Nell'Italia del Cinquecento, divisa tra lo splendore delle corti e delle arti e la tragedia delle guerre e delle pestilenze, nuove dottrine religiose diffondono gli umori inquietanti del dubbio e della ribellione, insieme con le speranze di un profondo rinnovamento. Il fervore del dissenso e della libera critica percorre strati sociali di ogni condizione, tocca il vertice e la base ecclesiale della cattolicità, investendo tanto le dottrine teologiche quanto le pratiche religiose quotidiane. Massimo Firpo delinea una densa sintesi della diffusione in Italia di dottrine eterodosse scaturite dalla Riforma protestante ma con tratti di peculiare originalità. Pressoché cancellate dalla repressione controriformistica, esse furono tuttavia capaci di alimentare importanti filoni del radicalismo religioso europeo.
Questo libro affronta per la prima volta la storia complessiva del "Beneficio di Cristo", unanimemente considerato il testo capitale della Riforma italiana, menzionato in moltissimi processi per eresia dal Veneto alla Sicilia e oggetto di una caccia spietata da parte del Sant'Ufficio romano, al punto che solo a metà Ottocento si scoprì l'unica copia superstite della prima edizione. Oltre a coglierne le molteplici assonanze con numerosi filoni eterodossi della cultura europea del primo Cinquecento, la ricerca contestualizza la redazione e ricezione del testo in un ampio quadro politico europeo, tra speranze di riforma della Chiesa, illusioni di pacificazione religiosa e di accordo con i protestanti, continui conflitti tra papa Paolo III Farnese e l'imperatore Carlo V. Lo studio di Firpo e Alonge affronta, sulla base di una documentazione nuova, il controverso problema di chi fu l'autore di quelle pagine e ne colloca la redazione sul crinale di eventi decisivi della storia religiosa e politica degli anni che fecero da sfondo alle prime convocazioni del concilio di Trento. Ne emergono i caratteri peculiari dell'eresia italiana, la sua originalità e le sue contraddizioni, nonché gli aspri conflitti che divisero i vertici della Chiesa su come affrontare la drammatica crisi scaturita dalla protesta di Lutero e sulle sue diramazioni anche al di qua delle Alpi.
Dalla polemica contro le credenze, le pratiche devozionali e i culti superstiziosi al rifiuto radicale di ogni iconografia religiosa, fino ai fenomeni di iconoclastia che ne scaturirono anche al di qua delle Alpi. Dall'uso di immagini come strumenti di lotta antipapale, propaganda e proselitismo ai casi di pittori processati dall'Inquisizione. Sono molti i temi presi in considerazione in questo libro. Ma l'attenzione è soprattutto puntata su opere e artisti variamente segnati da matrici e sensibilità difformi dall'ortodossia cattolica, di volta in volta inseriti negli specifici contesti politici e religiosi di città come Napoli, Firenze, Roma, Venezia, Ferrara, Mantova, durante i decisivi decenni tra il sacco di Roma del 1527 e la conclusione del concilio di Trento nel 1563. Ne emerge una trama di immagini capaci di sottrarsi ai vincoli della tradizione iconografica, della committenza, della sorveglianza inquisitoriale per esprimere orientamenti dottrinali, inquietudini religiose, speranze di rinnovamento, appartenenze identitarie non più compatibili con l'ortodossia cattolica. A esserne coinvolti furono pittori e scultori minori e minimi, così come grandi maestri del tardo Rinascimento, da Lorenzo Lotto a Iacopo Pontormo, da Sebastiano del Piombo a Baccio Bandinelli, fino ai sommi Michelangelo e Tiziano. Il che contribuisce a spiegare perché la questione del controllo delle immagini diventasse cruciale per i padri tridentini e la Chiesa della Controriforma.
Nel corso del XVI secolo le dottrine scaturite dalla protesta di Lutero si diffusero largamente anche in Italia, assumendo connotazioni peculiari e intrecciandosi con altri movimenti religiosi e specifiche eredità culturali. Massimo Firpo ne ricostruisce le origini e la storia mettendo in luce il ruolo decisivo esercitato dall'esule spagnolo Juan de Valdés negli anni che fecero da sfondo al concilio di Trento. Irriducibile alla Riforma protestante, il suo magistero spiritualistico seppe infatti orientare inquietudini e istanze di rinnovamento diffuse tanto a livello popolare quanto ai vertici delle gerarchie sociali, tra letterati e aristocratici, vescovi e cardinali.
I primi anni Cinquanta del Cinquecento vedono uno scontro durissimo tra il Sant'Ufficio e papa Giulio III, sempre più in conflitto con gli inquisitori che di fatto non riconoscono la sua autorità, ma troppo debole e screditato per proporre una linea alternativa. La battaglia si apre con il lungo e drammatico conclave del 1549-50, quando Gian Pietro Carafa (il futuro Paolo IV) non esita a formulare esplicite accuse di eresia contro alcuni dei più autorevoli esponenti del sacro collegio. Forte del suo ruolo istituzionale di supremo difensore della fede, il Sant'Ufficio riesce a imporre il primato dell'ortodossia teologica su ogni altra considerazione di natura politica e pastorale, ergendosi cosi al rango di supremo tutore e garante della Chiesa e del suo magistero. A dispetto degli ordini del pontefice, l'Inquisizione continua ad accumulare prove e documenti processuali per eliminare i propri avversari anche avvalendosi delle denunce di persone screditate o di documenti falsi. Massimo Firpo tratteggia un quadro inatteso delle origini della Controriforma, colte negli aspri conflitti ai vertici della Chiesa di Roma, con esiti destinati a lasciare un segno profondo e duraturo sulla sua identità storica, teologica e pastorale.
Nell'Italia del Cinquecento, divisa tra lo splendore delle corti e delle arti e la tragedia delle guerre e delle pestilenze, nuove dottrine religiose diffondono gli umori inquietanti del dubbio e della ribellione, insieme con le speranze di un profondo rinnovamento. Il fervore del dissenso e della libera critica percorre strati sociali d'ogni condizione, tocca il vertice e la base ecclesiale della cattolicità, investendo tanto le dottrine teologiche quanto le pratiche religiose quotidiane.
In breve
Inaugurata nel 1517 dalle 95 tesi di Lutero, la Riforma protestante segna la crisi più grave mai fronteggiata dalla Chiesa. L’atroce sacco di Roma del 1527 è un evento epocale denso di suggestioni profetiche ed escatologiche, che costringe la sede apostolica a imboccare strade nuove sia per arginare le dilaganti eresie sia per avviare una politica di riforme che contrasti il profondo discredito in cui l’istituzione ecclesiastica è precipitata. È allora che si apre la lunga e tormentata stagione del Tridentino che nell’arco di quarant’anni, e non senza aspri conflitti interni, approderà infine agli esiti controriformisti e al trionfo dell’Inquisizione. Metafora della Chiesa, della sua missione salvifica ma anche della bufera di quegli anni è la Navicula Petri, la barca di Pietro che Cristo aveva salvato dalla tempesta. Specchio di questa complessa parabola storica, le opere d’arte commissionate dai pontefici di quei decenni – dipinti, sculture, medaglie ma anche strumenti liturgici e monumenti funebri – offrono un’affascinante testimonianza visiva del modo in cui cambia la percezione che la Chiesa ha di se stessa. Via via adattate al variare delle circostanze, dei modelli culturali e dei rapporti di forza, le rappresentazioni del potere non sono soltanto immobili icone destinate a celebrare i fasti della memoria, ma anche strumenti del suo esercizio, veicoli di messaggi ideologici di grande impatto. Dalla sala di Costantino al Giudizio sistino, agli affreschi di Michelangelo nella cappella Paolina, dalla decorazione di Castel Sant’Angelo a quelle di palazzo Farnese e della Cancelleria, da villa Giulia al casino di Pio IV, il volume indaga l’identità storica e religiosa del papato romano in un’età di trasformazioni profonde, fino al pontificato di Pio V.
Indice
Premessa - Sigle e abbreviazioni - I. Clemente VII e il sacco di Roma - II. Il papato farnesiano - III. Verso una nuova identità della Chiesa: da Giulio III a Paolo IV - IV. Gli anni della svolta tra concilio e Inquisizione - Indice dei nomi
Questo libro ricostruisce la biografia di Vittore Soranzo, vescovo ed eretico, secondo un classico modello narrativo, di cui la ricerca storica ha riscoperto il valore quale strumento fondamentale per superare la rigidità delle categorie periodizzanti, dei quadri politici e sociali, delle strutture istituzionali, e cogliere la creatività degli individui nell'affrontare le sfide del loro tempo, nel decidere e nell'agire per sé e per gli altri, nel muoversi sui crinali fra coerenza e compromesso, tra convinzione e responsabilità. In questa prospettiva si è cercato di disegnare il percorso tutt'altro che scontato di quel patrizio veneziano, forse di non eccezionale statura intellettuale ma certo dotato di non comune coraggio e fermezza, attraverso la cultura, i conflitti e le grandi scelte che la sua generazione fu chiamata a vivere sullo sfondo delle guerre d'Italia, del fulgido autunno rinascimentale, delle grandi fratture religiose che precedettero e accompagnarono il Tridentino, della crisi profonda che investì allora la Chiesa di Roma con la protesta di Lutero e il dilagare della Riforma in tutta Europa.
"Non nuovo a fruttuose incursioni nel terreno della storia dell'arte, Massimo Firpo ha scritto con grande rigore storiografico, ma anche con la sapienza narrativa di chi sa trarre il massimo profitto dal montaggio di colorite citazioni d'epoca, un'appassionata indagine sulla controversa questione dell'ortodossia di Lotto, che getta nuova luce sul problema." (Antonio Pinelli). "Il libro di Firpo è una gemma che documenta preziosamente l'intricata ricchezza della vita religiosa italiana del Cinquecento." (Sergio Luzzatto). Massimo Firpo insegna Storia moderna nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino.