Gli animali procreano, ma solo gli uomini e le donne costruiscono una famiglia, divenendo padri e madri, generando figli e figlie, che si riconoscono come fratelli e sorelle. Di qui il carattere prioritario che possiede l'identità sessuale per l'identificazione della persona umana; di qui l'enigmaticità della sessualità umana, che ha in se stessa una sorta di eccedenza, che la proietta al di là della sua mera funzione biologico-riproduttiva; un'eccedenza che spiega il suo poliedrico manifestarsi, che può andare dalle forme più crudeli di violenza a quelle più eccelse di estaticità. È per esigenze ontologiche, quindi, e non meramente storiche, sociologiche o culturali, che il diritto ha sempre identificato la persona umana a partire dalla sua sessualità e sulla sessualità specificamente umana ha fondato il matrimonio come vincolo giuridico eterosessuale, finalizzato alla generatività. Nel mondo contemporaneo, che non vuole più riconoscere il primato giuridico dei vincoli generativi su quelli aggregativi, la sessualità umana sembra destinata a perdere progressivamente ogni rilievo istituzionale: è per rendere consapevoli i giuristi di questa nuova e straordinaria situazione che sono state pensate le pagine che compongono questo libro.
L'autore di questo libro non condivide l'illusione, oggi così diffusa, secondo la quale è sufficiente stabilire alcuni supremi e ragionevoli principi (democrazia, autonomia, non maleficenza, equità, ecc.) per costruire sul loro fondamento una bioetica ed una biopolitica compatte e coerenti. Non c'è dubbio che sia la bioetica che soprattutto la biopolitica abbiano una loro logica e debbano essere argomentate con ragionamenti rigorosi; ma sia l'una che l'altra soprattutto hanno un cuore, che, come ogni cuore, è nascosto e richiede un notevole impegno per essere percepito, un cuore che coincide con la vita stessa, che è nel medesimo tempo l'orizzonte della nostra esperienza e l'orizzonte della nostra percezione del bene. Da una riflessione sul bios, nella quale ontologia e assiologia si fondano e si confondano, deriva l'unica possibilità di scrivere parole di bioetica e di biopolitica non votate alla tristezza, ma provviste di senso e soprattutto aperte alla speranza, come quelle che sono affidate a questo libro.
"Tra i versi di Vermächtnis, cioè "lascito", con cui intendeva riassumere conclusivamente il messaggio del suo ultimo romanzo, Goethe pone un'indicazione densissima, cui ho sempre cercato di restare fedele: Das alte Wahre, faß es an! Una traduzione italiana di questo verso potrebbe essere: metti a frutto l'antico vero! E un'indicazione preziosa: abbiamo tutti il dovere, prima ancora di andare narcisisticamente alla ricerca di nuove verità, di assimilare fino in fondo quelle che esistono da sempre, che ci sono state pazientemente insegnate e che siamo chiamati a nostra volta a trasmettere a chi verrà dopo di noi. Questo è esattamente ciò che ho cercato di fare scrivendo questo libro, nella consapevolezza che quel "vero" cui allude Goethe è certamente antico, ma altrettanto certamente (e misteriosamente) sempre nuovo".
"Fino ad alcuni decenni fa, la distinzione tra filosofia del diritto e teoria generale del diritto sembrava consolidata: la prima era ritenuta disciplina filosofica, la seconda disciplina giuridica; la prima disciplina affascinante, ma (almeno per alcuni) inessenziale per la pratica giuridica, la seconda disciplina più arida, ma (almeno per alcuni) utile e significativa per il lavoro del giurista; la prima disciplina orientata ai valori e pertanto ideologica, dai contorni indefinibili e in larga misura arbitrari, la seconda una disciplina orientata ai fatti, alla concretezza del diritto positivo e grazie a questo solido riferimento dotata di una rigorosa identità. Alcuni ancora sostenevano che la filosofia del diritto fosse opportunamente definibile alla stregua di una teoria del diritto fatta da filosofi e la teoria generale del diritto come una filosofia del diritto fatta da giuristi. È ben difficile, oggi, continuare ad elaborare simili dicotomie. La rigidità delle demarcazioni accademiche sembra aver perduto ogni senso. Chi è ottimista parla con soddisfazione della fusione di orizzonti che caratterizza il postmoderno; chi è pessimista ha invece buon gioco nel profetizzare un ulteriore decadimento qualitativo del sapere giuridico del nostro tempo. Chi vuole, invece, andare alle cose stesse non potrà alla fine che arrivare ad una sola conclusione e cioè che quella dimensione del sapere che ha per oggetto il diritto, e cioè il sapere giuridico, non tollera etichettature aprioristiche."
Gli scritti raccolti in questo volume hanno in comune il fatto di trovare il loro baricentro in parole chiave, a partire dalle quali una riflessione bioetica può trovare un suo spazio. Nella maggior parte dei casi si tratta di parole che non sembrano appartenere al lessico bioetico consolidato, nell'intento di superare l'assunzione, diffusa tra i bioeticisti, di assumere principi teorici dai quali trarre deduttivisticamente conseguenze argomentative tanto eleganti sul piano dialettico, quanto irreali su quello dell'esperienza.