Mentre il primo tomo di Mistica e Spiritualità era dedicato alla mistica intesa come esperienza suprema della realtà, questo secondo è dedicato alla spiritualità intesa più come cammino per giungere a tale esperienza. L’autore - pur consapevole della difficoltà di definire la spiritualità del nostro tempo con i suoi diversi cammini, legati non solo alle tradizioni e al culto, ma anche alle diverse sensibilità degli uomini e al periodo storico - ne presenta comunque un abbozzo, cogliendo questa spiritualità in modo integrale, nella capacità cioè di coinvolgere l’uomo nella sua piena realtà, così come può essere espressa dalle quattro parole greche: sôma-psychê-polis-kosmos, ossia corpo, anima, società e cosmo. L’uomo scopre però anche un elemento divino tanto immanente quanto trascendente. Ed è precisamente questo elemento misterioso, questo soffio, questa presenza trascendente e immanente ciò che conferisce alle cose, così come all’uomo, la loro identità. La spiritualità è come una «carta di navigazione» nel mare della vita dell’uomo: la somma dei principi che dirigono il suo dinamismo verso «Dio», dicono alcuni; verso una società più giusta o verso il superamento della sofferenza, dicono altri. Possiamo dunque parlare di spiritualità buddhista, benché i buddhisti non parlino di Dio; così pure di una spiritualità marxista, sebbene i marxisti siano allergici al linguaggio religioso. Il concetto tanto ampio della parola spiritualità esprime piuttosto una qualità di vita, di azione, di pensiero, ecc., non legata a una dottrina, confessione o religione determinate, per quanto i loro presupposti siano facilmente riconoscibili. Il tomo inizia con due libretti in cui sono stati sviluppati gli argomenti, fili conduttori di ritiri in ambiente cristiano, come mostra il linguaggio semplice, quasi parlato. La seconda sezione tratta di una spiritualità propria del monaco, non confinata però all’istituzione monacale, ma come archetipo universale in ogni uomo (ricerca del monos, unione con il divino). Segue una descrizione della tradizione ascetica in India e, come esempio di incontro della spiritualità occidentale (cristiana) con quella indiana, uno scritto dedicato all’amico Henry Le Saux, esempio di incontro fecondo delle due tradizioni. L’ultima sezione è dedicata alla saggezza, come traguardo di una spiritualità positiva.
Per mito, nel linguaggio di oggigiorno, s’intende qualcosa di irreale o semplicemente una leggenda più o meno fantastica. Con la parola mythos, invece, si deve intendere quello che tradizionalmente significava, vale a dire un modo diverso che gli uomini hanno di esprimere una convinzione, o piuttosto una verità che non è necessariamente «chiara e distinta» alla ragione e che, ciò nonostante, si accetta come ovvia e quindi non ha bisogno di essere dimostrata.
Il messaggio dei miti non può essere trasmesso con una riflessione esclusivamente razionale. Troppo spesso si è considerato il concetto come il migliore strumento della parola in quanto tende all’univocità necessaria per l’intelligibilità. Tuttavia ridurre il logos a concetto porta a un suo serio impoverimento, con gravi ripercussioni sulla vita umana stessa. Di fatto l’uso più corrente della parola è simbolico, perciò polivalente, non univoco e salva il discorso dal grande pericolo dell’oggettivismo, il quale facilmente porta al fanatismo. Il mito egizio (raccontato da Platone) che vede nella scoperta della Scrittura l’inizio della degenerazione della cultura racchiude una qualche verità. Un pensiero puramente oggettivo non permette altre interpretazioni. Una deduzione logica univoca non permette alcuna deviazione: 2 + 2 = 4 e solo 4. Il simbolo invece ci permette di superare l’oggettivismo senza cadere nel soggettivismo. Il simbolo non è né oggettivo né soggettivo; sta nella relazione e quindi il dialogo è indispensabile per pensare bene – e anche per vivere bene. La natura umana non è individualistica. L’uomo non è riducibile all’individuo e nemmeno a un semplice concetto. Per questo il discorso sul mito ci porta necessariamente a parlare del mezzo più potente che l’uomo ha per avvicinarsi alla realtà e ai suoi simili: il simbolo.
Conclude questo primo tomo una riflessione sul culto, cioè sul rito in quanto simbolo in azione, espressione fondamentale dell’homo religiosus ed attività che l’uomo compie in comunione con il cosmo per il sostentamento dell’universo: il rito è infatti l’azione che consente al secolare di essere vissuto nella sua sacralità.