Molto è stato scritto sulla Resistenza e sulla guerra di liberazione in Italia. Ma che cosa accadde ai partigiani dopo l'aprile 1945? Come vissero realmente gli anni del dopoguerra e della rinascita del Paese coloro che la Repubblica avrebbe celebrato come i nuovi eroi della patria, martiri del secondo Risorgimento nazionale? Dal 1948 e fino ai primi anni Sessanta, nelle aule di giustizia della nuova Italia democratica va in scena un «Processo alla Resistenza», destinato ad avere un forte impatto mediatico. Assassini, terroristi, «colpevoli sfuggiti all'arresto». Così la magistratura del dopoguerra, largamente compromessa col regime fascista, giudica quei partigiani che hanno combattuto una guerra clandestina per bande, tra il 1943 e il 1945. Giudizio condiviso dalla stampa e da gran parte dell'opinione pubblica italiana, che si accompagna a una generale riabilitazione di ex fascisti e collaborazionisti della Rsi, autori di stragi e crimini contro i civili, costretti a «obbedire a ordini superiori». Attraverso carte processuali e documenti d'archivio inediti, Michela Ponzani ricostruisce il clima di un'epoca, osservando i sogni, le speranze tradite e i fallimenti di una generazione che pagò un prezzo molto alto per la scelta di resistere. Cosa resta della Resistenza nella Repubblica? Rimosso dalla memoria collettiva, il «Processo alla Resistenza», celebrato nelle aule di giustizia dopo il 1945, anima per decenni il dibattito mediatico, plasmando distorsioni, manipolazioni, miti e luoghi comuni «antiresistenziali», in una serie di polemiche a posteriori. La messa sotto accusa dell'antifascismo finisce col ribaltare ragioni e torti, meriti e bassezze, valori e disvalori. Coloro che hanno combattuto contro nazisti e fascisti si trasformano in pericolosi fuorilegge, colpevoli di aver attentato al bene della patria (esposta all'invasione angloamericana e ai tragici effetti delle rappresaglie, scatenate dall'occupante tedesco) e di aver messo a repentaglio la sicurezza nazionale, difesa invece fino alla fine dai combattenti di Salò. Assassini, vigliacchi, terroristi, «colpevoli sfuggiti all'arresto». Sulla base di questi termini (utilizzati dalla stampa degli anni Cinquanta) la magistratura del dopoguerra, quasi sempre compromessa col regime fascista, giudica quei partigiani che hanno combattuto una guerra per bande. Mentre ex fascisti e repubblichini, autori di stragi e crimini contro civili, vengono assolti, riabilitati e persino graziati per aver «obbedito ad ordini militari superiori» o per la loro natura «di buoni padri di famiglia», i partigiani sono giudicati responsabili delle rappresaglie scatenate dai nazifascisti, per non essersi consegnati al nemico.
Furono oltre centomila i sudditi dell’Impero asburgico appartenenti alla minoranza italiana che durante la Grande Guerra combatterono ‘dall’altra parte’. Parlavano la lingua del nemico e per questo furono considerati inaffidabili e sospetti. Inviati soprattutto sul lontano fronte russo, in migliaia caddero prigionieri. Contesi tra Austria e Italia, da entrambi i paesi vennero visti con diffidenza e nei campi di prigionia russi subirono pressioni contrastanti e tentativi di rieducazione nazionale. Il libro ricostruisce i loro trascorsi avventurosi, vissuti in lunghi anni passati tra guerra, prigionia e complicati ritorni, e restituisce un capitolo importante della complessa questione dei nazionalismi novecenteschi.
Un'«archeologia del presente» dedicata al Novecento italiano in tutta la sua inquietudine e complessità. Un libro che attraverso il prisma di contrapposizioni insieme artistiche, politiche e religiose, indaga il problema della difficile sopravvivenza della cultura italiana dopo la prima e la seconda Guerra mondiale; e i rapporti tra «nazione politica» e «nazione culturale», laicismo e Chiesa. Sfilano qui artisti, scrittori, critici di orientamento ideologico diverso, da Berenson a de Chirico, da Gobetti a Persico, da Carlo Levi a Pasolini a de Martino, da Burri, infine, a Fontana e Carla Lonzi, accomunati però da un'esperienza ambivalente della storia e dall'interesse per l'eredità cristiana. La ricerca si muove così su territori inesplorati: non l'arte sacra di tradizione, ma il primo e secondo Novecento, nel cuore di quel laboratorio artistico, politico e sociale che chiamiamo «modernità». In un testo che intreccia storia dell'arte a letteratura e pensiero politico e religioso, Dantini prova a tenere insieme le due metà del secolo - pur divise tra loro da laceranti cesure istituzionali e culturali - e suggerisce una nuova cornice agli studi sul Novecento in Italia.
«Questa è stata la mia vicenda. La storia di chi riuscì a tornare da quella guerra nella steppa bianca. Dopo di allora nessuno di noi, cavalli e uomini, avrebbe più combattuto insieme né caricato» L'epopea del Reggimento Savoia Cavalleria (3°) nella steppa russa durante la Seconda guerra mondiale. La voce narrante è quella di Albino, cavallo maremmano, che, insieme ai suoi compagni, prese parte alla carica di Isbuscenskij, il 24 agosto 1942, tradizionalmente conosciuta come l'ultima carica di cavalleria. Ferito in battaglia, sopravvissuto nella ritirata, di lui si persero le tracce fino a quando, a guerra ormai conclusa, venne fortunosamente ritrovato e riconsegnato al suo Reggimento. Dove e con chi era stato? Un mistero che appassionò gli italiani nel dopoguerra, e che richiama alla mente la trama di "War Horses", da cui Steven Spielberg ha tratto l'omonimo film. Con l'unica differenza che quello che qui viene narrato è tutto autentico. Per la prima volta, il libro racconta il punto di vista di Albino e prova a risolvere il giallo della sua scomparsa ma soprattutto rende omaggio ai soldati caduti, all'antica tradizione cavalleresca e alle migliaia di cavalli sacrificati in nome della guerra.
Gigantesca penisola abbracciata dai mari, l'Europa li ha vissuti come frontiere della paura o rive della speranza, veicoli incessanti di mercanzie, idee, uomini. «A sud, è il Mediterraneo con le sue antiche civiltà, gli orizzonti del mondo greco e arabo, del vicino Oriente e dell'Africa del Nord, dell'Islam e del petrolio. A nord, è il mondo dei Vichinghi, delle saghe, dell'aringa, del salmone e della balena, del polo e del petrolio del Mare del Nord. A ovest, è l'immensità - sia pure attualmente di molto ridotta - dell'Oceano con gli orizzonti dell'America e dell'Africa e, al di là, le favolose Indie, occidentali e orientali, i paesi delle popolazioni di colore - un vasto mondo ignorato o appena sfiorato sino alla fine del Medioevo, ma divenuto in seguito di fondamentale importanza per l'Europa. Il mare isola e insieme unisce».
Niccolò Machiavelli è considerato uno dei più grandi teorici della ragione politica. In effetti è straordinaria la capacità con cui analizza le situazioni, i rapporti di forza, le alternative. Ma non è solo questo. È anche un visionario capace di sporgersi oltre le barriere dei canoni consueti, di vedere al di là delle situazioni di fatto, di proporre soluzioni 'eccessive', straordinarie: appunto, «pazze». Non per nulla gli amici gli attribuiscono capacità profetiche, cioè di prevedere cosa sarebbe, infine, accaduto. Machiavelli condivide naturalmente il giudizio sulla pazzia come mancanza di senso della realtà, stravaganza, addirittura idiozia: fare le cose «alla pazzeresca», come dice nella Mandragola, gli è completamente estraneo. La 'pazzia', però, può essere anche un'altra cosa: capacità di contrapporsi alle opinioni correnti, di rischiare il tutto per tutto inerpicandosi sul crinale che divide la vita dalla morte, di combattere affinché le ragioni della vita - cioè della politica, dello Stato - possano prevalere sulle forze della crisi, della degenerazione, pur sapendo che sarà infine la morte a prevalere sulla vita, perché questo è il destino di ogni cosa. Realismo e 'pazzia': è in questa tensione mai risolta che sta il carattere non comune, anzi eccezionale, dell'esperienza di Machiavelli rispetto ai suoi contemporanei. Una pazzia totalmente laica e mondana, senza alcun contatto con la follia cristiana di Erasmo.
Gli ebrei, negli anni del fascismo, videro le loro identità e le loro vite progressivamente limitate, sopraffatte, annientate. Alla vigilia del ventennio essi costituivano una minoranza pienamente integrata nella vita nazionale, con proprie caratterizzazioni che venivano riconosciute dal Paese. La svolta politica del 1922 segnò una profonda cesura col periodo precedente, portando al potere un'Italia gretta, ultranazionalista, sempre più "cattolicista" e aperta agli antiebraismi connessi. Questo libro narra la storia della vita e della persecuzione degli ebrei negli anni che vanno dalla "marcia su Roma" alla definitiva vittoria degli eserciti alleati e dell'insurrezione partigiana.
Non sappiamo perché e come l'Homo sapiens abbia sviluppato la capacità di costruire storie. Possiamo però ipotizzare come presumibilmente siano andate le cose. Cioè come un ominide abbia sviluppato la facoltà di narrare storie e come queste lo abbiano avvantaggiato tra tutte le specie. Si tratta dunque di studiare la narrazione, la fiction e la letteratura nel contesto della teoria dell'evoluzione e delle scienze cognitive, prendendo le mosse dalle recenti acquisizioni dell'archeologia cognitiva che mettono in relazione la produzione di utensili e lo sviluppo di capacità narrative. Si comprende così che la narrazione ha un ruolo decisivo nella costituzione del Sé e delle sue protesi esterne, come da tempo sostengono i teorici della mente estesa e della cognizione incarnata. Questo studio si inserisce nel quadro più ampio di una teoria biopoetica della narrazione e di un'antropologia filosofica che non trascura il bios rispetto allo spirito. Per questo, categorie fondamentali come la compensazione e l'esonero possono essere rilette in chiave evoluzionistica e fornire alcune spiegazioni del comportamento narrativo dell'Homo sapiens: il riequilibrio dei suoi deficit funzionali ed esistenziali e il contenimento dell'ansia.
Il fenomeno dell'immigrazione in Italia spinge a riflettere su un fenomeno analogo e contrario: l'emigrazione degli italiani verso l'America e altre terre verificatasi negli ultimi due secoli. Il volume ne offre un quadro completo attraverso le pagine dei maggiori studiosi e le testimonianze d'epoca: dalla emigrazione prima dell'unità nazionale, alla Grande migrazione nell'età liberale, nel periodo fra le due guerre, nell'età della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, nella contemporaneità. Uno sguardo insieme storiografico e civile: ricordare i decenni in cui gli emigrati erano gli italiani può servire a capire le storie dei migranti odierni. E nella memoria della sua stessa storia l'Italia può meglio comprendere i flussi migratori epocali che interessano oggi tutta l'Europa.
"Questo lavoro si pone come obiettivo di offrire al lettore un racconto chiaro della storia degli ebrei, dalle origini ai nostri giorni. Anche se si preoccupa di prendere in considerazione gli eventi recenti in Medio Oriente, il suo è prima di tutto uno sguardo rivolto al passato. Quello di un popolo la cui storia si confonde con la storia dell'umanità intera, attraversando i secoli, i continenti e le civiltà, dall'Egitto dei faraoni alla Russia sovietica, passando per il mondo greco-romano, l'Europa cristiana, l'Oriente musulmano, le grandi scoperte, la Rivoluzione francese, la Prima guerra mondiale, la Shoah e la nascita dello Stato di Israele. Raccontare una tale odissea in circa ottocento pagine è una sfida, visto che, anziché diminuire di quantità, la ricerca scientifica sugli ebrei attira di anno in anno nuovi specialisti, di varia origine. Tuttavia, non possiamo fare a meno di constatare come questa esplosione di sapere non abbia ridotto i pregiudizi e i sospetti che continuano a circondare gli ebrei in diverse regioni del mondo, in particolare quelle in cui non vivono più, o quasi più, a partire dalla Seconda guerra mondiale. Miti, dicerie e fantasmi di un'altra età e celebri falsi vi circolano ancora; e, grazie a Internet e alle nuove tecnologie di comunicazione, il numero di coloro che aderiscono al loro contenuto è rilevante."
Nel luglio del 1943, pochi giorni prima della caduta di Mussolini, un gruppo di professionisti e intellettuali cattolici si ritrovò nel Monastero di Camaldoli, con l'obiettivo di raccogliere idee comuni per la rinascita del Paese. Il documento, elaborato nel 1943-1944 e pubblicato nel 1945, alla vigilia della Liberazione, caratterizzerà in modo decisivo la nostra Costituzione e le riforme di De Gasperi. L'ispiratore dell'operazione fu Giovanni Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI), all'epoca nella Segreteria di Stato vaticana; mentre Sergio Paronetto (scomparso nel marzo del 1945) ne fu il protagonista dimenticato. Accanto al testo originale del Codice di Camaldoli, il libro ricostruisce il clima culturale e politico di quegli anni, ed è arricchito dai commenti di Fausto Bertinotti, Paolo Savona e Valerio Castronovo. Leggere oggi queste pagine vuol dire ripercorrere il periodo più intenso e creativo della nostra Repubblica, affinché possa servire da bussola nella politica del presente che, prima di fare, dovrebbe ricostruire le indispensabili capacità di pensiero, di elaborazione e di coesione per proiettarci nel futuro.
"Essendo fidanzata con un prigioniero di guerra tedesco ed avendo ad oggi una bambina, faccio appello a codesto Comando di voler concedere l'autorizzazione onde poterci unire in matrimonio, sebbene prigioniero." Rimasta sola a crescere la figlia nata dall'amore con un soldato tedesco, Lola Oldrini così scriveva alla Commissione alleata di controllo di Roma nel luglio del 1946. Come lei, nel periodo dell'Asse Roma-Berlino, e poi durante l'occupazione nazista, tra il 1943 e il 1945, molte donne italiane intrattennero relazioni sentimentali con militari tedeschi della Wehrmacht. Furono fidanzamenti voluti dalle famiglie d'origine, relazioni di lungo periodo sfociate in 'matrimoni misti', oppure relazioni extraconiugali e incontri fugaci ricercati per bisogno d'affetto e protezione nei giorni della solitudine della guerra. Ciò che è stato omesso è che i bambini nati da questi incontri, considerati 'figli del nemico', furono spesso oggetto di discriminazione, subirono l'abbandono delle madri, passarono l'infanzia chiusi in orfanotrofi, negli istituti di cura religiosi o nei brefotrofi gestiti dalla Croce Rossa o dall'Opera nazionale maternità e infanzia o vennero dati in adozione. Attraverso le lettere private e i diari oggi conservati nell'Archivio Segreto Vaticano e nell'Archivio delle Nazioni Unite, Michela Ponzani racconta le loro vite dimenticate, insieme a quelle delle loro madri, dei loro padri e di chi se ne prese cura, riportando alla luce storie sconosciute e sorprendenti.