L'inviolabilità ma anche caricarlo di una responsabilità che mai aveva conosciuto nelle epoche precedenti. In ciò la modernità manifesta una profonda solidarietà con la sua antica radice cristiana. E tuttavia la storia degli ultimi secoli sembra indicare l'opposto. L'illuminismo, lo stato liberale, la libertà di coscienza, i diritti civili, l'autodeterminazione dell'individuo hanno incontrato nella chiesa un implacabile avversario. Ma se la modernità è l'erede secolarizzato della religione cristiana, come spiegare quel conflitto? In che cosa consiste la sfida reciproca fra modernità e cristianesimo? Ora che l'attuale epoca post-secolare sembra rimettere in discussione il rapido esaurirsi della religione, è necessario ritornare a riflettere sull'irrisolto problema della trascendenza e sulla sua affrettata rimozione.
Questo saggio è il manifesto di un gigantesco progetto transdisciplinare di filosofia e antropologia della complessità. Edgar Morin sostiene che bisogna porre fine alla riduzione dell'uomo a homo faber e homo sapiens. Homo, che apporta al mondo magia, mito, delirio, è dotato nello stesso tempo di ragione e sragione: è sapiens-demens. Rifiutando una concezione ristretta e chiusa della vita (biologismo), una concezione insulare e sopra-naturale dell'uomo (antropologismo), una concezione che ignora la vita e l'individuo (sociologismo), Edgar Morin delinea una concezione complessa dell'uomo come a un tempo specie, società e individuo. È una visione radicalmente ecologica della nostra condizione terrestre, che raccoglie la sfida di inventare una nuova immagine dell'umano, nell'avventura spaesante dell'era planetaria.
In questo prezioso saggio, maturato nel pieno della Prima guerra mondiale e scritto in una prima versione nel 1916, per poi essere corposamente ampliato per l'edizione del 1923, Max Scheler indaga con lucidità fenomenologica i vissuti del dolore e della sofferenza. Il lettore si trova, così, messo a confronto con l'intera storia del pensiero filosofico, secondo un percorso che dall'etica e dall'antropologia filosofica si apre alla metafisica e alla filosofia della religione. Il richiamo aristotelico del significato del dolore, come segnale di pericolo per la dimensione vitale dell'organismo, è ribadito con forza, venendo, però, subito messo vertiginosamente a confronto con lo scandalo della presenza stessa della sofferenza. Da qui un cambio di passo decisivo che costringe a fare i conti con un'alternativa radicale: quella tra buddhismo e cristianesimo. Non solo per cercare di prendere in qualche modo le misure al dolore e alla sofferenza, ma per incontrarli; perché di questo alla fine, secondo Scheler, si stratta: di riuscire a incontrare il dolore e la sofferenza nel modo più autentico per non smarrire il significato del proprio essere personale.
Questo saggio indaga la faccia nascosta del Cile neoliberista: le origini di questo modello nella sanguinaria dittatura di Pinochet, la desertificazione dei rapporti sociali indotta dal trionfo del mercato, l'indebolimento della politica e della partecipazione. Il caso cileno con tutte le sue laceranti contraddizioni è emblematico per l'applicazione di paradigmi economici che in seguito si sono estesi al mondo intero.
"Il compito del traduttore" è una lettura imprescindibile per chiunque voglia approfondire il tema della traduzione e il suo legame essenziale con la filosofia. Questa nuova edizione dell'opera di Benjamin, curata e tradotta da Maria Teresa Costa, è seguita da un commento critico, che accompagna la scansione del testo nella sua struttura retorica e argomentativa e che ne individua i plessi tematici e le fonti di riferimento, e da un saggio della stessa curatrice che colloca il testo di Benjamin nell'attuale dibattito internazionale, ripercorrendo alcune tappe della sua ricezione fino agli attuali Translation Studies.
"Anche nei tempi più bui abbiamo il diritto di aspettarci un po' di luce." In questi saggi, Hannah Arendt ripercorre le esistenze di dieci intellettuali che hanno conosciuto le tenebre del proprio secolo. Queste personalità illuminate hanno vissuto gli orrori ricorsivi dei "tempi bui", tentando di contrastarli. Per quanto diversi tra loro, Karl Jaspers, Rosa Luxemburg, Bertolt Brecht, Papa Giovanni XXIII, Walter Benjamin e tutti gli altri protagonisti del volume sono accomunati dall'aver combattuto in prima linea, non cedendo mai alla tentazione delle retrovie o di una ritirata nelle scorciatoie del disimpegno. Ogni ritratto è un esercizio di biografia filosofica, un elogio della pluralità e di chi ne è stato portatore.
"Senza la poesia non potremmo neppure esistere", scriveva Johann Gottfried Herder (1744-1803), uno dei pensatori più significativi del secondo Settecento tedesco. Viviamo come "fanciulli", usiamo la nostra immaginazione immedesimandoci "poeticamente in situazioni e persone estranee" per poterle conoscere. Sensazioni e intelletto, follia e razionalità, sogni e sapere scientifico, immaginazione e pensiero logico non sono elementi contrapposti, bensì saldamente intrecciati costituiscono il modo in cui conosciamo e ci rappresentiamo il mondo. Ripercorrendo la produzione herderiana dagli scritti giovanili a quelli della fase più matura, l'autrice propone una nuova chiave di lettura del pensiero di Herder incentrata sul ruolo delle "immagini del pensiero" (Denkbilder) e sull'uso di analogie quali strumenti essenziali della conoscenza umana.
Il volume è una raccolta antologica dei test appartenenti alle quattro religioni: quella ebraica, cristiana, musulmana e buddista.
Antiche di secoli e di millenni, esse sono tuttavia le grandi religioni del nostro tempo. Ciascuna ha un corpo di scritture sacre a cui si richiama e si è sempre richiamata nel corso della storia: l'Antico Testamento, il Nuovo Testamento, il Corano, il Tipitaka.
Come chiosa l'autore stesso nella prefazione: "A queste antiche parole tutti dobbiamo accostarci con reverenza. In esse milioni e milioni di uomini da secoli e secoli hanno creduto e credono e trovano conforto e speranza. Esse sono, per il credente, le parole della sua fede, e per esse egli è portato a ignorare, a trascurare, a svalutare, le altre".
Secondo Barthes, il gesto del puntare è il principio essenziale del documento visivo, e proprio da tale assunto ha origine questo corrosivo saggio sulla fotografia composto da fotografie. Fontcuberta, tra i più grandi fotografi e critici viventi, riflette sulla condizione crepuscolare della fotografia a partire da alcune critiche al pensiero canonico di Roland Barthes. Per il filosofo francese, ogni fotografia ci indica che "questo è stato" (ça-a-été), un messaggio generico ed essenziale che però oggi non basta più: occorre infatti risolvere la fastidiosa indeterminatezza di ciò che intendiamo con "questo". Se tutta la fotografia non è altro che il risultato di diverse operazioni di "posa", cioè di teatralità, vale la pena chiedersi se la macchina fotografica possa in effetti confrontarsi con una realtà "reale" o se la sua missione si limiti alla sola descrizione di un set.
Testi di: Floriana Ferro, Luca Taddio, Silvia Capodivacca, Nicoletta Cusano, Floriana Ferro, Gabriele Giacomini, Jacopo Menghini, Massimo Durante, Francesco Tormen, Francesco Valagussa.
Cosa sia l'atto medico è la questione che viene discussa nella doppia chiave pratica e teoretica, scientifica ed empirica assunta nel tentativo di leggere la questione dell'atto medico sia con gli occhi del medico sia con gli occhi del paziente, l'uno centrato verso il cosa fare tecnico, l'altro tutto preoccupato dal cosa fare emozionale-affettivo. E qui un interrogativo sorge ed è elementare: può il primo "farsi", quello tecnico, ignorare il secondo, quello emozionale? In termini meno elementari: può il medico trattare il paziente come corpo, e il corpo del paziente può essere inteso come un "corpo docile" manipolabile o come "corpo-macchina" trasparente? Il "cosa" dell'atto medico e il "come" della cura, forse, si ripropongono anche attorno a queste questioni, elementari e fondamentali anche nel senso di fondative.
Originariamente pensato come capitolo iniziale de "L'essenza della manifestazione", il testo venne poi da esso scorporato e pubblicato in maniera autonoma. Il tema del corpo riveste per Henry un interesse fondamentale: mentre ne "L'essenza della manifestazione" per porre il problema della conoscenza di sé su una base corretta egli si era sforzato di ritrovare la modalità fondamentale dell'apparire, quella per cui l'apparire appare - non come parvenza né come appariscenza - immanentemente a sé stesso, "Filosofia e fenomenologia del corpo" chiarisce più in dettaglio come questo piano includa una riflessione sul corpo e non possa ritenersi completo senza di essa. Il testo si pone così come compagno di viaggio ed estensione dell'Essenza, prendendo in analisi una figura altamente simbolica in quanto pionieristica, quale tale può essere considerato Maine de Biran, pioniere della 'corporealité'. Avendo notato l'assenza di una riflessione filosofica volta a considerare il corpo, elaborò la sua proposta di corpo soggettivo che è l'Io stesso, riprendendo e superando il problema delle due sostanze eterogenee posto dal dualismo cartesiano.