Hanno inventato il 'beat', sono stati, assieme a Bob Dylan, i padri del rock, hanno scritto alcune delle canzoni più belle e famose del secolo scorso, hanno contribuito a rendere 'visibili' i giovani, hanno stabilito nuove regole d'abbigliamento e di vita, hanno fatto crescere i capelli a un'intera generazione, hanno cambiato alcune regole della nostra vita e molto, molto altro ancora. Il tutto con una dozzina di album, tutti passati alla storia, e in meno di dieci anni, tra il 1962 e il 1970. Un decennio rivoluzionario sotto molti punti di vista, così com'erano rivoluzionari i Beatles. Rivoluzionari erano il loro modo di stare in scena, il loro abbigliamento, i loro atteggiamenti privati e pubblici, la loro ricerca sonora, il modo di comporre, di usare lo studio di registrazione, di proporsi in pubblico, di sparire dalle scene, e la lista potrebbe continuare a lungo. La musica pop, tutta la musica pop, ha un enorme debito verso i Beatles. Non soltanto le band e gli autori che hanno deliberatamente preso spunto dalla loro lezione, ma anche chi, per contrasto, l'ha rifiutata, perché entrambi, i 'favorevoli' e i 'contrari', hanno dovuto fare i conti con gli straordinari cambiamenti, le radicali innovazioni, le incredibili invenzioni dei quattro di Liverpool. Innovazioni che hanno cambiato in maniera radicale il volto della musica popolare, l'hanno trasformata, aperta, liberata, portandola a essere arte.
In centodiciotto capitoli un percorso guidato nel Novecento americano. Una grande storia che va dal blues al nu-metal, passando per tutto, ma proprio tutto quello che riguarda ogni artista e ogni tendenza Usa davvero importante. Dentro la crescita di un Paese che, nel bene e nel male, è diventato il modello per gli altri. Una bussola per orientarsi nella musica di ieri, oggi e domani, e per capire la natura profonda dell'America.
"Un biglietto d'entrata nella memoria costa solo 13 dollari. Basta trovarsi nei pressi della cittadina di Bethel, un'ora di macchina a nord di New York, e sarete attirati da cartelli che indicano una direzione e un nome che dopo quarant'anni manda ancora inaspettate scariche elettriche: Woodstock. Anzi per l'esattezza: Woodstock Museum. Una cosa del genere poteva accadere solo in America. A chi altri poteva venire in mente di costruire un museo dedicato a un concerto? Un concerto ... Un oggetto immateriale, intangibile, esistito solo nel flusso spazio-temporale di tre giorni. Come è possibile? E, soprattutto, cosa è stato davvero Woodstock? Di sicuro molto di più che un semplice festival di musica. Diciamo una singolarità della storia, un monumento costruito in tempo reale a una rivoluzione che si stava sbriciolando nello spazio di un sogno, e quindi necessariamente un'opera immateriale, di cui non sarebbe rimasta nessuna traccia fisica, un'idea, un concetto. È stata una singolarità? Ovvero un evento estremo, nel quale le normali leggi dello spazio-tempo subiscono alterazioni uniche? O più semplicemente il climax, l'inevitabile orgasmo di un'eccitazione generazionale durata qualche anno?"