Il realismo politico italiano, quello che si sviluppa tra '800 e '900, fa soprattutto riferimento agli elitisti italiani ed è ascrivibile non solo e non tanto all'ambito delle relazioni internazionali, ma anche e piuttosto a un vasto campo di analisi configurantesi propriamente come scienza politica. A voler individuare i caratteri peculiari del realismo politico italiano ci si rende immediatamente conto delle sue sfaccettature e peculiarità. Basti pensare a due autori come Gaetano Mosca (1858-1941) e Guglielmo Ferrero (1871-1942). Tra l'elitismo politico del primo e quello culturale del secondo c'è una sostanziale differenza che si esprime in una diversa visione della democrazia e del governo misto, del potere e della legittimità. Tuttavia, tra la moschiana "formula politica" e i ferreriani "geni invisibili della città" esiste un minimo comun denominatore rinvenibile in una visione condivisa del potere, la cui titolarità spetta a "una minoranza organizzata", magari culturalmente più dotata, e in grado di guidare la "maggioranza disorganizzata".
La sicurezza è una delle più pressanti esigenze e uno dei principali fini di ogni individuo e di ogni società. Di fronte alle trasformazioni sociali e politiche in atto, si pongono sempre più spesso interrogativi sul ruolo delle religioni nella costruzione della pace e della sicurezza. In questo dibattito l’apporto del cristianesimo non può mancare. I saggi proposti costituiscono un invito alla riflessione sui compiti che la comunità cristiana e la Chiesa dovrebbero adempiere, a vari livelli, rispetto non solo alla minaccia di conflitti armati, ma anche ai nocivi fenomeni culturali e politici o ai rischi di vario genere venuti alla luce in questo inizio del ventunesimo secolo.
Dinanzi a una condizione umana segnata dalla fragilità e dalla finitezza, si impone una riscoperta della cura come una forma originaria di reciprocità responsabile, che assomiglia alla figura etica dell'alleanza più che a quella mercantile del contratto. Interrogandosi intorno al rapporto tra cura e prossimità, il volume pone a confronto il paradigma della compassione e quello della competenza, che si distinguono per il diverso movimento di approssimazione proprio del curare: due forme complementari di interpretare la distanza tra l'io e l'altro, su quel difficile crinale della relazione in cui la prossimità si fa esigente e la relazione di cura domanda anche una cura della relazione.
Se il lavoro dei semiotici sulle teorie del complotto ha uno scopo, non è quello d'indicare, da un punto di vista supposto come neutrale, chi ha ragione e chi ha torto, chi ha creato una falsa teoria del complotto e chi svela un segreto pericoloso. Lo scopo della semiotica è, piuttosto, quello d'indicare le condizioni discorsive che favoriscono la proliferazione del pensiero complottista o anti complottista e, allo stesso tempo, quello di suggerire come riformulare il conflitto in un quadro discorsivo diverso, che non si limiti a creare retorica polemica ma getti le basi per l'azione sociale. Il problema delle teorie del complotto, infatti, da un punto di vista semiotico non risiede nella loro presunta fallacia logica o scientifica, ma nel fatto che esse sono un mezzo per esprimere una preoccupazione sociale che, altrimenti, resterebbe inespressa, vale a dire, l'angoscia verso la crescente decostruzione delle conoscenze nelle nuove arene digitali. Semiotici e altri studiosi sociali dovrebbero pertanto operare per la creazione di uno spazio collettivo in cui la confusione evidente dell'attuale comunicazione digitale possa essere reindirizzata verso soluzioni più convenienti.
Quando Agostino nelle Confessiones scrive “Quaestio mihi factus sum”, apre una grande questione, la possibilità che l’uomo non soltanto s’interroghi su di sé ma possa domandare di sé. Con la tradizione fenomenologica, ci chiediamo come la quaestio che l’uomo diventa a e per se stesso possa farsi fenomeno, rivelando chi l’uomo è al di là di ogni sua arbitraria e idolatrica oggettivazione, giungendo fino al ripensamento dell’umanesimo. Umanesimo che, lungi dall’essere espressione di un momento storico o espressione culturale di un uomo che già sa “che cosa” è, vuole piuttosto essere l’espressione culturale della medesima domanda a sé e di sé che l’uomo, indefinibilità inoggettivabile, pone.
Questo volume, edito in italiano e in francese, raccoglie una selezione di contributi presentati in occasione del convegno internazionale Seste Giornate dei Diritti Linguistici («Migrazioni. Tra disagio linguistico e patrimoni culturali») svoltosi nel novembre 2012 tra Teramo, Fano Adriano e Pescara. La grande e drammatica attualità del tema affrontato ha motivato un ricco ventaglio di punti di vista: sincronico, diacronico, locale, nazionale e internazionale. Ne risulta un repertorio di esperienze e strumenti necessari per meglio comprendere, ancor prima che affrontare, il fenomeno migratorio.
Il Pontificio Istituto Liturgico presenta il nuovo elenco delle tesi di licenza e di dottorato che sono state discusse dal 1961 al 2015. Il volume contiene l'elenco nominale degli autori e dei rispettivi titoli. Sono riportati anche i nomi dei professori moderatori e le aree di studio, che vogliono essere un pratico segno di approccio alla liturgia in base alle sue varie diramazioni e ai diversi oggetti di indagine. Inteso come nuovo strumento di catalogazione del fondo d'Archivio, il volume è il contributo che riprende le fila della storia della scienza liturgica e rende noto il lavoro svolto. In quanto catalogo delle tesi di licenza e dottorato, è lo strumento offerto agli alunni ed ex-alunni perché essi possano orientarsi nel lavoro svolto, considerare le possibilità di ricerca e intraprendere nuovi itinerari di studio e approfondimento della liturgia della Chiesa.