La "grande domanda" sul senso della vita di ogni uomo e di ogni donna, della storia umana e dell'universo intero è ineludibile e interseca quella sull'esistenza di Dio di fronte allo scandalo del male innocente. Siamo "assediati" dall'esigenza di rispondervi, «il che spiega - scrive Norberto Bobbio - la forza della religione». Lo hanno fatto grandi autori classici e contemporanei - da Pascal a Kant, da Kierkegaard a Wittgenstein - e queste pagine sono una più estesa articolazione delle loro riflessioni. Sulle "cose più alte" la scienza tace e la filosofia pone solo domande, senza risposte ultime. Siamo quindi costretti a scegliere tra l'assurdo e la speranza. È in questo preciso senso che siamo tutti fideisti.
«Proprio perché le grandi risposte non sono alla portata della nostra mente, l’uomo rimane un essere religioso, nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio che caratterizzano l’età moderna e ancor più quella contemporanea».
Norberto Bobbio
Intrecciando il pensiero di filosofi moderni e contemporanei – oltre a Bobbio, Pascal, Kierkegaard, Weber, Scheler, Florenskij, Wittgenstein, Pareyson… –, il testo si struttura attorno alla “grande domanda”, sul senso ultimo della vita di ogni essere umano
e dell’intero universo, che la filosofia pone senza essere in grado di dare risposte. È lo spazio del credere.
DARIO ANTISERI, già docente all’Università di Padova e alla LUISS di Roma, è tra i filosofi italiani più conosciuti e più tradotti all’estero. Nel catalogo Scholé ricordiamo: Come si ragiona in filosofia (2011); Dalla parte degli insegnanti (2013); Epistemologia ed ermeneutica. Il metodo della scienza dopo Popper e Gadamer (2017); L’anima greca e cristiana dell’Europa (2018). Con G. Reale: Il pensiero occidentale, in tre volumi (2013, tradotto in più lingue), e Cento anni di filosofia, in due tomi (2015).
John Stuart Mill: «Le obiezioni che vengono giustamente mosse all’educazione di Stato, non si applicano alla proposta che lo Stato renda obbligatoria l’istruzione, ma che si prenda carico di dirigerla; che è una questione del tutto diversa».
Antonio Rosmini: «I padri di famiglia hanno dalla natura e non dalla legge civile il diritto di scegliere per maestri ed educatori della loro prole quelle persone, nelle quali ripongono un maggior confidenza».
Gaetano Salvemini: «Io non credo che la scuola pubblica avrebbe molto da guadagnare dalla scomparsa della scuola privata. Questa può essere un utile campo di esperimenti pedagogici, rappresentare sempre un pungiglione ai fianchi della scuola pubblica, e obbligarla a perfezionarsi, senza tregua, se non vuole essere vinta e sopraffatta».
Antonio Gramsci: «Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato».
Don Luigi Sturzo: «Si parla tanto di libertà e di difesa della libertà; ma si è addirittura soffocati dallo spirito vincolistico di ogni attività associata dove mette mano lo Stato; dalla economia che precipita nel dirigi¬smo, alla politica che marcia verso la partitocrazia, alla scuola che è monopolizzata dallo Stato e di conseguenza burocratizzata».
Luigi Einaudi: «Senza concorrenza fra istituti statali e istituti privati, non v’ha sicurezza che l’insegnamento sia l’ottimo […]. Il monopolio statale dell’istruzione, con danno palese per la cosa pubblica, non dissimile dal danno recato da ogni altra specie di monopolio».
Don Lorenzo Milani: «Né preti né laici potranno mai fare nulla di perfettamente puro e sarà dunque meglio lasciare che si perfezionino quanto possono gli uni e gli altri possibilmente senza difficoltà economiche in libera e realmente pari concorrenza».
«Dovremmo tentare di occuparci di politica - afferma Popper - al di fuori della polarizzazione sinistra-destra». Ma, allora, che fare? «È un fatto, neppure molto strano - fa egli presente -, che non è particolarmente difficile mettersi d'accordo in una discussione sui mali più intollerabili della società e sulle riforme sociali più urgenti. Un tale accordo si può raggiungere molto più facilmente che non su particolari forme ideali di vita sociale. Quei mali, infatti, ci stanno di fronte qui ed ora. Si può averne esperienza, e li esperimentano ogni giorno molte persone immiserite e umiliate dalla povertà, dalla disoccupazione, dalle persecuzioni, dalla guerra e dalle malattie [...]. Possiamo imparare dando ascolto alle esigenze concrete, cercando pazientemente di valutarle nel modo più imparziale e considerando i modi per soddisfarle senza creare mali peggiori». Di conseguenza: «Non mirare a realizzare la felicità con mezzi politici. Tendi piuttosto ad eliminare le miserie concrete. O, in termini più pratici, lotta per l'eliminazione della povertà con mezzi diretti, assicurando che ciascuno abbia un reddito minimo. Oppure lotta contro le epidemie e le malattie erigendo ospedali e scuole di medicina. Combatti l'ignoranza al pari della criminalità [...]. Non permettere che i sogni di un mondo perfetto ti distolgano dalle rivendicazioni degli uomini che soffrono qui ed ora». Introdurre "ragione" e "ragionevolezza" nella teoria e nella pratica della politica: in questo è consistito l'impegno di Popper - impegno raramente compreso, e da più parti, come anche dimostra la recezione del suo pensiero in Italia: tra marxisti ostili, crociani diffidenti e cattolici indifferenti.
È stata la Grecia a passare all'Europa l'idea di razionalità come discussione critica. Per questo, se è nel giusto P.B. Shelley a dire che «noi tutti siamo greci», ha però altrettanto ragione B. Croce a sostenere che «non possiamo non dirci cristiani». L'Europa, infatti, come ha scritto S. de Madariaga, «È socratica nella sua mente e cristiana nella sua volontà». Di qui l'ammonimento di T.S. Eliot: «Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura; e allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie».
Credere in un Dio vuol dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto. Questa è una profonda riflessione di Ludwig Wittgestein. E la filosofia contemporanea è consistita proprio in una riconquista razionale della contingenza e con ciò in una ricostruzione di quello spazio della fede, dove può soltanto trovare una risposta soddisfacente l'irreprimibile domanda metafisica, quella "grande domanda" che nella sofferenza innocente mostra a tutti il suo nervo scoperto. Questi sono i temi affrontati da Dario Antiseri in questa sua opera.
Il manifesto teorico di uno dei più importanti filosofi italiani dimostra - a partire dal confronto tra il metodo popperiano per trial and error e il "circolo ermeneutico" di Gadamer e al di là delle contrapposizioni tra scienze naturali e scienze storico-sociali e tra epistemologia ed ermeneutica - come il metodo del sapere sia unico, fatto di problemi, ipotesi e critica. La postfazione di Giuseppe Franco ricostruisce lo scenario e i protagonisti di una riflessione centrale nella cultura contemporanea. «Esiste, dunque, un solo metodo nella ricerca scientifica, diverse sono piuttosto le metodiche, cioè le tecniche di prova. Ricerca scientifica non significa, e non può significare, altro che tentativi di soluzione di problemi. E a tal fine sono necessarie menti creative di ipotesi - ipotesi che vanno sottoposte ai più severi e rigorosi controlli sulle loro conseguenze [...]. Ma ciò nella consapevolezza che anche la teoria meglio consolidata resta sempre sotto assedio». Dario Antiseri, uno dei più conosciuti filosofi italiani contemporanei, nel 2002 è stato insignito, insieme a Giovanni Reale, di una laurea honoris causa presso l'Università Statale di Mosca. Per ELS La Scuola sono apparsi: Come si ragiona in filosofia (2011); Dalla parte degli insegnanti (2013). Con G. Reale: Il pensiero occidentale, in tre volumi (2013) e Cento anni di filosofia, in due tomi (2015).
La Grecia ha passato all'Europa l'idea di razionalità come discussione critica -e di conseguenza, per dirla con P.S. Shelley "noi tutti siamo Greci". Ma non fu la Grecia a passare all'Europa i suoi dei. Il Dio delle popolazioni europee è il Dio della Bibbia e del Vangelo, è il Dio che relativizza il potere politico e, insieme, desacralizza, "mortifica" la natura rendendola disponibile - non essendo più sacra e quindi intoccabile - alla manipolazione e all'indagine scientifica in una misura prima impensabile. La laicità dello Stato, laico perché non più assoluto; e la secolarizzazione, con una natura non più sacra e una Terra abitata da uomini fallibili: sono due realtà strettamente connesse al messaggio della Bibbia e del Vangelo. Per questo non si può dare torto a Th. S. Eliot quando afferma che "se il Cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie".
Karl R. Popper: "Per 'liberale' non intendo una persona che simpatizza per un qualche partito politico, ma semplicemente un uomo che dà importanza alla libertà individuale ed è consapevole dei pericoli inerenti a tutte le forme di potere e di autorità". Ludwig von Mises: "Non appena la libertà economica che l'economia di mercato concede ai suoi membri è rimossa, tutte le libertà politiche e le carte dei diritti diventano inganno. Habeas corpus e processi davanti al magistrato sono una vergogna se, sotto il pretesto dell'opportunità economica, l'autorità ha il potere di relegare ogni cittadino indesiderato sull'Artico o in un deserto o di assoggettarlo ai 'lavori forzati' a vita. La libertà di stampa è un puro inganno se l'autorità controlla tutti gli uffici stampa e tutte le cartiere. E così è per tutti gli altri diritti dell'uomo". Friedrich A.von Hayek: "Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo esclusivo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati più alti e quali più bassi; in breve ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbono affannarsi [...] Chi controlla tutti i mezzi stabilisce tutti i fini". Hans Kelsen: "Il problema della democrazia non è quello del governo più efficiente; altre forme possono ben esserlo di più."
Senza parità economica, la parità giuridica tra scuole statali e scuole private è solo un ulteriore inganno carico di nefaste conseguenze. Ma questa, purtroppo, è la situazione in cui versa il nostro sistema formativo, privo di quella "macchina di scoperta del nuovo, da cui scegliere il meglio" che consiste nella competizione tra scuola e scuola. Conseguentemente, la proposta del buono-scuola non rappresenta forse la giusta terapia per le difficoltà che attanagliano sia la scuola statale che quella paritaria? E poi: non è giusto e soprattutto non è libero un Paese dove una famiglia che iscrive un figlio ad una scuola paritaria debba pagare per questa sua scelta di libertà. Insomma: uno Stato che costringe a comprare pezzi di libertà può dirsi ancora Stato di diritto? Ebbene, a queste domande e ad altri interrogativi con esse interconnessi si cerca di rispondere con le considerazioni di questo breve saggio, la cui tesi di fondo è che la scuola statale è un bene grande e prezioso e che, per questo, va protetto e salvato: salvato dallo statalismo.