A che cosa somiglia il sogno? Fin dall'antica domanda di Aristotele, possiamo inquadrare il paesaggio onirico solo per analogie, paragoni, metafore. Oppure, come ci suggerisce James Hillman in questo percorso sconcertante e provocatorio, possiamo accedervi lasciandoci alle spalle ogni tentativo di razionalizzarlo e di tradurlo nel linguaggio diurno, come era avvenuto, seppure con metodi opposti, nel caso di Freud e di Jung. La soluzione, per Hillman, consiste invece nel tornare alla mitologia come a una vera e propria "psicologia dell'antichità" e a una lettura del sogno come dimensione del "mondo infero", in quanto invisibilmente intrecciato a quello superno.
Maestro, braccio destro e successore designato di Giuliano l'Apostata, Salustio concepì questo mirabile trattatello quando lo scontro fra paganesimo e cristianesimo era giunto al suo apice. E raramente su questi vasti temi erano state allineate formule tanto illuminanti come questo "aureo libello" (secondo la definizione di Athanasius Kircher), che rappresenta, in particolare, il viatico migliore per chiunque voglia avvicinarsi al mito. Testo greco a fronte.
"Parlo meglio di quanto non scriva" diceva Barbey d'Aurevilly "quando l'Angelo di fuoco della Conversazione mi prende per i capelli come un Profeta". E nell'"Armonia del mondo", dove il filo conduttore è l'Italia, davvero sembra che quell'Angelo si sia impadronito di Citati: che ci parli di gatti e di bambini, della maturità, della nube di scontentezza che ci avvolge, del giusto rapporto da tenere con gli oggetti, della morte nel mondo moderno, della scomparsa dei veri potenti (ma non del potere), di una Parigi dove tutto è traslucido come in un Bellotto, degli ospiti di un albergo di montagna, della lingua italiana moderna, sempre si ha l'impressione di partecipare a una luminosa conversazione capace di cogliere ciò che si nasconde in ciascuno di questi argomenti, o lo trascende. Una conversazione che ci offre, come ha scritto Giovanni Mariotti, "molte ragioni di ammirazione, una lezione di stile (nel senso non solo letterario) e un antidoto efficace al malumore".
In un oscuro paese dell'Europa orientale - i cui abitanti parlano ora tedesco ora russo ora una lingua che non coincide con nessuna di quelle esistenti - un filosofo quarantenne, Adam Krug, siede annichilito nell'ospedale dove è appena spirata l'amatissima moglie Olga. Krug è una celebrità internazionale, l'unica che possa vantare il piccolo Stato retto dal regime poliziesco di Paduk, fondatore del Partito dell'Uomo Comune, che propugna una dottrina violenta fondata sul "pensiero unico". Per consolidare il suo carisma il dittatore vorrebbe l'appoggio di Krug, ma lo studioso oppone il più deciso rifiuto in nome della libertà di coscienza, esponendosi così alla più feroce delle rappresaglie. Concepito nel 1941 e portato a termine tra il 1945 e il 1946, in singolare ed evidente contrappunto con il "1984" di Orwell, "Un mondo sinistro" è, insieme a "Invito a una decapitazione", il romanzo più politico di Nabokov, nutrito com'è dell'orrore che i regimi totalitari avevano scatenato negli anni precedenti. Per Krug, infatti, la coscienza è "l'unica cosa reale al mondo e il mistero più grande": un prodigio, un arcano, una sfida incessante, e un paradosso, giacché è sinonimo di curiosità illimitata, di sentimenti illimitati all'interno (krug in russo significa "cerchio") di un'esistenza per sua natura finita.
Lo scenario è uno dei più "contrastati" e smaglianti dell'Alta Asia, la storia quella di Temujin, meglio noto come Gengis Khan. Una storia che René Grousset ricostruisce risalendo alle sue remote scaturigini mitiche - l'accoppiamento tra il Lupo Grigio-Blu e la Cerbiatta Selvatica, capostipiti di quella che diventerà la "razza di ferro" dei Mongoli - e racconta con ritmo serrato, senza per questo tralasciare alcun dettaglio rivelatore. Assistiamo così alle vicende dell'avo di Temujin, Qutula, sorta di Eracle mongolo la cui voce rimbomba "come il tuono nelle gole delle montagne", e del padre, Yesugei il Coraggioso, già in lotta con quella Corte cinese che tratta i nemici con crudeltà esemplare, impalandoli o bollendoli in giganteschi pentoloni. Poi alla nascita e alla crescita di un bambino "dagli occhi di fuoco", "il viso acceso da un bagliore misterioso", che non esita a sbarazzarsi del giovane fratellastro prima di unirsi alla bellissima moglie Borte, "consigliera avveduta e autorevole". Poi ancora alla lunga teoria di scontri vittoriosi contro i Merkit e i principi mongoli avversari, fino alla conquista dell'egemonia indiscussa attraverso la "battaglia della Tempesta" (contro l'intrigante fratello di sangue Djamuqa) e quella "dei Settanta mantelli di feltro" (contro le ultime resistenze tatare). E infine all'espansione di un regno quasi senza limiti, esteso fino al Palazzo imperiale di Pechino e alla Via della Seta.
Gli irresistibili rituali dei promotori di Startup, riuniti in congresso a Londra. Il matrimonio fra due miliardari indiani – per tacer dell'elefante – nel cuore del Salento. Le emozioni – e quello che si intende, oggi, con la parola – della prima volta con i Google Glass. L’incontro, a New York, con un sopravvissuto alla sua stessa leggenda: Frank Serpico. Il paradiso – o l’inferno – artificiale nella sua versione più aggiornata, il poker on line. Non importa da quale ingresso Daniele Rielli decida di entrare in quel diorama ibrido e surreale che chiamiamo contemporaneità. Importa come ne racconta, ogni volta, un angolo diverso, e quanto, ogni volta, riesca a farci ridere.
Da un bassorilievo del II secolo al quale si ispirarono – senza mai menzionarlo – diversi artisti cinquecenteschi alla raffigurazione di un drago immortale le cui radici risalgono fino a un antico dramma indiano; da un raro amuleto giudaico-cristiano del XVI secolo – subito condannato dalla Chiesa – alla singolare incongruenza astrale, coniugata con la teoria dei quattro elementi, del ciclo decorativo del celebre Studiolo di Francesco I de’ Medici: quattro storie raccontano la sorprendente migrazione delle immagini simboliche attraverso tempi e luoghi distanti – un cammino che non ha diluito i pensieri e le idee che a quelle immagini hanno dato forma, ma ne ha anzi arricchito la trama concettuale.
1943. Fronte russo occidentale, regione di Smolensk: Lev A. Zaseckij, giovane tenente dell'Armata Rossa, viene ferito da un proiettile tedesco che gli penetra in profondità nel cervello cancellando la percezione di una parte del corpo e pregiudicando sia la comprensione del linguaggio che la memoria. Sottoposto a un intenso processo di riabilitazione, Zaseckij recupera frammenti delle funzioni cerebrali perdute e torna, dolorosamente, a vivere: riaffiorano nomi di persone e oggetti, impara di nuovo a contare, riconosce la via di casa... Giorno dopo giorno, dapprima con fatica poi con crescente sicurezza, annota i progressi in un diario a partire dal quale il grande neuropsicologo russo Aleksandr Lurija, che lo ebbe in cura per molti anni e con lui stabilì una relazione strettissima e partecipe, ricostruisce il profilo clinico e la personalità di un uomo sensibile e indomabile, realizzando, come ha scritto Oliver Sacks, "quella fusione di pittura e anatomia sognata da Hume". Libro "romantico" - cioè incarnazione di una scienza nemica di ogni riduzione della realtà a schemi astratti -, "Un mondo perduto e ritrovato" è anche un libro unico, frutto della felice combinazione (sono ancora parole di Sacks) di "una descrizione rigorosa, analitica" e di "una comprensione e immedesimazione profondamente personale con gli oggetti", di lucidità scientifica e tensione drammatica. Postfazione di Luciano Mecacci.
In una bella mattina d’inverno, mentre il suo autista lo portava, come ogni giorno da , trent'anni, nella ditta di import-export fondata da suo nonno, Norbert Monde ha deciso di scomparire. Anzi no: non c'è stato niente da decidere. «Probabilmente lo aveva sognato spesso, o ci aveva pensato così tanto che adesso aveva l'impressione di compiere gesti già compiuti»: farsi radere i baffi, scambiare il completo dal taglio elegante con un abito di seconda mano, andare alla Gare de Lyon, chiedere un biglietto di terza classe per Marsiglia. Ma perché è accaduto proprio quel giorno? Forse perché era il suo compleanno; o forse perché, alzando gli occhi, ha visto i comignoli rosa stagliarsi contro un cielo di un pallido azzurro in cui fluttuava pigra una minuscola nuvola bianca - e gli è venuta voglia di vedere il mare. Quando finalmente se l'è trovato davanti, il signor Monde ha pianto. E quelle lacrime, che si portavano via «tutta la stanchezza accumulata in quarantotto anni» , erano dolci, «perché ora la battaglia era finita», e lui era finalmente come uno di quei clochard che dormono sotto i ponti di Parigi, e che più di una volta gli era capitato di invidiare. Così è andato a vivere con una tale Julie, che fa l'entraineuse in un locale notturno di Nizza dove hanno dato un lavoro anche a lui. Ed è diventato per tutti Désiré Clouet, il contabile del Monico. Un giorno, però, gli apparirà dinanzi un fantasma della sua vita di prima: allora il signor Monde, che si è portato dietro «la sua condizione di uomo come altri si portano addosso una malattia che ignorano», riprenderà la sua identità e il suo ruolo, ma non sarà più la stessa persona. Perché da quel momento non avrà più ombre - e guarderà ogni cosa in modo diverso, con una sorta di «fredda serenità».
Valentino Braitenberg, tra i pionieri della cibernetica, non è nuovo alle provocazioni intellettuali. Ne ha dato prova, già nel 1984, con un libro in cui proponeva di costruire semplici robot per "sintetizzare" comportamenti complessi che un osservatore esterno avrebbe attribuito a stati mentali come la paura, l'aggressività, la curiosità. Era un primo passo verso una modellazione "in silico" del vivente. La stessa originalità di impostazione, la stessa verve iconoclasta e lo stesso gusto per le contaminazioni interdisciplinari caratterizza le sue ricerche sul cervello, nelle quali ha sempre mirato a collegare le funzioni cerebrali ai fenomeni della psicologia. Gli è però rimasto pendente un debito: l'inserimento del mondo dei segnali e dei messaggi, dei cervelli e delle idee in una visione più generale, senza soluzione di continuità fra le cose biologiche e quelle inanimate. Colmare tale lacuna è un compito per il quale forse non siamo ancora maturi, ma sembra lecito affrontare il problema con un approccio che Braitenberg stesso definisce "presocratico".
C'è chi si indispettisce, come l'alchimista che all'inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama «blu di Prussia» e si lascia subito alle spalle quell'incidente di percorso, rimettendosi alla ricerca dell'elisir. C'è chi si esalta, come un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole; o quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon. E c'è invece chi si rende conto, come il giovane Heisenberg durante la sua tormentosa convalescenza a Helgoland, che probabilmente il traguardo è proprio questo: smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare. È la via che ha preferito Benjamín Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna. Ma, soprattutto, offrendoci un intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.