Libro d'esordio di una delle più grandi figure poetiche degli ultimi secoli in Italia rappresenta il vero e proprio apprendistato poetico dell'autore, una sorta di primo e provvisorio laboratorio da cui scaturiranno in seguito le grandi vette delle "Odi" neoclassiche. Una tappa insomma, in cui ancora riecheggiano suggestioni legate all'Arcadia o alla poesia del Berni, ma una tappa che comunque Parini non ripudiò mai del tutto, riconoscendovi molti pregi e soprattutto quell'urgenza di dire in versi che resterà sua caratteristica fondamentale anche nelle opere successive.
Tra la fine del Quattrocento e i primissimi anni del Cinquecento un ignoto amico di Leonardo da Vinci stampa le "Antiquarie prospettiche romane", resoconto in versi delle antichità che si conservano a Roma attorno al 1496. Il testo fotografa una serie di opere riportate alla luce dal fervore delle ricerche archeologiche degli umanisti e collocate nei palazzi delle grandi famiglie patrizie. Per molti reperti oggi perduti si tratta di una testimonianza unica, per altri pezzi è una formidabile cartina di tornasole per verificare le modifiche apportate nel corso dei secoli. Insieme al valore documentario artistico, l'opera ha una rilevanza letteraria per il singolare impasto linguistico, dal sapore fortemente dantesco.