El hecho de que todas las teorías morales contemporáneas continúen dialogando aún hoy con las premisas y planteamientos formulados por Immanuel Kant (1724 -1804) permite hablar, en la historia de la ética, de un antes y un después del filósofo alemán, cesura que marca el carácter de punto de inflexión que, para la filosofía moral, representa su formalismo ético. En este sentido, cabe calificar la Crítica de la razón práctica (1788) -uno de los textos kantianos capitales- como una verdadera "biblia" por lo que atañe al pensamiento moral de la modernidad. La presente edición, a cargo de Roberto Aramayo, une al depurado rigor de la traducción y las notas unos útiles indices que contribuyen al manejo y estudio de la obra, así como una cronologia que la sitúa en su adecuado contexto.
Si dentro de las cuatro preguntas que según IMMANUEL KANT (1724-1804) delimitan el campo de la Filosofía -¿qué puedo saber?, ¿qué debo hacer?, ¿qué me está permitido esperar? y ¿qué es el hombre?-, la «Crítica de la razón pura» contesta a la primera y la «Crítica de la razón práctica» (H 4411) a la segunda, mientras que la cuarta abre el camino a la reflexión antropológica, LA RELIGIÓN DENTRO DE LOS LÍMITES DE LA MERA RAZÓN es la obra destinada a dar respuesta, dentro de su ambicioso proyecto filosófico, a la tercera de ellas. Obra tardía de la producción kantiana, este tratado -traducido y prologado por Felipe Martínez Marzoa- culmina el proceso de pensamiento del filósofo alemán y arroja una luz peculiar sobre la totalidad de su gran hazaña intelectual en el campo de la reflexión humana, que modificó las coordenadas de la ciencia y la moral en el mundo moderno.
La Crítica del Juicio apareció en 1790, antes de que hubieran podido publicarse la Filosofía zoológica (1809) de Lamarck y el Origen de las especies (1859) de Darwin, las dos grandes obras que consolidaron científicamente, cada una a su modo, la teoría de la evolución. Pese a ello Kant, probablemente familiarizado con las teorías evolucionistas de pensadores franceses de su tiempo, especuló audazmente sobre el problema, contemplando la posibilidad de que eventuales «arqueó1ogos de la naturaleza», explorasen el origen y la progresiva generación de las diversas especies vivas a partir de una forma de vida primitiva, a la manera como él había investigado ya el origen común de las diversas razas humanas. Pero, sin negar que la vida haya podido surgir de la naturaleza inorgánica por causas exclusivamente mecánicas, pensaba que semejante proceso quedaría siempre fuera del alcance de nuestra comprensión. La clave de la respuesta está en la condición hipotética y heurística, por no decir «virtual», de los principios del juicio. La idea central de Kant es, ya lo sabemos, que el «abismo infranqueable» que se abre entre el edificio de la filosofía teórica y el de la práctica «tiene que» ser cubierto por un puente que nos viene requerido por el concepto mismo de libertad. Nuestro deber inexorable de cumplir el mandato absoluto de la ley moral «exige» que sea posible que el hombre despliegue su libertad en el mundo de la naturaleza.
Accanto alla "Critica della ragione pura" e alla "Critica della ragione pratica", la "Critica della facoltà di giudizio" è il terzo capolavoro dell'impresa critica di Immanuel Kant: non solo il suo compimento, ma anche e soprattutto il suo ripensamento e insieme la sua fondazione. È una rigorosa "critica del gusto" che ha il suo centro nell'universale comunicabilità di esseri razionali e finiti quali sono gli uomini, ed è come tale premessa essenziale dell'intero svolgimento dell'estetica successiva. Ma la riflessione che essa svolge è estetica e mediatamente anche logica, e coinvolge molti altri temi strettamente interconnessi. Sempre su base estetica, vi si delinea infatti, innanzi tutto, una modernissima epistemologia, un esame critico del finalismo che sarebbe proprio della cosiddetta "materia vivente" (del quale Kant dà una versione singolarmente avanzata per i suoi tempi e forse oggi ancora insuperata) e infine una giustificazione e delimitazione del pensare filosofico. Nell'estetica kantiana è quindi ricompreso il problema che la filosofia critica pone a se stessa, in quanto questa non è giustificata dalle condizioni del conoscere che si sforza di esplicitare ed è tuttavia indispensabile per la comprensione dell'esperienza in genere e di quella universale comunicabilità che è il lascito prezioso (e tutt'altro che assimilabile a una "metafisica della ragione") dell'illuminismo kantiano.
Sin lugar a dudas, la FUNDAMENTACIÓN PARA UNA METAFÍSICA DE LAS COSTUMBRES (1785) constituye un texto primordial dentro del pensamiento ético. Ninguna otra obra de IMMANUEL KANT (1724-1804) muestra tanto vigor y grandeza morales, unidos a un fino sentido del detalle psicológico, ni logra definir sus conceptos con un lenguaje tan popular, salpicado de felices imágenes y ejemplos. Aquí se adelantan, de un modo mucho más accesible, las premisas éticas que en 1788 se verían inmortalizadas por la «Crítica de la razón práctica» (H 4411). En esta nueva edición, a cargo de Roberto R. Aramayo, la presente versión castellana queda complementada con un oportuno estudio preliminar, una bibliografía selecta y unos detallados índices.
Nell'Antropologia Immanuel Kant riordina la mole immensa di materiali di carattere storico e antropologico raccolti nell'arco di un'intera vita. Opera a lungo trascurata, si tratta in realtà di una tappa decisiva di un'epoca che stava per convertire le domande fondamentali della storia della metafisica, della gnoseologia, della morale e della religione in quella che per Kant era ormai diventata la domanda essenziale: Che cos'è l'uomo? Si inaugurava cosí la nostra modernità filosofica, che vedrà nell'uomo non solo l'origine e il fondamento di ogni sapere, ma anche la ragion d'essere e il principio di ogni trasformazione del mondo e di ogni intervento su di esso. L'antropologia kantiana indaga infatti l'uomo come essere sociale trasformato dalle istituzioni, al fine di svilupparne le attitudini, dotarlo di costumi, rafforzarne le facoltà, disciplinarne la volontà, orientarne i desideri e governarne la libertà.
Michel Foucault incontra l'Antropologia di Kant verso la fine degli anni cinquanta, facendone l'oggetto della sua tesi complementare, costituita dalla traduzione del testo kantiano, accompagnata da un lavoro di annotazione e dal testo che funge da Introduzione. Il saggio ci appare oggi la cartografia del terreno che da allora il filosofo francese avrebbe dissodato fino alla morte, contenendo molti dei temi fondamentali della sua riflessione, dal sonno antropologico e la finitudine umana all'archeologia delle scienze umane e alla questione della prossima scomparsa dell'uomo nella configurazione dei saperi e dei poteri che prenderà il nome di biopolitica, agli ultimi interventi sulla questione dell'Illuminismo e il problema del governo e della governamentalità.
El ensayo filosófico Sobre la paz perpetua, publicado por Kant en 1795, poco después de la paz de Basilea entre Francia y Prusia, esboza un orden de paz permanente entre los Estados que se presenta, asimismo, como la meta final de la historia humana. Desde esta meta final de la paz perpetua se explica también la necesidad de una constitución republicana en cada Estado, necesaria, a su vez, para el desarrollo en plenitud de las disposiciones naturales antagónicas del hombre (su insociable sociabilidad). La instauración de la paz perpetua cuenta, por tanto, con la garantía última que ofrece la propia naturaleza humana al utilizar el antagonismo como una argucia hacia la concordia. Si bien esta garantía no es suficiente para vaticinar un futuro de paz, sí lo es para obligar a los hombres a trabajar en la consecución de ese anhelado fin. La paz permanente entre los Estados se revela, por tanto, como el corolario indispensable de la conjunción de los principios de la política interna y de la política exterior. Este pequeño ensayo remite necesariamente a otras obras de Kant, anteriores y posteriores a 1795, en las que desarrolla más detalladamente su filosofía de la Historia, así como su concepción del Estado y del Derecho.
Intorno a un tema quanto mai controverso, antico e pur sempre attuale, quale quello della menzogna, si affrontano in questo volume due grandi filosofi che rappresentano anche due differenti scuole di pensiero, l'una pienamente radicata nella Francia del dopo-rivoluzione, l'altra che proviene invece dalla vicina Germania. L'occasione è data da un breve trattato scritto nel 1797 dall'allora trentenne Benjamin Constant, che, sotto il titolo "Delle reazioni politiche" disquisisce intorno alla possibile legittimità, in precisi contesti, della menzogna. L'intervento di Constant è centrato sulla necessità che i princìpi universali, per essere accettati anche sul terreno concreto, debbano a loro volta fondarsi su princìpi definiti "intermedi" tali cioè da permetterne la concatenazione con la realtà effettiva. Ma Constant, mentre cerca di definire questa sua teoria, critica la riflessione di Immanuel Kant che "persino di fronte a degli assassini che vi chiedessero se il vostro amico, che loro stanno inseguendo, si sia rifugiato in casa vostra, la menzogna sarebbe un crimine". E il "filosofo tedesco" (così lo definisce, un po' sbrigativamente, Constant), chiamato in causa, risponde da par suo con "Su un presunto diritto di mentire per amore dell'umanità" nel quale ribatte punto su punto al "filosofo francese". E così che questo confronto acquista oggi, un significato emblematico, e anche al di là del tema, pur sempre centrale, che costituisce l'oggetto di questa querelle di fine Settecento.