Il problema del dolore, di quello innocente in particolar modo, era sentito in maniera acuta da don Carlo Gnocchi. Il "padre dei mutilatini" dedicò l'intera vita a combatterlo scientificamente, a lenirlo concretamente e a sublimarlo spiritualmente. Come per Giobbe, per i grandi tragici dell'antichità e per i pensatori di ogni tempo lo scandalo del dolore innocente non ha cessato di inquietare don Carlo fino alla fine. In questo ultimo suo scritto, le cui bozze sono state completate sul letto di morte, il dolore suscita due contrastanti interpretazioni: enigma per il non credente, mistero per chi si affida a Dio. La sofferenza dei bambini diventa per don Gnocchi l'icona stessa del dolore innocente, quello che in alcun modo può essere correlato alla colpa, e si pone come il "caso limite", la chiave per comprendere ogni dolore umano, così che "chi riesce a sublimare la sofferenza degli innocenti è in grado di consolare la pena di ogni uomo umiliato dal dolore".
Il volume presentato è l’opera di don Gnocchi più impegnativa dal punto di vista teorico anche se probabilmente è quella meno conosciuta a livello popolare pur meritandogli il Premio Viareggio del 1951. La data della pubblicazione originaria del volume è emblematica: 1946. Don Gnocchi a un popolo disincantato dalla guerra voleva proporre l’impresa assai ardua di ricostruire l’uomo, <prima e più fondamentale di tutte le ricostruzioni>.
Il lettore moderno nelle parole di don Gnocchi nella prefazione al libro ritrova un’attualità sconcertante <siamo caduti nell’incoerenza, nel frammentarismo della vita, nel compromesso e nell’irresponsabilità morale, nel girellismo politico e nella dilagante disonestà pubblica e privata> mentre la sua dichiarazione “si legge tanta insipida brodaglia dalla quale si riesce a fatica a ricavare qualche frustolo di verità e forse si muore senza aver conosciuto Omero, Dante, Goethe, Pascal, sant’Agostino…per dire i primi nomi che mi vengono alla mente” si rivela importante ed utile quale appello alla profondità contro la superficialità, al pensiero contro l’ovvietà. Nel suo cammino di conoscenza l’autore è sostenuto nelle sue tesi sulla restaurazione della persona umana dal pensiero di Jacques Maritain, la cui presenza brilla in molte pagine dell’opera.
«Cristo con gli alpini non è un’opera qualunque. Non è, insomma, un diario, un resoconto, una cronaca, una confessione, ma è un atto di fede gettato nella follia della guerra, un gesto di speranza dedicato a coloro che ormai non ripetevano più questa parola, uno slancio d’amore che replica ai colpi della violenza. Per questo don Carlo porta Cristo al fronte, o meglio lo conduce nella disperazione degli accerchiamenti dove si consumavano le ultime forze. Prosa semplice, piccoli esempi e un cuore immenso fanno di questo libro un documento prezioso.
Le pagine dedicate a Giorgio, il bambino che ha perso tutto e poi muore, sono più eloquenti di tutte le analisi degli storici. Leggendole si capisce perché “tocca alla morte rivelare profonde e arcane somiglianze”.
Riproporre Cristo con gli alpini significa conoscere un po’ di più la guerra e la Russia; queste pagine spiegano l’inizio di un miracolo.»
Dalla prefazione di Armando Torno
- Prefazione di Giuseppe Mani, Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia
- Presentazione di Luigi Rossini, Brigadiere Generale – Comandante della Brigata Alpina Tridentina
- Introduzione di monsignor Aldo Del Monte, Vescovo emerito di Novara.
Davanti all’immane tragedia della ritirata di Russia degli Alpini della Divisione Tridentina, che lascia sui bordi delle strade della sterminata steppa russa giovani a morire, senza speranza di salvezza alcuna né possibilità, per i moribondi, di essere confortati, se non dalla fede offerta con umiltà, Don Gnocchi scopre il volto di Cristo e il senso ultimo di quella terribile vicenda. Così come vide la grandezza dei suoi alpini, dopo la vittoriosa battaglia del 17 gennaio del ’43 per rompere l’accerchiamento russo. Una giornata così epica da fargli esclamare: «Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio».
È uno scritto-confessione che cambia il corso della sua vita e inaugura la sua opera di carità. Una carità smisurata, che segnerà per sempre la sua esistenza, connoterà una parte della storia d’Italia, e che offre ancora oggi aiuto e speranza alle generazioni che si avvalgono dei servizi della Fondazione che porta il suo nome.
Non una “fragilità bella”, perché non è vero; e neppure una “bellezza fragile”. La fragile bellezza è il titolo del concorso promosso dal Centro Girola della Fondazione Don Carlo Gnocchi al quale sono pervenuti 159 racconti poetici, una parte dei quali è ora pubblicata nel volume.
La lettura dei testi ‚Äì scrive Mario Mozzanica nell ºIntroduzione - ¬´daÃÄ una conferma eccezionale: il malato, il fragile, il disabile, in non autosufficiente non diventa mai, come nella cultura corrente, un sostantivo. Resta sempre un aggettivo, che qualifica una persona nella sua irriducibile irripetibilitaÃĬª.