In breve
Pennacchi ha scritto un altro libro bello e inquietante. Saggi che riscoprono e raccontano 147 città fondate durante il ventennio da Mussolini. La ragione per la quale sono state pensate, la fisionomia che hanno avuto, che hanno oggi. Corrado Augias
Ci sono due ragioni per cui dobbiamo rendere grazie al Duce per la bonifica delle paludi pontine. La prima è che dopo non l’avrebbe fatta nessuno. La seconda è Pennacchi. No bonifica, no Pennacchi. Una catastrofe epistemologica. Lucio Caracciolo
Un libro insolito, appassionante, da cui si imparano tante di quelle cose da farmelo segnalare con forza a quei lettori che cercano, nel libro d’un narratore, una verità, non solo formale ma anche antropologica. Massimo Onofri
Indice
Presentazione aggratis di Lucio Caracciolo - Premessa dell’autore - 1. La koinè dell’eucalyptus 2. Il campanile di Aprilia - 3. Carbonia hag - 4. Segezia (ma anche e di nuovo Aprilia, Pomezia, Fertilia, Borgo Appio e Borgo Domitio) - 5. Da Segezia a Borgo Mezzanone - 6. Borgo Cervaro e Borgo Giardinetto - 7. I rurali di Littoria - 8. Guidonia e Incoronata: masseria e massoneria - 9. Arsia (ma anche Pozzo Littorio e Torviscosa) - 10. I Borghi dell’Agro Pontino. Dalla bonifica fasciocomunista alle città nuove - 11. Da Borgo Riena a Borgo Recalmigi. Il fascismo come dittatura del proletariato - 12. Che cos’è una città di fondazione. Quante e quali sono – e quali no – le Città del Duce - Inventario delle nuove fondazioni in Italia a cavallo degli anni Trenta - Note - Referenze iconografiche - Indice dei nomi e dei luoghi - Storia del testo
Canale Mussolini è l'asse portante su cui si regge la bonifica delle Paludi Pontine. I suoi argini sono scanditi da eucalypti immensi che assorbono l'acqua e prosciugano i campi, alle sue cascatelle i ragazzini fanno il bagno e aironi bianchissimi trovano rifugio. Su questa terra nuova di zecca, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce e punteggiata di città appena fondate, vengono fatte insediare migliaia di persone arrivate dal Nord. Un vero e proprio esodo. Contadini emiliani, veneti e friulani lasciano le proprie terre, dove non rimaneva altro che stare a "puzzarsi di fame" e diventano i primi attori del nuovo sogno italico di grandezza. A migrare sono famiglie intere, con nonne che sanno guidare un carretto e governare le bestie, uomini forti come tori, donne spavalde che alle feste della mietitura ballano e ridono con tutti i maschi, truppe di bambini di ogni età. Sono i "cispadani" scesi dal Nord, e i "marocchini" del Lazio li guardano con sospetto, spiano le loro abitudini disinvolte, le loro donne in gonne corte e sgargianti, allegre.
Tra queste migliaia di coloni ci sono i Peruzzi, gli eroi di questa saga straordinaria. A farli scendere dalle pianure padane sono il carisma e il coraggio di zio Pericle, che dentro il Fascio conta qualcosa perché ha meriti di audacia e valore, ma che dal Fascio non si fa dettare ordini. Con lui scendono i vecchi genitori, tutti i fratelli, le nuore. E poi la nonna, dolce ma inflessibile nello stabilire le regole di casa cui i figli obbediscono senza fiatare. Il vanitoso Adelchi, più adatto a comandare che a lavorare, il cocco di mamma. Iseo e Temistocle, Treves e Turati, fratelli legati da un affetto profondo fatto di poche parole e gesti assoluti, promesse dette a voce strozzata sui campi di lavoro o nelle trincee sanguinanti della guerra. E una schiera di sorelle, a volte buone e compassionevoli, a volte perfide e velenose come serpenti.
E poi c'è lei, l'Armida, la moglie di Pericle, la più bella, andata in sposa al più valoroso. La più generosa, capace di amare senza riserve e senza paura anche il più tragico degli amori. La più strana, una strega forse, sempre circondata dalle sue api che le parlano e in volo sibilano ammonimenti e preveggenze che, come i sogni oscuri della nonna, non basteranno a salvarla dalla sorte che l'aspetta. E Paride, il nipote prediletto, buono e giusto, ma destinato, come l'eroe di cui porta il nome, a essere causa della sfortuna che colpirà i Peruzzi e li travolgerà.
Un poema grandioso che, con il respiro delle grandi narrazioni, intreccia le vicende drammatiche e sorprendenti dei suoi protagonisti a quelle, non meno travagliate, di mezzo secolo di storia italiana. Antonio Pennacchi rievoca il passato controverso e insieme epico della nazione, animando ricordi e fantasmi con uno sguardo sempre lucido, ironico e spiazzante, ma soprattutto carico di pietas e profonda commozione per i propri personaggi, per quelle tre generazioni di Peruzzi che combattono con glorioso accanimento contro le sferzate del destino che sembra non concedergli tregua. Un'autentica epopea, un grande romanzo italiano.
"Una città non è semplicemente un posto dove abita della gente e dove dorme. Come le stie per i polli o i campi di concentramento. La città è il posto l'incrocio, la cerniera - dove si svolgono i traffici, gli scambi, le comunicazioni. Ed è per questo che una città non è un museo, se non è morta. Se è viva si trasforma, inevitabilmente." Così come si sono trasformate le "città del Duce", quelle innumerevoli "città di fondazione" tirate su dal regime tutte più o meno sullo stesso modello, e tutte con lo stesso intento: realizzare la rivoluzione agraria che Mussolini aveva promesso ai suoi reduci e su cui voleva fondare l'impero autarchico. Si comincia nel '28 con la bonifica delle Paludi Pontine, poi le Puglie, la Libia, il latifondo siciliano. Una vera epopea edificatrice, almeno secondo l'autore che quelle città le ha cercate, visitate, fotografate, studiate una per una arrivando a contarne ben 147. Alcune oggi sono grandi e affollate, altre desolate e spettrali. Eppure hanno molto in comune: la loro storia di "città nuove".