in via Fani da un commando brigatista che sterminava i cinque agenti di scorta. "La notizia me la diede un mio ex redattore del "Radiocorriere". Ebbi una sensazione di gelo, come se fossi entrato in una stanza ghiacciata". Trenta anni dopo Corrado Guerzoni racconta la vita di Aldo Moro, gli studi giuridici, l'ingresso in politica, il suo percorso istituzionale. E soprattutto si interroga su i motivi di quel rapimento, sul perché non si riuscì, non si volle, salvarlo. "Qualcuno decise che Aldo Moro doveva morire e morire in quel modo stupido e straziante". C'è ancora molto da capire di quel rapimento, sono rimasti tanti punti oscuri. Su alcuni, ora che sono trascorsi trent'anni, dovrebbe essere tolto il segreto di Stato. Altre domande sono ancora senza risposta: quanto contò l'ostilità di Kissinger, quanto quella di una parte della Chiesa, del cardinale Siri in particolare che, informato del rapimento, esclamò: "Ha avuto quel che si meritava".
"Nato nel Sudafrica del colonialismo e dell'apartheid, Mandela è il ribelle che vuole combattere l'ingiustizia dei bianchi. Prima, come Gandhi, con gli strumenti del diritto e della nonviolenza, poi, dal 1944, nell'illegalità e nella clandestinità. È anche il prigioniero senza odio che in carcere scopre il teatro e che, appena liberato, si trasforma in uomo di stato pronto a dare la misura della propria grandezza in una negoziazione apparentemente impossibile, in cui le sue doti di tolleranza, capacità di ascolto e senso di democrazia gli hanno permesso di scongiurare un bagno di sangue. Infine, è colui che rinuncia alla vendetta per dare vita a una nazione arcobaleno. Mandela è più che un eroe. È un simbolo, portatore al massimo livello di quei valori di cui abbiamo terribilmente bisogno: coraggio, tolleranza, libertà, democrazia. Valori che ha saputo difendere e testimoniare al prezzo di molte sofferenze. In lui, uomo e leggenda si confondono: indomabile combattente della speranza, saggio messo di fronte alla tirannia e, nel profondo, uomo di cultura innamorato della bellezza. È per questa coerenza di spirito e di azione che ho cercato di accostarmi a questo personaggio d'eccezione e di raccontarne la genesi, la forza, l'esempio." (Jack Lang)
Haussmann è stato una figura eccezionale di studioso della materia agronomica, uno dei maggiori esperti mondiali nel settore delle produzioni foraggere, un acuto studioso del rapporto fra società e suolo. Queste sue attività, che hanno trovato il perno unificante intorno al problema della fertilità del terreno, sono state magistralmente integrate dalla profonda opera di Haussmann come storico dell'agricoltura. Oltre che di centinaia di pubblicazioni scientifiche, è autore di grandi opere di sintesi sul rapporto tra uomo e terra, tra società e suolo.
Era un omone di quasi due metri, e aveva un curriculum di studi non propriamente impeccabile: aveva fatto il barbiere, il fenomeno da baraccone e l'attore. Ma il padovano Giovanni Battista Belzoni (1778-1823) è diventato una figura leggendaria, l'avventuroso pioniere che all'inizio dell'Ottocento ha dato il primo grande impulso alla scoperta dell'antico Egitto e dei suoi monumenti. Il "Grande Belzoni" ha legato il suo nome al dissabbiamento del tempio di Abu Simbel, alla soluzione dell'enigma della piramide di Chefrem, in cui fu il primo ad entrare, e a una quantità di scoperte ed esplorazioni che lo rendono ai nostri occhi una specie di Indiana Jones dell'egittologia. Sulla base di ricerche approfondite e originali, anche su documenti sinora sconosciuti, Zatterin ha ricostruito con precisione e passione la vita e le avventure del Grande Belzoni in una biografia.
Dopo un decennio di relativo oscuramento, la Russia dello zar Putin è ritornata con forza sulle prime pagine di tutti i giornali: Gazprom, la Georgia, l'assassinio della Politkovskaya, l'avvelenamento di Litvinenko, le uscite di Putin su nuovi tipi di armi nucleari come parte di un progetto 'grandioso' per migliorare la difesa del paese. Si può dire che non c'è giorno nel quale la Russia non faccia notizia. Non c'è da stupirsi: mentre si assiste alle non entusiasmanti prove della superpotenza americana, l'impero russo rimane l'unico vero impero del mondo. Ha tutti i tratti dello stato autoritario: è governato in modo centralistico; è determinato a mantenere il controllo di nazioni e popoli non etnicamente omogenei, ma rientranti nella sua sfera di influenza e vassallaggio; è infastidito dall'intromissione occidentale nei suoi "affari interni"; è spropositatamente ricco di risorse minerarie e petrolifere, concentrate nelle mani di pochissimi oligarchi vicini al Cremlino.