Alcesti, la più antica delle tragedie euripidee a noi pervenute (e l'unica a "lieto fine"), rappresenta la folle sfida alla morte in nome dell'amore di una donna, Alcesti, appunto. Il suo sacrificio esprime la speranza dell'immortalità, la fiducia che gli dei possano volgere il loro sguardo sugli uomini e offrire loro la salvezza. Eraclidi vede invece come protagonisti i discendenti di Eracle (già presente come personaggio in Alcesti), perseguitati da Euristeo. Sconfitto e imprigionato, costui si riscatta alla fine con un discorso ricco di pathos che ribalta completamente il giudizio espresso sui personaggi nel corso del dramma, mettendo in guardia da ogni facile idealizzazione e da giudizi definitivi. Una conclusione inquietante, di folgorante modernità.
Medea ordisce una vendetta tremenda contro il marito che l'ha abbandonata, uccidendo i propri figli e negandogli così l'autorità paterna istituzionalmente riconosciuta. Il genio di Euripide ci presenta un'eroina tragica totalmente nuova per la cultura greca del tempo, una donna appassionata e lucida, in cui l'impulso emotivo si unisce a un estremo controllo intellettuale.
Medea è una delle tragedie greche più famose e rappresentate. Il dramma di un amore assoluto che si trasforma, per il tradimento di Giasone, in feroce odio e desiderio di vendetta. Una vendetta che coinvolgerà anche i figli che Medea ha avuto da Giasone. Anche la "barbara" Medea però è una vittima: sa bene infatti che facendo l'infelicità di Giasone farà soprattutto la sua infelicità. Il volume è introdotto dal maggiore esperto statunitense di Euripide: B. M. W. Knox.
Macerie fumanti, cadaveri sanguinolenti, pianti e grida di dolore: Troia in fiamme come emblema della caduta di un regno, come luogo archetipico della distruzione e del saccheggio. A partire dal materiale mitico della tradizione arcaica, la drammaturgia di Euripide presenta al pubblico lo spettacolo dei crimini di guerra e la deriva di una popolazione devastata. L'orrore è focalizzato nella prospettiva delle vittime, dei corpi umiliati e spogliati delle loro identità, delle soggettività ridotte a voci sofferenti quanto inermi. Attraverso una complessa costruzione di genere, il destino dei vinti si articola in un defilé di figure femminili che rappresentano altrettanti ruoli e altrettante esperienze travolte dalla spirale della violenza. Ecuba, Andromaca, Cassandra: una regina privata del trono, una vedova cui viene ucciso l'unico figlio, una figlia ritenuta da tutti una povera pazza. Su tutte incombe il trauma della perdita e dello sradicamento: la partenza verso un altrove che significa schiavitù e miseria.
Figura demoniaca di maga barbara e crudele, Medea è uno dei personaggi più noti, estremi e coinvolgenti del teatro antico. Lucida e determinata nel compiere una vendetta atroce, l'assassinio dei figli, che la colpirà con violenza devastante, Medea appare perfettamente consapevole delle conseguenze del suo gesto estremo. Ma alla tensione emotiva ("capisco quali dolori dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione") si unisce un'assoluta autonomia intellettuale, fino ad allora sconosciuta in una donna nel mondo greco. Nella sua introduzione Vincenzo Di Benedetto mette in luce la modernità di questa tragedia e spiega la dura polemica dell'autore contro la società ateniese di quegli anni.
Ad accomunare queste due tragedie, intimamente connesse ai contemporanei avvenimenti della guerra del Peloponneso, sono l'impegno politico e l'esaltazione patriottica di Atene, la cui fama immortale rivive nell'evocazione di personaggi mitici e luoghi significativi, come Maratona, Platea ed Eleusi. Gli "Eraclidi" (430 a.C.) si concentrano sul conflitto tra diritto e umanità, violenza e disumanità, ben rappresentato dal personaggio di Alcmena, allo stesso tempo perseguitata e persecutrice. Nelle "Supplici" (424 a.C.) riecheggiano i dibattiti e le esperienze della cultura e della politica del tempo di Pericle, cui dà voce nella tragedia il personaggio di Teseo, interprete delle istanze tradizionaliste e umanitarie di Euripide.
Medea ordisce una vendetta tremenda contro il marito che l'ha abbandonata, uccidendo i propri figli e negandogli così l'autorità paterna istituzionalmente riconosciuta. Il genio di Euripide ci presenta un'eroina tragica totalmente nuova per la cultura greca del tempo, una donna appassionata e lucida, in cui l'impulso emotivo si unisce a un estremo controllo intellettuale.
Alternando i colori cupi della tragedia a quelli brillanti di una commedia ironica, lo "Ione" mette in scena l'incontro della principessa ateniese Creusa con il figlio adolescente, da lei abbandonato alla nascita per tenere segreto lo stupro di cui è stata vittima. Autore della violenza è Apollo, dio della verità oracolare, che ha salvato il bambino e lo ha fatto crescere nel suo santuario di Delfi. Nell'intreccio si susseguono equivoci, rivelazioni, un avvelenamento e una condanna a morte sventati in extremis. Il riconoscimento tra madre e figlio, voluto dalla provvidenza divina ma favorito dal caso, garantisce alla fine, non senza ombre, la felicità dei protagonisti. L'introduzione e il commento evidenziano, nell'originale disegno di questa moderna tragedia "a lieto fine", i modi in cui la drammaturgia di Euripide dissacra il mito di fondazione di Atene e della stirpe ionica.
Con "Ifigenia in Taurine" Euripide porta il caos sulla scena sostituendolo all'ordine cosmico: gli equilibri sono rivoluzionati, le gerarchie sovvertite fino al ricatto posto da un uomo a un dio, i grandi scopi, le forti tensioni morali perdono consistenza e si degradano, diventano obiettivi circoscritti, personali, intrisi di egoismo. Goethe giudicò "Baccanti" la più bella delle opere di Euripide: ambigua e ricca di molteplici interpretazioni, è la tragedia della debolezza umana di fronte agli spietati e imperscrutabili disegni della divinità, il dramma della ragione che tenta di opporsi all'estasi dionisiaca, alla sua promessa di far svanire le sofferenze della vita.
Due tragedie "forti", in cui la presenza degli dèi ha ormai solo una funzione di immagine-simbolo di valori immanenti nella vita dell'uomo, come la forza dell'eros e l'ideale della purezza. La protagonista di "Ippolito", Fedra, e ancor più Medea sono tra i personaggi più drammatici del teatro d'ogni tempo: la tragedia è tutta interiore, il conflitto è dentro l'animo delle due straordinarie figure femminili, nello scontro tra le ragioni del cuore e della passione e la lucidità delle risoluzioni estreme portate a compimento.
Ripensare alle Baccanti significa ripensare alla cultura dell'antica Grecia. Ma quale cultura? Quella della filosofia e della letteratura o quella della gente incolta? Euripide, intellettuale raffinato, rifiuta una visione elitaria del sapere, e crea una tragedia straordinaria, con risvolti profondamente conflittuali rispetto alla tradizione. C'è un dio, Dioniso, che inganna e vince ma senza esiti trionfalistici; c'è un antagonista, Penteo, che viene beffato e fatto a pezzi dalla sua stessa madre: impulsi selvaggi, spettacolarità esasperata, e però anche pietà e sofferenza. L'edizione, curata da Vincenzo Di Benedetto, propone un commento sistematico, che si accompagna a un riesame critico del testo originale e a un'analisi dei moduli scenici.
Scritta nel momento del tramonto politico di Atene, "Le Baccanti" sono considerate uno dei capolavori del teatro mondiale. Al centro del dramma di Euripide (480 - 406 a.C.) c'è il creatore stesso della tragedia, Dioniso. Ma la divinità che compare sulla scena non è il civilizzato signore del vino e dei banchetti, con cui il popolo ateniese è abituato a convivere; recuperando gli aspetti più selvaggi del suo culto, Euripide ne fa sostanzialmente un sovvertitore.