Un intreccio giallistico racchiude i classici elementi della narrativa di Gioanola: il lavoro della memoria e l'introspezione psicologica, il ritmo del racconto e l'atmosfera dei luoghi
Il narratore della storia è un professore e scrittore tornato a vivere, da pensionato, al paese natale, dove si trova ad affrontare una situazione che lo ripiomba in un passato creduto per sempre sepolto. Una mattina d’ottobre lo risveglia la scampanellata di un vecchio compagno dell’adolescenza, che ha stentato a riconoscere dopo cinquant’anni di oblio. E’ “Gregorio il gregario”, così soprannominato per la passione ciclistica, al tempo di antichi giri d’Italia comicamente commentati da un irresistibile Ugo Tognazzi. Gregorio, che di nome fa Evasio come il santo protettore di Casale Monferrato, gli annuncia la morte improvvisa del suo amico, "capitano" e padrone Umberto De Ambrosis. I due per mezzo secolo hanno vissuto insieme come eremiti sulla collina del Castello, in una solitudine assoluta, chiusi come in un’isola sottratta al tempo in quella dimora un po’ misteriosa, che sta nel bel mezzo del paese ma è circondata da un’ampia campagna. Il professore si stupisce che ci si rivolga proprio a lui, dopo tanta reciproca dimenticanza, ma Evasio dice che questa è la volontà del morto, affidata a una lettera che consegna allo stupefatto pensionato. In realtà lui e Umberto sono stati amicissimi in gioventù, poi le loro strade si erano divise, uno dedito agli studi letterari e alla famiglia, l’altro sempre più chiuso in un suo rigorismo religioso che lo ha portato a vivere come una specie di monaco laico, fino a perdere la nozione del reale e a confinarsi in una quieta follia. Di tale esaltazione mentale è parte integrante la passione per la bicicletta e per Fausto Coppi, per il quale ha edificato un vero e proprio santuario nel suo castello, dove ha vissuto, sino al decesso, con l’amico e subalterno Gregorio.
Trattandosi di una morte improvvisa, vengono interessate le autorità preposte, tanto più che c’è stata nottetempo l’effrazione di una finestra del Castello. Il morto, inopinatamente, ha nominato l’antico amico, diventato poi per lui una specie di nemico immaginario, suo esecutore testamentario e, in questa veste, egli si incarica di tutte le incombenze del caso, ma si fa anche carico delle ricerche intorno a quella morte misteriosa. Da qualche tempo al Castello, dove nessuno ha mai messo piede, si è materializzata una presenza diabolica, in figura di una donna-fattucchiera che ha stregato e sedotto Evasio: Umberto ha intuito l’accaduto e lo ha vissuto come un atto di profanazione e sconsacrazione. Di qui alla sua morte è un passo, ma come davvero siano andate le cose il racconto lo rivela solo alla fine.
Il romanzo coniuga memoria e meditazione esistenziale, passioni e astratti furori giovanili, riflessioni sul religioso e nostalgie per luoghi e incontri di un lontano passato, tutto però affidato ad un vivace ritmo narrativo e alle risorse di un intreccio che tiene desta la curiosità fino alla conclusione della vicenda.
Il rapporto tra uno scrittore e suoi testi in un mirabile esempio di "saggistica narrativa"
Guardando alla ormai vasta e fortunata produzione di saggistica letteraria di Elio Gioanola, questo volume andrà a collocarsi come anta di un dittico dedicato ai due maggiori autori del primo Novecento, di cui la prima anta è Pirandello’s Story, pubblicato nel 2007. Il presupposto di questo dittico è la convinzione del rapporto organico tra uno scrittore e i suoi testi, perché vita e opere formano un inscindibile complesso significante. Questo libro ha come sottotitolo la frase dell’autore: «io non sono colui che visse, ma colui che descrissi», mentre il sottotitolo del libro pirandelliano era la frase: «la vita o si vive o si scrive». Sembrano espressioni a prima vista uguali, ma non è così: mentre Pirandello stabilisce un rapporto di esclusione, per cui la scrittura prende il posto della vita, Svevo propone una distinzione: da una parte l’esistenza di tutti i giorni, banale e ben regolata, dall’altra il fantasmatico operante nell’opera, che dichiara il vero io dello scrittore, il più profondo e autentico. L’esplorazione dell’universo sveviano è condotta con gli strumenti combinati della biografia del vissuto, dell’approfondimento critico e delle connessioni narrative (non inventate, ma sempre a base documentaria). A differenza di Pirandello, lo scrittore triestino è molto autobiografico, tanto che i tre romanzi, e la continuazione del quarto non compiuto, riflettono esattamente le tappe della vita dell’autore, adolescenza e giovinezza, maturità e vecchiaia. I venti capitoletti del libro, aperti dal racconto della morte dell’autore per un incidente automobilistico, toccano con agile sintesi i nodi essenziali delle vicende di una scrittura che obbedisce, senza censure e abbellimenti estetici, al dettato dei fantasmi profondi, delineando i tratti più autentici dell’individuo contemporaneo. La grande modernità di Svevo è garantita dall’intuizione di James Joyce, nel singolare incrocio dei destini dei due scrittori, che si sono conosciuti a Trieste, frequentati per anni, fino alla consacrazione della Coscienza di Zeno come capolavoro assoluto dovuta all’autore dell’Ulixes.
La figura del brigante occupa da sempre l'immaginario popolare e ha dato vita a una sterminata letteratura. Nelle zone dell'Alessandrino e del Monferrato si è imposto, in questo particolare genere, un personaggio come Maino della Spinetta, un brigante nativo dell'enclave detta "mandrogno", compresa tra i fiumi Tanaro, Bormida, Scrivia e Orba. Qui, dice un proverbio nostrano, si seminano fagioli e nascono briganti. Quando arrivano in Piemonte i francesi di Napoleone la naturale inclinazione delle popolazioni locali all'aggiramento delle leggi si colora di accesi spiriti antifrancesi e antinapoleonici. È in questo giro di anni che il giovane Maino avvia la sua attività brigantesca diventando, nel giro di un triennio, l'emblema del brigante senza macchia e senza paura. Anche il grande Stendhal manifesta la sua ammirazione per quell'eroe popolare, capace di tenere in scacco per anni le forze dell'ordine. Prima che quella leggenda vada del tutto perduta, insieme al mondo che l'ha custodita e alimentata, l'autore ha pensato bene di raccoglierla, mettendola a confronto con tutti i documenti a disposizione e ricavandone un racconto ancora capace di molta suggestione.
Il libro propone un'avventura narrativa nell'universo pirandelliano. Si dice che uno scrittore è i suoi testi, ma è anche vero che nei testi c'è tutta la persona che scrive, e che vita e opere compongono uno stretto complesso. A metà quindi tra la biografia e l'interpretazione dei testi, la ricostruzione dell'opera di uno scrittore che ha ripetuto più volte che "La vita o si vive o si scrive".
La morte per un colpo di pistola di un noto primario, nello studio di un Dipartimento universitario di psichiatria, porta all'arresto di un collega della vittima, che da sempre gli è stato oppositore. L'arrestato, infatti, incarna un'idea della malattia mentale e della sua cura opposta a quella dell'ucciso, sostenitore convinto della farmacopsichiatria. Rinchiuso nel supercarcere di S. Gabriele, il mite prof. Apfelbaum, innocente, incastrato in quella vicenda per una serie di circostanze sfavorevoli, si arrovella su chi mai possa essere il colpevole di quell'uccisione, ma non riesce a venirne a capo, malgrado tutte le ipotesi avanzate da lui e da altri.
"I venti saggi di questo volume sono introdotti, nella prima parte, da un testo teorico sui rapporti tra psicanalisi e letteratura, corredato da un riferimento ai principali rappresentanti, in Italia, dei metodi critici variamente ispirati alla psicologia del profondo. Questo testo affronta alle radici il problema di quei rapporti e fornisce le motivazioni del mio modo di interpretare i testi letterari. I saggi leopardiani della seconda parte puntualizzano alcuni importanti aspetti del pensiero del poeta (il sentimentale, il religioso) e analizzano testi specifici, arricchendo in tal modo con interpretazioni puntuali il mio libro del 1995, "Leopardi, la malinconia"." (Elio Gioanola)
In questo libro è stato approfondito ed esteso l'approccio interpretativo a partire dall'analisi dei due fondamenti emotivi e intellettivi costituiti dal 'pasticcio' e dalla 'cognizione', disperatamente in conflitto tra loro, con tutto il corredo metaforico che ne discende. Come sappiamo, è lo stesso autore a reputare la propria opera "degna d'analisi psichica". L'autore si è basato sull'indicazione gaddiana e ha condotto l'analisi per gradi successivi risalendo, con la dettagliata scansione in 24 capitoli, la stratificazione delle métaphores obsédantes, nel continuo collegamento tra i livelli del vissuto e le figure del fantasmatico, dalla "cicatrice della nascita" alle più alte invenzioni stilistiche e strutturali.